Sedici/A Hermes Storie di geopolitica – Europa
Lorenza Cavallo
Giornalista d’inchiesta e analista politica esperta di intelligence,
vive in Francia
Una replica agli editoriali di Salvatore Sechi e Bruno Somalvico usciti nel fascicolo 12 di Democrazia futura e il punto di partenza per una disamina approndita quanto documentata di Lorenza Cavallo del quadro delle politiche europee di difesa venutosi a creare dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
10 dicembre 2024
Lo spunto per queste considerazioni è scaturito dalla lettura di due brevi articoli pubblicati sulla rivista Democrazia futura[1], riflessioni poi ampliate nel più ampio contesto internazionale delle difficili sfide alla quali l’Europa deve far fronte in particolare dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina nel febbraio 2022. Il ministro francese delle Forze armate Sébastien Lecornu nel suo libro del 2024[2] ha illustrato la situazione attuale, non solo della Francia e ha osservato
“Jamais, depuis la fin de la guerre froide, notre sécurité collective n’a été à ce point”.
In uno dei peggiori periodi di crisi degli ultimi ottant’anni, mentre è in corso un progetto di dominazione di forze antidemocratiche, serve molta disciplina e un rigoroso controllo delle fonti aperte, dei relativi linguaggi e un sapere dei “giochi” geopolitici che possono non essere evidenti. C’è il ritorno degli imperi con culture millenarie come la Cina, la Persia, l’India, la Russia zarista, ottomana e il neo-califfato; affascinanti ovviamente, ma dietro vi sono regimi assolutisti in opposizione alla grande Europa e ad una società liberale democratica. I vecchi imperi sono dei “predatori”, tentano di dividere e distruggere dall’interno le democrazie. Putin quando vuole evitare uno scontro diretto utilizza con grande abilità lo spionaggio, e in particolare gli agenti di influenza per manipolare l’informazione. È necessario sviscerare gli intendimenti propagandistici, anche nella forma “pacifista”, di queste forze disfattiste che auspicano che l’Europa dell’Ovest diventi la periferia del mondo. Il filosofo Jacques Derrida, durante un dibattito sul futuro dell’identità europea nel 1990, ricordava il saggio La liberté de l’esprit di Paul Valéry, redatto nel 1939
“alla vigilia del sisma che devastò l’Europa e il mondo”,
identificando come “crisi dello spirito” la crisi dell’identità europea e dell’Universalismo. L’esigenza di un capitale culturale che comportava l’esistenza di uomini:
assetati di conoscenza con la forza di una metamorfosi interiore, che sappiano, d’altro canto, acquisire o esercitare ciò che abitualmente occorre: disciplina intellettuale, convenzione e pratica per utilizzare l’arsenale di documenti e strumenti che i secoli hanno accumulato. Ora, ciò che mette in crisi questo capitale culturale è la scarsità di questi uomini che “sapevano leggere”: una virtù propria, questi uomini che sapevano sentire e anche ascoltare, che sapevano vedere, rileggere, riascoltare e rivedere[3] [TdR].
Per decenni siamo stati convinti, con arroganza, che il sistema democratico occidentale avesse prevalso su tutti gli altri sistemi. Ha scritto il sempre attento professor Jean-François Colosimo,editore e scrittore:
Il crollo dell’Unione Sovietica e la sua dispersione ‘come un puzzle’ ne sono stati la prova migliore, ma dopo il 1989 e la caduta del Muro di Berlino, dopo il 2001 e poi delle Torri Gemelle, dai crolli finanziari ai boom digitali, dalle guerre senza termini, alle rivolte senza piani, abbiamo permesso che prendesse piede il disordine organizzato[4][T.d.R].
Informatizzazione e società
Bruno Somalvico nell’editoriale per il dodicesimo fascicolo della rivista Democrazia futura auspica una nuova Helsinki e invoca:
una “task force politica” per ricomporre i numerosi contenziosi “contro le intrusioni del mondo dell’economia e della tecno-scienza”, “grandi opzioni planetarie” per “globalizzare le regole del gioco”, salvare “i nostri valori” occidentali e“come nel Novecento difendere la democrazia e combattere ogni forma di totalitarismo”[5].
Sono auspici legittimi ma sono di rigore alcune puntualizzazioni.
La globalizzazione ha facilitato i progressi tecnologici, con l’informatica e con l’intelligenza artificiale sono state apportate formidabili innovazioni:nel campo medico, della comunicazione, delle investigazioni giudiziarie e al servizio delle forze armate.
L’economia globale è divisa in varie categorie di mercato, tra le quali il “sapere” o il “cognitivo”. Quest’ultimo concetto era stato stabilito dall’economista austriaco Fritz Machlup nel 1962[6]. Il saggio è incluso nell’appendice del rapporto ufficiale francese, pubblicato nel 1978[7], firmato da Simon Nora, poi direttore dell’École Nationale d’Administration (ENA) e ispettore generale delle Finanze, e dall’economista, Alain Minc, incaricati, dal presidente della Repubblica francese Valéry Giscard d’Estaing della missione esplorativa destinata a
“promuovere la riflessione sui mezzi dell’informatizzazione nella società”.
In un momento di crisi – la microinformatica individuale non era ancora attiva – la ricerca si concentrava sui punti di sostegno di cui la politica avrebbe potuto beneficiare. Infine, gli autori avanzarono due ipotesi per il futuro: in una società ad alta produttività, i conflitti si estenderanno progressivamente a tutti gli elementi della vita sociale. Essenziale
“non sarà di prevedere gli effetti della telematica, ma socializzare l’informazione”.
In un periodo di grandi mutamenti tecno-scientifici in grado di generare significative modifiche sociali la pervasività dell’innovazione e dei suoi prodotti ha, ovviamente, posto nuovi interrogativi alla politica, e persino messo in discussione l’autorevolezza della scienza, un assunto ben illustrato, fin dagli anni Novanta, nel saggio del professor Yaron Ezrahi della Hebrew University of Jerusalem (Israel Democracy Institute)[8]. Lo studioso Sante De Santis, in una lettura attuale comparata del pensiero del filosofo bresciano Emanuele Severino sul significato dei fenomeni politici, scrive:
[…] il palesarsi della società del rischio potrebbe sospingere la democrazia verso una tecnocrazia che riduca al minimo o, addirittura, estingua del tutto la possibilità per i cittadini di intervenire sulle scelte da prendere a vantaggio, invece, dell’esecutivo e/o degli specialisti, così da sancire in modo eclatante quella sottomissione della democrazia alla tecnica ben descritta dal filosofo bresciano [Emanuele Severino]. Tale deriva tecnocratica difficilmente potrà essere scongiurata ricorrendo a una ipotetica democrazia telematica, la quale non solo riproporrebbe sotto mentite spoglie il potere dei grandi gruppi capitalistici, ma, soprattutto nella sua versione più radicale, sarebbe portatrice di evidenti criticità che ne minerebbero la portata salvifica. Insomma, un declino, quello della democrazia nella civiltà della tecnica, che forse potrà essere scongiurato solo escogitando nuove formule che, oltre a superare la riduttiva concezione procedurale alla quale oggi la democrazia è confinata, siano soprattutto in grado di impedirne la sottomissione nei confronti di un Apparato tecnico-scientifico di cui invece dovrebbe essere guida, e ciò anche rifiutandone in certi casi i prodigi, che a volte innescano problematiche che superano di gran lunga i benefici immediati[9].
Nell’ambito del conflitto politico vi è un utilizzo perverso dell’Intelligenza artificiale ridotto, sovente, ad una polemica aggressiva accompagnata da menzogne strumentali all’attualità che inondano le reti.
Politica e polemica
La distinzione tra politica e polemica è essenziale e risale almeno a Plutarco. I primi autori classici del diritto internazionale – in particolare il diplomatico e giurista olandese Hugo Grozio – separarono nettamente le due nozioni. La politica riposa sull’esistenza di una società organizzata, è la gestione collettiva nell’interesse generale con un fine razionale comune, con un dialogo costruttivo e quindi non può essere dominato dal concetto “amico-nemico”, oggetto di controverso dibattito tra Carl Schmitt, Julien Freund, Raymond Aron[10] ed altri studiosi.Si legge nella rivista Esprit:
“La profonda influenza esercitata in Russia, a partire dagli anni Novanta, dal pensiero di Carl Schmitt non si limita ad Aleksandr Dugin, un ideologo […] le cui numerose tesi hanno trionfato con la guerra in Ucraina. L’opera del giurista tedesco è stata utilizzata dal regime di Vladimir Putin per promuovere il culto del leader, la depoliticizzazione dello Stato e della società, la sua militarizzazione e per designare l’Occidente come nemico della Russia”[11].
