La crisi del Servizio Sanitario Nazionale è diventato tema di interesse generale. Lo hanno fatto proprio i mass media, compresi i “giornaloni”, le