“Non possiamo confondere le società politiche e le società polemiche: il gioco di carte di Marcel Pagnol con la guerra di Troia, anche se entrambe illustrano lo spirito greco”
ha scritto il professor Serge Sur, membro dell’Académie des sciences morales et politiquesdi Parigi:
“[…] nemici che diventano amici, capovolgimenti di alleanze, deterrenza nucleare sul piano esterno, coalizioni elettorali mobili, provvisorio dominio di una maggioranza che non abolisce l’antagonismo nell’intervallo delle battaglie elettorali sul piano interno. Dialettica che si unisce al marxismo-leninismo, che fa anch’esso della distinzione amico-nemico l’essenza della politica, ma considera l’antagonismo di classe come una molla fondamentale e le guerre internazionali come strumenti rivoluzionari. Eppure, nonostante una seduzione che affascina molti intellettuali proprio per la sua oscurità, fare della distinzione amico-nemico il criterio della politica, assimilando così società politiche e società polemiche è chiaramente un’idea falsa[12]” [TdR].
La polemica implica, sovente, violenza fisica o verbale, false informazioni che purtroppo riscontriamo nelle società attuali non solo da parte di estremismi, ma anche in alcune sentenze giudiziarie su avvenimenti tragici dove la nozione di “nemico” prende tutto il suo peso a discapito del Diritto. Purtroppo, il concetto amico-nemico è ricorrente in un paese come l’Italia che non ha fatto i conti con il fascismo, e, persino in campo accademico, si fa ancora l’apologia dei comunismi con una dialettica immobile, permanente: “fascismo e antifascismo” che aveva un senso nell’immediato dopoguerra ma attualmente finisce per deformare i reali contesti su ibridi populismi e sui conflitti religiosi, entrambi sempre più invasivi.
Il “Novecento”, un secolo di drammi
Purtroppo, la memoria collettiva è una costruzione che varia a seconda dei tempi, dei rapporti di forza, degli interessi del momento e, talvolta, anche da una visione del tutto personale che non vede al di là del proprio naso, mentre i giovani diventano facili prede di un’informazione manipolata.
La Prima guerra mondiale (1914-1918) ha comportato un costo di dieci milioni di morti tra i combattenti, milioni di vittime tra i civili, sconvolse la mappa dell’Europa, crollarono tre imperi, provocò la rivoluzione sovietica. L’11 novembre 1918 segnò la fine di una carneficina quale non si era mai vista sul suolo europeo e portò in sé i semi della Seconda guerra mondiale. Hitler è stato sconfitto nel 1945 dopo un conflitto che ha fatto sessanta milioni di vittime. In Urss, il contributo dei partigiani sovietici e dell’Armata Rossa comportò 27 milioni di vittime. L’Europa dell’Ovest distrutta e l’Urss esangue. Nell’Unione Sovietica, dal 1945 alla caduta del Muro, si contano quasi novanta milioni di vittime tra persecuzioni, deportazioni, fucilazioni effettuate dal regime totalitario. Negazione dei diritti umani, tuttora attuali, che Il’ja Jašin – ex deputato russo e uno dei leader del movimento Solidarnost (liberale), arrestato e “scambiato” insieme al dissidente Kara-Murza nell’agosto 2024 – ha ben illustrato in un’intervista (sul canale francese LCI, 20 ottobre 2024). Senza ignorare i conflitti in Ruanda, Siria, Afghanistan, Iraq, eccetera. In nome della decolonizzazione, delle “libertà” e “dei diritti dell’uomo” si sono favoriti regimi autoritari in Africa e nei Paesi asiatici, avvantaggiando Cina, Urss e poi Russia, fin dagli anni Settanta. Una corsa per appropriarsi delle ricchezze minerarie creando ulteriori sofferenze a popoli che si sono illusi con la decolonizzazione di raggiungere una libertà e una prosperità che continuano ad essere negate, mentre i disperati sbarcano sulle coste del vecchio continente, fuggono i regimi repressivi ma anche la miseria: nel continente africano il 47 per cento degli abitanti vive sotto la soglia della povertà. Non credo si possa risolvere un problema grave per i migranti e per chi li deve accogliere con nebulosi provvedimenti e una selezione che pur di altra natura, ricorda tempi bui. Un costo umano impossibile da quantificare e un costo materiale eccessivo.
Ora i migranti vengono condotti in Albania in “campi di concentramento”, così li ha definiti il presidente della Fondazione Robert Schumann di Parigi, Jean Dominique Giuliani. In Italia li chiamano di “accoglienza”, come i centri di accoglienza dei pellegrini organizzati dai cattolici o delle scuole primarie con giochi creativi. Il linguaggio ha la sua importanza nel falsare la comunicazione per convincere delle buone intenzioni dei legislatori, che hanno dimenticato che bisogna saper parlare agli uomini non solo agli Stati. Il Novecento è caratterizzato dallo spostamento di almeno un centinaio di frontiere, dalla deportazione di interi popoli, “campi di detenzione” e “pulizia etnica”; negli anni Novanta la guerra dei Balcani e il suo corteo di crimini e “i campi” per i mussulmani in Bosnia, e altrove per i palestinesi, curdi, ciprioti, eccetera. l’elenco è lungo.
Possiamo solo augurarci che le dottrine conflittuali del XX secolo possano raggiungere il ricco museo delle false idee.
Un lavoro pedagogico contro gli integralismi e gli assolutismi.
Il diplomatico e scrittore spagnolo, rifugiato in Francia, Jorge Semprún, all’inizio del terzo millennio, disse che avevamo lasciato dietro di noi un secolo di sangue ma i conflitti etnici e religiosi che si preparavano non lasciavano presagire nulla di buono. Troppe religioni vogliono imporsi, il patriarca Kirill è al servizio del Cremlino, per non smentire una vecchia tradizione: dal Kgb all’Fsb. In Cina, Xi Jinping fa rivivere il culto della personalità con forti accenti religiosi contemporaneamente a una visione cinese del filosofo tedesco Karl Marx (!).
Dal 1979 in Iran lo sciismo è diventata religione di Stato, fondata dal safavide Shah Ismail (XVI secolo) con il primo impero mussulmano sciita. Il pensiero dei Fratelli mussulmani è sempre più intrusivo in Occidente. In Afghanistan il regime islamico si è installato nel 2021 a seguito di un accordo con l’allora presidente Trump ed ereditato da Biden. Numerosi studiosi hanno analizzato gli errori – nella costruzione dello Stato afghano – che hanno contribuito pesantemente alla disfatta degli Americani e alla vittoria dei Talebani, con quello che comporta di patimenti per la popolazione.
Negli Stati Uniti d’America la Chiesa evangelica è fortemente integrata nel tessuto politico e dagli anni Duemila la sua influenza è diventata particolarmente visibile, caratterizzata da una critica virulenta alla liberalizzazione sociale e in nome di un patriarcato che sarebbe
“inerente alle scritture bibliche” (!).
La destra cristiana evangelica e gli arabo-mussulmani conservatori hanno appoggiato e votato Trump fino a influenzare l’Alta Corte su temi della società civile.
L’antisemitismo ha una lunga storia, ha conosciuto molte varianti ed ha più volte modificato la propria tecnica di disinformazione. Un antisemitismo di destra violento e negazionista, ma anche di sinistra sta sempre più sconvolgendo la società in Europa. Quest’ultima viene da lontano quando una forte componente di sinistra si era formata nei molti decenni delle sanguinose lotte per l’indipendenza delle popolazioni coloniali e di due guerre mondiali.
Intellettuali comunisti prima operanti in Urss, a Cuba, eccetera, che negavano i Gulag ai tempi di Stalin, furono riciclati al servizio dei dittatori insediati in Libia, Iran, Algeria, Iraq e Siria, come organizzatori “kulturali” specializzati nell’ostacolare le forze della pace operanti in Israele e nei Paesi musulmani[13]. Un’eredità di cui riscontriamo attualmente gli effetti sul suolo europeo, sovente sotto la falsa bandiera dell’antifascismo strumentalizzando la tragedia di due popoli e il conflitto israelo-palestinese persino a scopi elettorali e promozionali.
Nelle congregazioni religiose cattoliche si accorda ai singoli il diritto di esprimere obiezioni, ed anche di dissentire, ma l’unità “ideologica” organizzativa è imperativa; questa, del resto, è stata l’origine storica del “centralismo democratico” del partito comunista. Il lontano Concilio Vaticano II (1962-1965) aveva evidenziato la netta distinzione tra “l’errore” e “l’errante”, ciò che la Chiesa può perdonare (errante) e quindi aprire un dialogo e ciò che condanna (errore) con fermezza.
Su questa linea il Santo Padre ha ribadito – secondo i suoi principi – concetti pilastri della Chiesa cattolica, ma con una violenza e dei propositi inappropriati. La società dell’ingiuria ha varcato anche le soglie del Vaticano.
In Europa il richiamo è sovente al “giudeo–cristianesimo” (sorvolando sulla persecuzione secolare dei cristiani contro gli ebrei anche se la Chiesa cattolica ha chiesto più volte perdono) che si vuole far emergere come unico “valore” per salvare la democrazia occidentale contro l’Islam. Non si deve imporre, ma portare la parola in favore della conoscenza e dei valori nel rispetto delle diverse identità, perché si sviluppi un “Islam des Lumières” aperto al dialogo come lo definisce il professor Luc Ferry, filosofo e uomo politico, e altri studiosi, e che il giornalista e scrittore franco-algerino Kamel Daoud, autore del bel romanzo Houris[14], ha saputo enunciare nei suoi propositi e nelle sue interviste, così il 75enne Boualem Sansal, una delle più importanti voci della letteratura francofona nei suoi saggi sull’islamismo arabo contro il fondamentalismo religioso e l’autoritarismo. Arrestato il 21 novembre 2024 in Algeri, insultato non solo dalla stampa algerina ma persino da certa stampa europea.
“Les grands chevaliers des droits de l’Homme ont-ils perdu leur voix?”,
si chiede Eliot Deval di CNews.
Non come nel “Novecento” ma come nel “secolo des Lumières” contro l’oscurantismo. Non serve una virtuale “task force planetaria”, è di rigore un lavoro pedagogico intenso e capillare – libero da influenze politico-economiche opportunistiche – che stimoli il senso critico, contro la violenza, l’intolleranza di religioni integraliste, dei regimi autocratici in favore dell’Universalismo.
“Lo stato di diritto va accompagnato da politiche educative”,
scriveva Karl Popper, e aggiungo: nei linguaggi e nei contenuti.
La conferenza di Helsinki e la divisione dell’Europa
La conferenza di Helsinki (1973-1975) si svolse nel contesto della Guerra fredda e fu il frutto della “distensione” e dell’equilibrio nucleare tra due potenze, Usa e Urss.
Le contraddizioni tra la volontà di collaborazione con l’Est e il timore di urtare gli interessi degli Stati Uniti d’America si risolse con un abile esercizio di equilibrio tra le due Potenze – come conferma la conversazione Nixon-Brežnev del maggio 1972 – lasciando l’Europa dell’Ovest in posizione d’inferiorità in merito alla prevenzione della guerra nucleare affidando ad altri l’avvenire della propria sicurezza. Ma, pur meno importanti, le forze nucleari francesi e inglesi erano, e sono, perfettamente credibili e gli americani non poterono non tenerne conto. Purtroppo, la “cooperazione” privilegiata tra i due Grandi si identificava in milioni di dollari. Gli Stati Uniti concessero crediti all’Unione Sovietica. Nel 1976-1977 il blocco dei paesi comunisti era indebitato con l’Occidente per 40 miliardi di dollari (di allora) e il debito aumentava poiché i sovietici dovevano obbligatoriamente importare impianti e tecnologia.
Contemporaneamente gli Americani chiesero agli Alleati europei una più forte partecipazione economica alla difesa comune; non è una novità ed iniziativa di Trump, solo il linguaggio volgare che caratterizza il personaggio è cambiato. Negli anni Settanta la “standardizzazione” degli armamenti a favore degli Stati Uniti indeboliva l’Europa e fu votata in sede UEO anche da Enrico Berlinguer con il pieno accordo sovietico. Insomma, l’Europa dell’Ovest doveva finanziare il riavvicinamento Mosca-Washington. Allora, per diventare indipendente, l’Europa avrebbe dovuto limitare il vassallaggio che comportava la revisione degli accordi di Parigi (1954) le cui azioni intraprese costituivano una tappa essenziale della Guerra fredda. L’architettura politico-strategica così messa in atto rimarrà pressoché invariata fino alla caduta dei regimi comunisti nell’Europa orientale nel 1989 e alla riunificazione della Germania nel 1990. Attualmente vediamo di tener conto di tale lezione, e di non soccombere di fronte a forze che non sanno utilizzare che l’aggressione e svalorizzano un’Europa del sapere, della pace e dello Stato di Diritto.
Luigi Cavallo, nel maggio 1976 ristretto nel carcere di Regina Coeli su mandato dell’allora giudice Luciano Violante per tentativo di sovvertimento delle Istituzioni (sic!) scriveva:
“Mentre le nubi si addensano sull’orizzonte internazionale – disordine monetario, asservimento economico, indebitamente generalizzato, pauperizzazione delle nazioni del Terzo Mondo, oltre che della maggioranza degli Europei, tentazione di sostituire il confronto al dialogo – non dobbiamo dimenticare gli insegnamenti della storia. Troppo spesso i confitti sociali sono stati risolti con la violenza e la persecuzione, e le difficoltà interne sono state superate scatenando conflitti alle frontiere […] In Europa troppi partiti sono asserviti all’Urss o agli Stati Uniti per ragioni non solo ideologiche ma materiali e pongono le proprie servitù al di sopra dell’indipendenza e della libertà delle nazioni cui appartengono. I Paesi europei debbono liberarsi delle servitù rispetto alle due superpotenze, il cui antagonismo può condurre l’Europa ad un catastrofico conflitto che la trasformerebbe in un campo di battaglia. Purtroppo, invece, la rete di impegni e servitù militari, diplomatiche ed economiche nei confronti delle due superpotenze si sta sempre più avviluppando attorno all’Europa”[15].
Gli accordi di Helsinki non sono più la bussola comune. Nei paesi dell’Est non sono ricordati come un momento felice poiché furono confermate le frontiere imposte dall’Urss alla fine del conflitto e quindi consacrata la divisione del vecchio continente.
Dopo la firma nel 1975 sarà molto difficile per i dirigenti occidentali aiutare l’Europa orientale a liberarsi. Vi sarà unicamente un leggero allentamento delle barriere che ostacolavano la libera circolazione delle informazioni, alcuni oppositori ottennero il Visa e poterono lasciare l’Urss ed esprimersi, a loro rischio purtroppo.
Nei confronti dei paesi satelliti dell’Europa orientale, la “dottrina Brežnev” o “sovranità limitata”, era priva di ambivalenza. Alla testa del Kgb, Jurij Andropov (1967-1982) rilanciò la repressione, in espansione dagli anni Settanta, contro i dissidenti e favorì l’esilio nei gulag e sovente l’internamento psichiatrico. La conferenza di Helsinki, auspicata dall’Urss aveva come obiettivo di migliorare l’immagine internazionale dell’Unione Sovietica mettendo a tacere tutta l’opposizione con il sostegno dei partiti comunisti occidentali.
Un nuovo ordine europeo
Ovviamente,non potrà limitarsi a riprendere il filo dell’Atto di Helsinki (non è un Trattato).
Gli avvenimenti di questi ultimi 50 anni e gli sconvolgimenti strategici, introdotti dal conflitto attuale in Ucraina, in tutti i settori di attività richiedono una riflessione allargata a molteplici campi d’azione. Nel Rapport Schuman sur l’Europe, l’état de l’Union 2023[16][i] che qui riassumo, si legge che nuovi accordi sulla trasparenza delle attività militari dovranno essere negoziati e integrati da trattati nel campo del controllo degli armamenti.
Sarà inoltre necessario tenere conto degli attacchi contro i gasdotti nel Mar Baltico per stabilire regole e azioni a tutela delle infrastrutture critiche per le economie dei Paesi europei e saranno necessarie discussioni sulle dottrine di deterrenza nucleare per
“trarre lezioni dalla guerra in Ucraina poiché costituiranno pietre miliari nel percorso verso una stabilità”.
L’architettura di sicurezza deve tenere conto delle
“numerose sfide emerse durante il conflitto ucraino: attacchi informatici, disinformazione, minacce alle forniture energetiche, alla sicurezza alimentare e ai trasporti marittimi, l’utilizzo militare nel caso degli immigrati portati alla frontiera bielorussia”.
Osce. Un organismo attivo anche se fragilizzato
Nell’ambito di un processo di istituzionalizzazione, la Conférence sur la sécurité et la coopération en Europe aperta a Helsinki (CSCE) nel 1995 è diventata l’Organisation pour la sécurité et la coopération en Europe (OSCE) – da non confondere con Ocse -, in seguito a una decisione adottata al vertice dei capi di Stato e di governo di Budapest nel dicembre 1994. Un cambiamento storico in atto in Europa che rispondeva alle nuove sfide nel periodo successivo alla guerra fredda, creando istituzioni permanenti e capacità operative. L’Osce è stata, ed è, un attore essenziale nella sicurezza paneuropea, in cui Russia, Stati Uniti, Canada, tutti i paesi dell’Europa e dell’Asia centrale potevano dialogare in un quadro multilaterale e su un piano di parità. Tuttavia, la struttura è in crisi con le tensioni Russia-Ucraina, ha subito la concorrenza di altre organizzazioni multilaterali: Nato, Unione Europea e Consiglio d’Europa che hanno maggiori risorse e le cui decisioni non sono soggette al consenso della Russia.
Con l’istituzione di una politica di sicurezza e di difesa comune (Psdc, 2004), l’Unione Europea è diventata attiva in settori che in precedenza erano considerati competenze dell’Osce, ma lavorano in sintonia, si precisa nei loro siti in Internet.
La questione della relazione con la Russia è in effetti il cuore della stabilità europea, ma l’irrigidimento ideologico e strategico di Mosca ha scavato un fosso difficile da superare, rispecchia ragioni storiche e geografiche contrastanti: la percezione drammatica sulla Russia vista da Varsavia o dall’Estonia non ha certo la stessa dimensione a Roma o a Londra.
Con l’intervento in Georgia nel 2008, l’annessione della Crimea e il sostegno di Mosca ai separatisti del Donbass, con l’aggressione di Putin, le interferenze nelle libere elezioni in Georgia ultimamente, i principi fondamentali dell’ordine europeo, il Diritto internazionale sono stati apertamente violati.
La guerra è diventata asimmetrica. Si tratta di una mondializzazione delle guerre civili e la fine di un equilibrio mondiale e della preminenza occidentale.
Una “nuova guerra fredda”?
La Russia è ridotta a potenza regionale, ma possiede il più potente arsenale nucleare al mondo. Putin alimenta la metafora di una nuova guerra fredda per far valere i propri interessi geostrategici e confermare l’esistenza di una “sfera d’influenza” come in passato con l’Urss. Ha contestato l’avanzata della Nato verso Est presentata come un’aggressione. Come tutti i regimi autoritari, la Russia neutralizza il conflitto politico interno proiettandolo verso l’esterno.
Secondo Putin, Washington non avrebbe mantenuto la promessa che George H.W. Bush avrebbe fatto a Gorbačëv nel 1990 di
“non allargare l’Alleanza”.
In realtà, la promessa fatta dal segretario James Baker a Gorbačëv nel febbraio 1990 concerneva il territorio della vecchia Repubblica Democratica Tedesca (Germania Est) e non i paesi dell’Est, come scrive Mark Kramer[17] e come confermano i fondi archivistici di Gorbačëv.
Nel 2012, il ministro russo Sergej Lavrov, con una rilettura storica, dichiarava che sarebbero
“l’Urss e il socialismo ad essere stati sconfitti nella guerra fredda e non la Russia”, e auspicava una “nuova Yalta”[18].
Già nel 2008 il presidente Medvedev aveva proposto il progetto di una HelsinkimII. In effetti Mosca auspicava riconfermare le influenze passate sui paesi ex satelliti, dividere l’Europa evidenziando così l’incapacità della Russia di uscire da una logica di scontro e il fallimento del suo approccio con l’Unione Europea e la Nato.
Con il crollo dell’Urss l’equilibrio del continente era stato profondamente modificato: molti Stati hanno ritrovato la loro indipendenza, altri si sono costruiti anche con l’effetto della svolta geopolitica a seguito dei conflitti nei Balcani occidentali. L’intervento delle forze speciali sovietiche nel gennaio 1991 a Vilnius, nella repubblica lituana, seppellì ogni possibilità di cooperazione tra Mosca e i suoi vicini.
La “comunicazione” in un periodo di crisi.
In un articolo datato 22 febbraio 2024 il professor Salvatore Sechi[19] utilizza una terminologia come “vecchia Europa piagnona” e formula un’immagine peggiorativa del nostro continente. Non me ne voglia il professor Sechi, ma certi propositi, recepiti inconsapevolmente, evidenziano il peso dell’influenza di Putin che menziona l’Occidente come “decadente”. “Piagnona” è terminologia che potrebbe essere attribuita a certi circoscritti ambienti politico- giornalistici che tornano sempre sugli stessi “misteri” italiani del secolo scorso senza nulla di effettivamente costruttivo, ma riempiono le scaffalature delle librerie di saggi, per lo più di poca rilevanza culturale-informativa, raddoppiano le proposte di commissioni parlamentari, e alimentano strumentali processi persino ai morti[20].
Siamo in mezzo a un guado e il “traghettamento” è difficile, quindi serve un’informazione scrupolosa, per quanto possibile, vista la rapidità e le altalenanti notizie. D’un monde à l’autre è intitolato il saggio di Dominique Trinquand – generale che ha occupato posti di responsabilità nella Nato, nell’Unione Europea e all’Onu – che illustra le strade strategiche del mondo di oggi per decifrare gli assi e i luoghi, una mappa del pianeta e delle crisi e delle problematiche, per considerare nuove strade verso la pace[21]. Nella attuale “guerra della comunicazione” certi intendimenti e termini sono utili come “depressivo” per indebolire il morale delle popolazioni e dei Servizi addetti alla difesa, in un momento in cui serve armarsi non solo materialmente, ma moralmente per affrontare la crisi che stiamo vivendo.
È sufficiente mettere a confronto e al vaglio cronaca quotidiana e libri con i discorsi di Putin e dei suoi collaboratori per rilevarne le “coincidenze” ideologiche, anche se sovente inconsapevoli. È interessante leggere il rapporto di 60 pagine compilato sotto la direzione di Sergej Karaganov, uno dei maggiori intellettuali russi, direttore dell’influente Consiglio di politica estera e della difesa[22][ii], un lavoro di riflessione con propositi artificiosi. Redatto da un collettivo di esperti russi e dedicato ad un programma di base con orientamenti e obiettivi per collaborare con quella che viene definita “Maggioranza mondiale” evitando il concetto contestato di “Sud Globale”.
Nel testo si ritrovano passaggi che riflettono il cuore del discorso russo, che riprende temi ispirati all’eredità sovietica e associando il Terzo Mondo a un anticolonialismo “di valori” non solo geopolitico e geo-economico, ma anche valoriale della Russia contro un Occidente, secondo i redattori,
“degradato e minoritario”.
Putin, insieme alle statue di Stalin, ha risuscitato la terminologia sovietica
“l’imperialismo e il colonialismo dell’Occidente”
e ovviamente tutto il suo rancore verso l’Alleanza atlantica. In un vecchio opuscoletto in uso agli allievi della scuola del Kgb alla domanda chi è il peggior nemico dell’Urss? risponde ovviamente: gli americani ma soprattutto la Nato e i suoi alleati. In Italia, ritroviamo propositi similari in trasmissioni televisive del servizio pubblico e in atti giudiziari[23].
I Repubblicani e l’isolazionismo
Scrive il professor Sechi che l’isolazionismo è sempre stato “per i repubblicani” “un vecchio, inossidabile rifugio”[24]. Senza evocare la storia da George Washington o la dottrina isolazionista di Monroe (1823), gli anni Venti e Trenta o l’estrema destra religiosa in opposizione all’Onu; dopo l’attacco di Pearl Harbour nel dicembre 1941 un isolazionismo fu impossibile e nel 1948 fu accantonato con la “risoluzione Vandenberg” (che prende il nome dal senatore repubblicano Arthur Vandenberg) che permise al governo degli Stati Uniti di concludere alleanze militari tra le quali la creazione della Nato nell’aprile 1949, il trattato di alleanza militare tra gli Stati Uniti e il Giappone, e anche la Seato nel 1954 ed altro. La Risoluzione segnò un passo importante nell’integrazione degli Stati Uniti d’America nel sistema di difesa occidentale con gli aiuti americani, economici o militari nella ricostruzione dell’Europa e della lotta antisovietica.
Nel quadro della Difesa, da Truman in poi la politica statunitense fu interventista. Nel 2000 Bush figlio tentò una politica isolazionista – a seguito delle guerre nei Balcani – poiché auspicava maggiori sforzi da parte degli Alleati. Ma dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, l’amministrazione Bush dovette applicare il principio della guerra preventiva (in Afghanistan, in Iraq) e l’adozione del Patriot Act contro il terrorismo internazionale.
Negli Stati Uniti il massimo vertice per le decisioni è il Congresso, con la vittoria di Trump e con la conferma di una maggioranza repubblicana del Senato il potere del Presidente si rinforzerà notevolmente nelle decisioni di politica estera. Il partito dei “trumpisti” ha poco da dividere con lo storico “Grand old party”, come è definito il partito repubblicano, oramai trasformato in un amalgama di sovranismo, populismo e di neoliberalismo estremo e tecnologico. Per la prima volta in due grandi democrazie, negli Stati Uniti il partito repubblicano di Trump è stato votato in massa dalle classi popolari, così in Francia il partito di Marine Le Pen. Dovrebbe far riflettere le sinistre!
In Europa sia repubblicani che democratici americani, in politica estera in ambito militare ed economico non sono mai stati “teneri” con gli Alleaticome già sopra accennato. Trump sa perfettamente che l’Europa attuale è una grande potenza economica di cui non è possibile disfarsi facilmente, purtroppo più che un businessman Trump assomiglia ad un mercante di un suk (il mercatino arabo) dove mercanteggiare è di rigore.
L’amministrazione Trump non potrà applicare certo l’isolazionismo nel Pacifico, “la Cina è vicina” (per ricordare un vecchio film di Bellocchio), il suo peggiore avversario. La Cina è il terzo donatore di aiuti allo sviluppo, il secondo partner commerciale e un investitore sempre più significativo nella regione delle isole del Pacifico. Pechino ha adottato un atteggiamento sempre più attivo in politica estera, anche fornendo mezzi militari consistenti. Inoltre, gli uomini d’affari cinesi espatriati esercitano una crescente influenza nella politica nazionale di Australia e Nuova Zelanda. Lo Stato cinese è in contrasto con le potenze tradizionali del Pacifico (Australia, Francia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Giappone).
L’Europa è un cliente dello zio Sam, paese che ha un deficit commerciale con l’Unione Europea, gli europei esportano più di quanto importano dagli Stati Uniti. Nel tentativo di cambiare la situazione, Trump e i suoi aggressivi consiglieri prevedono di imporre dazi doganali aggiuntivi. Possono decidere di concentrare tutto sul Pacifico e la questione di Taiwan e abbandonare l’Europa al suo destino o far pesare l’inferiorità atomica europea di fronte alla Russia per imporre i loro desiderata. La Nato per il 60 per cento acquista armi americane, quindi con benefici per gli Stati Uniti, anche se preferiscono non parlarne.
È una questione di rapporti di forza, e soprattutto di coesione tra paesi europei, coesione purtroppo fragile sotto vari aspetti.
L’industria degli armamenti in Europa.
Scrive il professor Sechi:
Questi ultimi [i Paesi alleati europei degli Stati Uniti] hanno appena avviato una discussione non facile e non breve sulla creazione di un organo dell’Unione europea per la difesa comune […] [per] dare vita allo ‘zar Per la Difesa’, cioè un Commissario che si occupi dei problemi della sicurezza e della economia di guerra, quando l’Europa non è stata in grado di fornire all’Ucraina le munizioni sul fronte […].
Se alle elezioni negli Stati Uniti vincesse Trump e rivedesse l’attuale sostegno all’Ucraina, non possono esserci dubbi che i Paesi europei lo seguirebbero. Che cosa potrebbero fare di diverso dal momento che l’Europa deve ancora dotarsi di una produzione industriale […][25].
Dopo la caduta del Muro, gli Stati Uniti d’America hanno apportato al loro arsenale militare delle ristrutturazioni profonde con fusioni, acquisizioni e strategie commerciali che con mezzi colossali hanno dato vita a dei giganti, mentre la Nato dalla fine degli anni Settanta ha ridotto gli armamenti, in particolare dopo la caduta del Muro. L’arsenale si era ridotto poiché rispecchiava tempi di pace, sebbene molte voci avessero richiamato più volte alla realtà[26] anche sul problema nucleare come arma di “dissuasione”.
Anche se inferiori rispetto a quelle americane, le forze di difesa nazionali europee sono tutt’altro che insignificanti.
Una potente industria militare nazionale costituisce un fattore essenziale dell’indipendenza politica ed economica, anche gli armamenti convenzionali possono essere un’arma di dissuasione. Gli ordini di armamenti spiccati dai governi, non rispondono alla normale domanda ciclica del mercato dei consumatori; costituiscono quindi un utile “stabilizzatore della congiuntura” ed esercitano una forza trainante specie nel campo della tecnologia avanzata. Gli armamenti sono un “moltiplicatore degli investimenti” per usare la nota espressione di Keynes.
L’industria militare nazionale per essere vitale deve raggiungere una certa massa critica. Le ordinazioni di armi provenienti dall’estero permettono di ridurre i prezzi per le forniture delle FF.AA. nazionali: allungando la serie diminuiscono i costi di produzione e viene contenuto l’aumento dei prezzi delle materie prime e dei semilavorati. Costituiscono anche un modo per finanziare la ricerca scientifica e la sperimentazione tecnologica, quindi mantenere la competitività sia dell’apparato industriale civile sia di quello militare.
Purtroppo, solo la Francia e la Gran Bretagna (fabbrica in Francia parte del suo nucleare) posseggono l’arma nucleare. Abbiamo invece, nell’ambito della globalizzazione, la [de]industrializzazione e la [de]localizzazione: le aziende farmaceutiche, quelle alimentari, quelle dell’abbigliamento ed altre, affidate a paesi terzi come la Cina, l’India eccetera. L’America sarà sempre più una società di mercato, l’Occidente con le sue tradizioni culturali è l’Europa, rilevante potenza economica ma la difesa europea rileva non tanto da una semplice cooperazione industriale ma da un progetto politico i cui contorni sono ancora difficili da designare. I paesi europei sono in competizione tra loro, nelle scelte degli armamenti e degli equipaggiamenti, preferiscono contratti unilaterali con gli Stati Uniti a discapito dell’Unione europea, per ragioni elettorali o di opportunità, ambizioni geopolitiche e sovente semplicemente per dare precedenza al commercio, persino dei formaggi, delle auto, dei vini (!).
Grazie alla “dissuasione” nucleare e soprattutto dopo la caduta del Muro gli europei si sono adagiati su un comodo pacifismo che hanno creduto acquisito per l’eternità. Il risveglio è brutale, sovente confondono la speranza con la strategia. L’Unione europea non è uno Stato, bisogna quindi rivedere i meccanismi di difesa al di là delle scelte di Trump, cosa non facile a causa, appunto, della divisione tra paesi europei. Un’Alleanza militare comporta anche il segreto industriale da dividere con Paesi dell’Unione Europea e forze politiche manifestamente pro-Putin o non prettamente democratiche, purtroppo destre estremiste e populismi ibridi aumentano in Europa.
L’Unione Europea e la Difesa, brevi cenni.
Nel 1999, a seguito dell’intervento della Nato in Bosnia e Kosovo, l’Unione Europea si è dotata, durante il Consiglio di Cologna e Helsinki, di una politica di difesa comune. Già nel 1998 francesi e britannici si erano riuniti a Saint Malo e avevano creato uno strumento complementare all’Alleanza atlantica che permetteva di intervenire militarmente anche senza gli Stati Uniti. Il ruolo dell’Unione Europea in materia di Difesa è cruciale ed è guidato dall’evoluzione dei contesti strategici e ovviamente ha subito cambiamenti dalla sua creazione, scrive Pierre Haroche.
In passato la politica di difesa era uno strumento “opérationnel” [funzionale]. La sua funzione era di condurre operazioni militari e civili fuori dell’Unione Europea. In seguito, è diventata più dinamica coordinando la produzione e l’acquisizione di materiali di difesa per gli Stati membri con una funzione “capacitaire” [La capacità di raggiungere uno specifico obiettivo di guerra][27] [T.d.R.].
Nel 2013, l’Unione Europea cominciò a riflettere sulla possibilità di investire per sostenere la ricerca in merito alla difesa e nel 2014, all’inizio del conflitto russo-ucraino diventò una priorità. Il commissario Jean-Claude Juncker, nel 2016, creò un fondo per sostenere lo sviluppo delle tecnologie di difesa.
Nel 2022, con l’aggressione di Putin la dimensione “capacitaire” attua più iniziative: gli europei cercano di fornire armi all’Ucraina e di armarsi loro stessi mentre dal lato “opérationnel” effettuano una missione di assistenza per formare le truppe ucraine (Eumam ucraina) nel 2022. Ma il sostegno militare dell’Unione Europea all’Ucraina si attua soprattutto con il rifornimento d’armi sovvenzionate dall’organismo “Facilité européenne pour la paix” (Fep) strumento separato dall’Unione Europea per finanziare le spese di difesa fuori bilancio dell’Unione, creato nel marzo 2021, volto a fornire aiuti militari ai paesi partner e a finanziare il dispiegamento di missioni militari dell’Unione Europea all’estero come parte della politica estera e di sicurezza comune[28] [TdR].
Nel 2023 il Servizio europeo per l’azione esterna ha creato un fondo destinato al sostegno militare all’Ucraina di 20 miliardi di dollari, poi diventati 35 contro i 60 degli Stati Uniti. In passato, nella politica di difesa, per via del principio di non “duplicato” delle azioni, la Nato era responsabile dell’Europa e l’Unione Europea delle crisi estere.
Inizialmente la politica europea di difesa era interamente intergovernativa, gli Stati decidevano all’unanimità, lanciavano un’operazione congiunta e ogni Stato restava autonomo di decidere della sua contribuzione. Con le iniziative del 2022 nell’ambito economico le decisioni non seguirono più la logica intergovernativanelle operazioni militari e la commissione ha acquisito un ruolo importante d’iniziativa con il coinvolgimento del parlamento europeo[29] [TnR].
Quindi quando gli Stati membri vengono consultati per utilizzare i fondi europei della difesa ora si pronunciano a “maggioranza qualificata” non all’unanimità. Il mutamento ha avuto lo scopo di rinforzare il ruolo delle istituzioni europee. L’Europa si è dotata di istituzioni e agenzie incaricate di assicurare la cooperazione tra industriali (Occar) che coordina i programmi mentre l’Unione europea ha creato l’Agence Européenne de Défense” (AED). Il Fonds Européen de Défense (FED) sostiene i progetti transnazionali. La creazione dell’industria della difesa europea rileva di una strategia a lungo termine con legami e spartizione delle competenze e del segreto industriale. Le industrie europee degli armamenti, come già detto, sono pegno di sovranità e protezione e le esportazioni nazionali d’armi sono essenziali per salvaguardare le “basi industriali e tecnologiche di difesa” dei Paesi produttori.
Una commissione è stata creata nel 2021 con una direzione generale dell’industria, della difesa e dello spazio The Directorate-General for Defence Industry and Space (Dg Defis) affidata al commissario europeo dal 2019, il francese Thierry Breton, che ha svolto un ruolo di primo piano quando è stato necessario porre l’industria della difesa europea “en ordre de bataille” per produrre munizioni di artiglieria destinate all’Ucraina, Règlement sur le soutien à la production de munitions (Asap). In parallelo l’organismo sopraccitato Facilité européenne pour la paix (Fep) fu mobilitato fin dal 28 febbraio 2022 dall’Alto commissario agli Affari esteri e della politica di sicurezza, lo spagnolo Josep Borrell.
Il 5 marzo 2024 la Commissione ha rivelato la ‘Strategia industriale europea di Difesa’ nota come European Defense Industrial Strategy (EDIS). L’obiettivo è di arrivare ad un orientamento comune dell’industria della difesa europea per trasformare durevolmente la Base industriale e Tecnologica (Bitde) tramite l’acquisto di equipaggiamenti militari in modo collaborativo e la consacrazione di spese specifiche ai mercati pubblici europei ,European Defence Industry Reinforcement through Common Procurement (Edirpa), creando un fondo di 1,5 miliardi di euro per il periodo 2025-2027 utilizzando, modernizzando, un arsenale legislativo già esistente.
È noto che Breton si è dimesso dopo un’aspra polemica con Ursula von der Leyen proprio in merito, a quanto sopra detto, cioè l’investimento di metà dei fondi europei destinati all’acquisizione di armamenti ed equipaggiamenti per la Nato ed energetico favorendo materiali americani invece che europei. Non esiste uno “zar” (lasciamo questo ruolo a Putin) poiché, come afferma il testo del Trattato,
“ogni membro del Collegio è uguale e ogni commissario ha la stessa responsabilità di realizzare le priorità”.
Ciò significa che tutti i commissari e vicecommissari devono lavorare uniti. Nel 2024 è stata
“instaurata una struttura più leggera, più interattiva e interconnessa”
si legge nella lettera di Missione e alcuni portafogli sono stati divisi e affidati a due commissari distinti come appunto la Difesa.
Andrius Kubilius, ex primo ministro lituano, è stato nominato commissario “per la Difesa e lo Spazio” e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha affidato una missione di continuità nell’attuazione della strategia spaziale dell’Unione europea per la sicurezza e la difesa che prevede due nuove proposte per il prossimo mandato quinquennale: l’European Space Act,
“una strategia sull’economia dei dati spaziali volta a liberare il potenziale dei dati derivati dallo spazio, prodotti e tecnologie”[30] .
In un’intervista di Grégoire Lory a Joseph Aschbacher, direttore generale dell’Agenzia Spaziale Europea si apprende che
“L’anno 2024 è cruciale per la politica spaziale europea, poiché l’Unione Europea dispiega le sue nuove generazioni di lanciatori per mantenersi in una competizione internazionale sempre più intensa […] Tra il lancio di un nuovo satellite da parte del razzo europeo Vega e, nel mese di luglio, il decollo dell’Ariane 6, la crisi dei lanciatori sembra definitivamente superata secondo Josef Aschbacher. L’agenzia è “sulla buona strada per emergere da [questa] crisi”. “L’Esa mantiene i suoi impegni. Abbiamo messo in orbita con successo Ariane 6, e non è cosa da poco, perché questi razzi mettono in orbita i satelliti di cui abbiamo bisogno nella nostra vita quotidiana. È davvero fondamentale. Quindi è un grande passo e un grandissimo successo per l’Europa. Recentemente abbiamo lanciato Sentinel-2C, con l’ultimo volo di Vega. Penso che l’Europa possa essere molto orgogliosa di questa serie di successi ininterrotti”. L’Europa sta senza dubbio segnando il suo ritorno nella corsa allo spazio[31] [TdR].
Arianespace è una società francese incaricata di commercializzare i sistemi di lancio spaziali “Ariane e Vega” sviluppati da “ArianeGroup”. Nel 2007 è intervenuto un accordo tra l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e l’Agenzia Spaziale civile Roscomos russa. Arianespace assicura anche lanci di Sojus.
Osservazioni su una “minaccia spaziale”.
Nell’articolo del professor Sechi del 22 febbraio 2024, già menzionato, l’autore assembla un insieme di frasi i cui contenuti si sovrappongono come se si trattasse di una sequenza di avvenimenti collegati. Si legge:
Putin sta a guardare ormai sicuro che, grazie alla Cina, all’India e alle monarchie arabe, il suo isolamento sia, se non finito, contenuto.
Non si spiegherebbe senza questo [stato] d’animo la sfida – di uno spessore criminale finora inedito – lanciata al mondo con l’assassinio del suo maggiore e più eroico oppositore Aleksej Naval’nyj. Questa crudele spudoratezza ha dietro di sé un evento recente che si tende a sottovalutare o tacere. Mi riferisco all’arma antisatellite segreta che da Washington il Pentagono ha accreditato come la raggiunta possibilità dei russi di usare l’energia atomica come arma antisatellite, e per uno scopo non difensivo […] che permette di portare in orbita le armi nucleari, e per scopi offensivi.
Il lancio nello spazio, il 9 febbraio 2024, della navicella Soyuz con un tale carico nucleare ‘top secret’, trova gli Stati Uniti incapaci di fronteggiare un tale attacco. In realtà ad essere rovesciato radicalmente è l’intero sistema degli equilibri e dei rapporti di forza tra Russia, Stati Uniti e la catena dei rispettivi alleati.A saltare in aria, come un torsolo, sarebbe il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, che vieta lo stazionamento nello spazio di mezzi di distruzione di massa. Mike Turner, il repubblicano che presiede la commissione di intelligence della Camera degli Stati Uniti, il 21 febbraio ha lanciato l’allarme sulla “seria minaccia alla sicurezza nazionale”[32].
Non vi era nulla di “inedito” nella morte di Naval’nyj poiché era, ed è,un problema di politica nazionale russa come quello di numerosi dissidenti di differenti sensibilità politiche che affollano le carceri russi, dei quali, in Italia la cronaca ed anche gli accademici se ne sono sempre occupati marginalmente. Tra i più noti dissidenti, ricordiamo Boris Nemcov – deputato e vice primo ministro russo con Boris El’cin – aveva ricoperto cariche di rilievo, grande riformatore liberale, assassinato con quattro colpi di pistola nella schiena nel 2015. Non vi è alcun legame con le dichiarazioni dell’americano Mike Turner del 14 febbraio (non 21) sul “razzo Sojus” (non navicella!) lanciato il 9 febbraio 2024, le cui dichiarazioni, riprese anche con titoli cubitali (il top secret e la paura del nucleare si vende bene!) erano manifestamente strumentali mentre, secondo alcuni quotidiani, il Congresso decideva sui finanziamenti all’Ucraina.
Oggetto di interesse era il razzo leggero di classe Sojus-2.1b. Tutte le informazioni sul tipo di satellite erano già state diffuse, nell’immediatezza e con precisione dal ministero della difesa russo, dalla “Tass” e dalla rivista Space. Si legge:
9 febbraio 2024, 10:03:44 MSK (07:03:44 UTC). Gli equipaggi delle Forze aeree e spaziali hanno effettuato, nell’interesse russo, con successo il lancio di Souyz-2.1b dalla rampa di lancio 43/4 del sito di prova di Pleseck. Il satellite messo in orbita è stato designato da Roscomos: Cosmos-2575. Ha ricevuto la designazione internazionale 2024-026A e registrato dal NORAD come oggetto 58929. Cosmos-2575 è stato lanciato su un’orbita circolare ad un’altitudine di circa 330 chilometri quindi simile ai piccoli satelliti per immagini del tipo EO Mkaj/Razbeg; è il secondo satellite Razbeg/MKA-V [T.d.R.].
Il ministro della Difesa russo in un comunicato successivo riferiva che:
“Il precedente lancio di un satellite della classe MKA è avvenuto nel dicembre 2023. Cosmos-2575 è stato schierato sullo stesso piano orbitale di Cosmos-2574. I due satelliti si sono avvicinati con una distanza di separazione di circa 10 km. Una connessione televisiva stabile è stata stabilita e mantenuta, i sistemi funzionano normalmente”[T.d.R.].
Nella stessa data del 9 febbraio 2024 la rivista on line Kosmosnews, l’actualité spatiale russe en français, scriveva:
“È interessante notare che gli ufficiali del Centro principale per l’intelligence situazionale spaziale delle forze aerospaziali hanno inserito informazioni al riguardo nel catalogo principale degli oggetti spaziali del sistema di controllo spaziale russo”. [KN: Questo è il primo lancio spaziale russo dell’anno 2024. Roscosmos ha qualificato il satellite come Kosmos-2575. È posto in un’orbita quasi polare di 97° con parametri di 348 x 360 km. Il lancio è stato effettuato dalla piattaforma di lancio 43/4 a Pleseck.] [T.d.R].
Lo spazio è attualmente sovraccarico di satelliti civili, militari e commerciali, un’esplosione nucleare distruggerebbe tutto, compresi i satelliti dell’aggressore. Pavel Podvig, direttore in sede a Ginevra del Russian Nuclear Forces Project ha dichiarato che anche prendendo di mira un sistema satellitare specifico questo ne distruggerebbe molti altri. Xavier Pasco, direttore della Foundation for Strategic Research (FRS), confermava:
“La minaccia di un’esplosione nucleare nello spazio è del tutto irrazionale poiché è un ambiente dove tutti sono interdipendenti”[33].
La militarizzazione del cosmo è vecchia come la corsa allo spazio. Dalla messa in orbita dello Sputnik, nel 1957, Washington e Mosca cercarono le modalità di armamento e distruzione dei satelliti che comportò molte polemiche fin dai tempi di McNamara. Nel 1967 le superpotenze e altri paesi firmarono il Trattato spaziale, che vietava la messa in orbita di armi di distruzione di massa (Ost). Il Trattato sullo spazio extra-atmosferico deve essere letto con i successivi trattati di non proliferazione nucleare. Vi sono riviste con informazione accessibili anche a persone digiune di questioni spaziali. Invece, una navicella russa Sojus, con a bordo due russi Oleg Kononenko e Nikolaj Čub (Roscomos, la Nasa russa) e l’americana Tracy Dayson (Nasa), dopo un lungo soggiorno nello spazio, erano partiti dalla stazione spaziale ed atterrati il 23 settembre 2024 nel Kazakistan.
Siamo nell’era delle fake news planetarie. Non bisogna farsi intimidire dalla retorica della minaccia nucleare di Putin e non fare da passaparola delle bufale strumentali che circolano nei quotidiani, in buona parte facili da controllare.
Putin e le “Alleanze”
“Putin sta a guardare ormai sicuro che, grazie alla Cina, all’India e alle monarchie arabe, il suo isolamento sia, se non finito, contenuto”[34].
I paesi così amalgamati creano confusione, poiché al lettore si lascia intendere una sorta di “Asse” politico che non corrisponde alla realtà, anche se i dirigenti di questi Paesi hanno avuto degli incontri con Putin e degli scambi commerciali con Mosca.
Eventuale alleanza è composta da Cina, Russia, Corea del Nord e Iran, ma vi sono differenze sostanziali. La Cina, come peraltro l’India, è contraria all’utilizzo del nucleare. Purtroppo, i rapporti con l’Iran, paese che dirige i gruppi islamisti come Hamas o Hezbollah, non sono rassicuranti.
L’adesione dell’Arabia Saudita ai Brics+ non è ancora confermata tanto che Izvestija ha scritto il 23 ottobre:
“Lo status dell’Arabia Saudita all’interno dei Brics sembra piuttosto vago”.
Al Convegno svoltosi a Kazan nell’ottobre 2024 – organizzato da Putin che desiderava apparire come il leader di un grande paese emergente che coordinava i lavori e le ambizioni d’altri paesi antioccidentali – Mohammad bin Salman era assente (sebbene invitato), era presente il suo ministro agli Esteri, Faisal bin Farhan Al Saud, ma non era seduto al tavolo dei nove rappresentanti vicini a Putin. In effetti ogni paese intervenuto era interessato ad un’organizzazione del mondo favorevole ai propri interessi ma il progetto di elaborare un sistema finanziario proprio ai Brics+ e alternativo alla potenza del dollaro proposto dalla Russia, è rimasto nel vago poiché i Paesi presenti hanno indicato che
“non pretendevano in alcun caso di rimpiazzare il sistema attuale, ma eventualmente completare le infrastrutture esistenti”,
senza fissare alcuna scadenza. Durante il convegno molto è stato fatto da parte di Putin per cercare di controbilanciare l’isolamento della Russia provocato dalla guerra in Ucraina, ma per lo più i partecipanti pensavano che fosse un problema che non li riguardava.
L’India, che ha abbandonato il “non-allineamento” del periodo di Jawaharlal Nerhu – nei confronti della guerra in Ucraina ha adottato un “approccio equilibrato” secondo le dichiarazioni. In passato l’Urss era stata generosa con gli Indiani e i rapporti sono proseguiti, ma New Delhi aspira a rendere il mondo il più multipolare possibile poiché la pluralità dei centri di potere su scala internazionale gli offre infatti uno spazio di manovra che gli consente di massimizzare i propri interessi.
India e Cina sono nemiche storiche per ragioni frontaliere, che risalgono a ben prima di Mao, ultimamente hanno concluso scambi commerciali ed energetici ma le frontiere con la Cina sono sempre controllate dai militari.
Nel 2023 vi è stato in un incontro di diplomatici indiani e americani a New Dehli con
“l’obbiettivo di approfondire una partnership strategica tra i due paesi e la collaborazione sul fronte tecnologico e della difesa”,
si legge ne Il Sole 24 Ore in un articolo di Mauro Masciaga. L’India è interessata soprattutto alla parte relativa all’Oceano Indiano, alla dimensione militare dell’Indo-Pacifico, incarnata dal Quad (Quadrilateral Security Dialogue: India, Giappone, Australia e Stati Uniti d’America).
I rapporti tra la monarchia waabita dell’Arabia saudita – guardiana dei luoghi santi – e l’Iran sciita sono caratterizzati da lunga inimicizia, sia per il controllo della leadership del mondo islamico sia per il petrolio; in merito avevo già scritto nel settembre 2017 nella mia Relazioneinviataalla Commissione Moro-2 (presidente l’on. Giuseppe Fioroni), nell’ambito della questione palestinese e quello che in Italia chiamano “lodo Moro”[35]. Mosca, Riyad e Teheran possiedono degli interessi comuni in materia di idrocarburi. Iran e Sauditi nel 2022 hanno iniziato dei pourparler. Il riavvicinamento tra Riyad e Teheran è stato accolto favorevolmente sia dagli Stati Uniti sia dalla Cina. Migliorando le relazioni con i Russi, Riyad e i suoi alleati regionali avevano anche l’obiettivo di limitare l’influenza di Teheran in Siria, temperando il sostegno relativo ai gruppi ribelli houthi nello Yemen e quindi la tecnocrazia sciita. Il mantenimento dei prezzi e della produzione di idrocarburi, così come l’estensione dell’immunità degli oligarchi russi su alcuni mercati finanziari del Golfo, costituivano gli obiettivi cardinali perseguiti dalla Russia per limitare le conseguenze economiche della sua azione internazionale.
La visita di Putin non ha deteriorato le relazioni stabilite con il patto di Quency del 1945 tra Ibn Saud e Roosevelt, pertanto, sebbene, alcune frizioni passate sulla questione dell’assassinio di Khashoggi e gli interventi in Siria, i Sauditi restano fedeli agli Stati Uniti.
Gli Emirati non hanno aderito alle sanzioni contro la Russia, così hanno potuto accogliere gli oligarchi russi e gli hackers russi ostili al Cremlino e alla guerra in Ucraina facendo pagare carissimo il diritto di residenza ma hanno fornito dei droni civili a Putin. Abu Dhabi è perfettamente cosciente del rischio effettivo in caso di perdita del mercato americano, essendo completamente dipendenti sul piano militare e bancario. Le monarchie del Golfo hanno riconfermato la loro equidistanza e intensificato le relazioni con l’Unione Europea tramite il Conseil de Coopération du Golfe” (CCG), neutralità confermata da Jasem Mohamed Albudaiwi, segretario generale. Putin non ha tempo di “stare a guardare”, ha una crisi economica interna molto grave con un’inflazione altissima. Senza le spese di guerra, l’economia del paese sarebbe già entrata in recessione da tempo, non è solo un problema monetario e del dollaro, dopo le sanzioni occidentali che hanno ristretto la capacità di Mosca al commercio persino nelle transazioni in yuan a volte bloccate da Pechino preoccupato di sanzioni secondarie americane. Mosca conduce una guerra con l’utilizzo di troppi uomini, i costi sono eccessivi. L’inflazione nell’alimentare e una scarsità di materie prime, ma un fattore pesa più degli altri, sull’intera economia: le fortissime tensioni sul mercato del lavoro e la carenza di manodopera. Le fabbriche prioritarie che operano 24 ore su 24 sono quelle della difesa, il che priva gli altri settori. Il 2 maggio 2024 Gazprom (lo Stato russo è azionario al 50 per cento), annunciava di aver subito una perdita record di 6,4 miliardi di euro nel 2024, per la prima volta dal 1999 quando vi fu la crisi finanziaria russa e il crollo del rublo. Per compensare la perdita del mercato europeo Putin si era rivolto a quello asiatico, quello cinese in priorità e poi a quello indiano.
Putin passerà alla storia per aver “ceduto” la Siberia ai cinesi che la Russia aveva colonizzato nel XVI secolo. L’argomento comporterebbe un’analisi approfondita e uno studio partendo da lontano per capire i rapporti della Russia, da quelli ereditati dall’Urss a quelli successivi nel campo commerciale e soprattutto energetico – che per i prossimi 20 anni sarà il centro della competitività – a quelli degli Stati Uniti e degli stessi Europei con le differenti nazioni e alleanze, comprese le monarchie arabe. L’Europa rischia di scoppiare, ricca economicamente, ma disarmata perché divisa, diventa una preda. Il futuro dell’Ucraina, con molte probabilità sarà deciso in un accordo tra Trump e Putin, quindi gli Europei devono essere al tavolo dei negoziati. Siamo in un contesto in cui tutti dobbiamo evitare per quanto possibile di demoralizzare le istituzioni europee, le critiche, ovviamente, sono ammesse ma costruttive, soprattutto in favore di una coesione.
La rivista Esprit, il 22 novembre 2024, ha ricordato che alla luce dei fallimenti del periodo tra le due guerre il filosofo cattolico Emmanuel Mounier, in un articolo del 1949[36] aveva criticato il pacifismo d’opinione, che portava,
“a voler restare in vita senza guardare al contenuto della vita, a [svuotare] così il senso della vita”.
Dobbiamo quindi stare attenti a non aspettarci la pace alle condizioni del vincitore, ma a volerla e a costruirla, in una prospettiva di giustizia. Nel 1945 l’Europa era distrutta, ha saputo ricostruirsi e diventare la seconda potenza economica nel mondo, i popoli europei hanno una tradizione guerriera, magari sono intriganti. Serve che l’Europa, si decida di avanzare in quello che oramai da anni è solo un progetto politico: la scelta di una leadership,non “planetaria”, ma europea costituita da dirigenti capaci e profondamente legati ai valori dell’Universalismo.
[1] Bruno Somalvico, “Per una nuova sovranità politica di fronte all’escalation delle guerre e allo strapotere della tecnoscienza. Ribadire lo spirito di Helsinki”, Democrazia futura, III, (12A), ottobre-dicembre 2023 (Hermes Storie di geopolitica. Mondo-Europa-Italia) pp. 1411-1412; Salvatore Sechi, “Un clima di guerra sull’uscio di casa” (con come occhiello “Diminuisce la percentuale di popolazione che vive in regimi pienamente democratici”) eodem loco, pp.1413-1414.
[2] Sébastien Lecornu, Vers la guerre? La France face au réarmement du monde, Plon, Paris 2024.
[3] Benoît Peeters, “Valéry, Derrida: quelle Europe?”, Diacritik, 23 aprile 2019.
[4] Jean-François Colosimo, Occident, ennemi mondiale N°1, Albin Michel, Paris 2024.
[5] Bruno Somalvico, “Per una nuova sovranità politica…”, loc. cit. alla nota 1.
[6] Fritz Machlup, The Production and Distribution of Knowledge in the United States, Princeton, Princeton University Press, New Jersey, 1962.
[7] Simon Nora e Alain Minc, L’informatisation de la société. Rapport à M. le Président de la République, 4 voll., Paris, la Documentation française, 1978.
[8] Yaron Ezrahi, The Descent of Icarus. Science and the Transformation of Contemporary Democracy, Cambridge, Massachussets, Harvard University Press, 1990.
[9] Sante De Santis, Tecno-scienza e democrazia: per una lettura comparata del pensiero di Emanuele Severino, “Politica.eu” e “Pagine nuove”, a. 8, n. 2, 29 luglio 2022 (online). http://www.rivistapolitica.eu/wp-content/uploads/Politica_Pagine_Nuove_2022_Estratto_De_Santis-1.pdf.
[10] Lettre a Schmitt, 14 gennaio 1954, in Correspondance avec Carl Schmitt (fondo Aron, Bibliothèque nationale de France).
[11] Esprit, 22 novembre 2024.
[12] Serge Sur, Ami, ennemi. Le politique selon Carl Schmitt. Formule simple, idée fausse, Aquilon, (10), giugno 2013, pp. 62-67 (online). https://www.afri-ct.org/wp-content/uploads/2016/12/Aquilon10.pdf. Articolo ristampato in Carl Schmitt. Concepts et usages, sous la direction de Serge Sur, Paris CNRS éditions, 2014. Serge Sur è professore emerito di Diritto pubblico all’Università Panthéon-Assas; segretario generale dell’Association des internationalistes; redattore capo della rivista “Questions internationales” (La Documentation française).
[13] Lorenza Cavallo, Un disinformante appello di cattedratici universitari. Replica all’Appello sulla “libertà di stampa” firmato da 20 personalità, in gran parte docenti universitari, a seguito della condanna del professor Roger Garaudy “per aver scritto un libro” e di critica della legge Gayssot (cfr. la lettera dal titolo “Quel libro non è razzista”, La Stampa di Torino, 18 marzo 1998, p. 20). La legge del ministro comunista Gayssot – imitata e seguita da leggi analoghe approvate da altri Parlamenti europei – è una legge finalizzata ad arginare l’intolleranza razzista e xenofobica dilagante in molte regioni d’Europa, del Medio Oriente, Asia ed Africa. Di condanna dell’apologia di crimini contro l’umanità definiti tali da sentenze passate in giudicato aventi forza di legge, anche europea, perché pronunciate da tribunali internazionali. La legge Gayssot con il quale fu inflitta la multa a Garaudy fu irrogata in base all’art. 24bis [che nel 1990 aveva completato la legge francese sulla stampa del 29 luglio 1881]. Con sentenza del 10 giugno 1993 la magistratura sancì che tale articolo non è incompatibile con la libertà d’espressione. La legge era stata istituita contro una propaganda di discordia sociale al servizio di potenti forze statali e terroristiche impegnate a sabotare il processo di pace nel Medio e Vicino Oriente (Biblioteca Université Cujas, Parigi; “Human Rights” ass. 8832, Préfecture de Fontainebleau, riprodotta nel periodico La fattoria degli animali, il bollettino diretto dal professor Marcello Braccini, aprile 1998, Torino).
[14] Kamel Daoud, Houris, Gallimard, Paris 2024.
[15] Luigi Cavallo, poi riprodotto in “Forze armate”, gennaio 1977, edizioni Domus, Milano.
[16] Rapport Schuman sur l’Europe, l’état de l’Union 2023,sotto la direzione di Pascal Joannin, Éditions Marie B, [Clichy] 2023.
[17] Mark Kramer, “The mith of a no-Nato-enlargement pledge to Russia”, The Washington Quarterly, XXXII (2), aprile 2009, pp. 39-61.
[18] Komsomol’skaja Pravda, 31 gennaio 2012 (www.crimea.kp.ru/).
[19] Salvatore Sechi, “Un clima di guerra sull’uscio di casa”, loc. cit. alla nota 1.
[20] Lorenza Pozzi Cavallo, Strategia globale e Difesa della pace (1970-1980). Terrorismo e Disinformazione in Italia, Torino, Paola Caramella editrice, 2024.
[21] Dominique Trinquand, D’un Monde à l’autre, Paris, Robert Laffont, 2024.
[22] Il rapporto è disponibile con una nota introduttiva di Marlène Laruelle anche in versione francese con il titolo “Dés occidentaliser le monde: la doctrine Karaganov”, Le Grand Continent, 20 aprile 2024 https://legrandcontinent.eu/fr/2024/04/20/desoccidentaliser-la-majorite-mondiale-la-doctrine-karaganov/.
[23] Lorenza Pozzi Cavallo, Strategia globale e Difesa della pace…, op. cit. alla nota 20.
[24] Salvatore Sechi, “Un clima di guerra sull’uscio di casa”, loc. cit. alla nota 1.
[25] Eodem loco.
[26] Lorenza Pozzi Cavallo, Strategia globale e Difesa della pace, cit.
[27] Pierre Haroche, “La politique européenne de défense: quel bilan?”, La Documentation française, 3 maggio 1924.
[28] Loc. cit. alla nota precedente.
[29] Eodem loco.
[30]Euronews, 1º ottobre 2024
[31] Euronews, 19 settembre 2024.
[32] Salvatore Sechi, “Un clima di guerra sull’uscio di casa”, loc. cit. alla nota 1.
[33] Xavier Pasco, Euronews, 21 maggio 2024.
[34] Salvatore Sechi, Un clima di guerra sull’uscio di casa, loc. cit. alla nota 1.
[35] Lorenza Cavallo, Disinformazione e Stato di diritto. Esame di alcuni casi significativi, Parigi, 8 settembre 2017, Relazione inviata alla Commissione di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro (2014-2018), e classificata “riservata”, come si desume dallo stenografico della Seduta n. 149 di mercoledì 20 settembre 2017, p. 3.
[36] Emmanuel Mounier, “Les équivoques du pacifisme”, Esprit, n.s., XVIII (2), febbraio 1949, pp. 181-196.
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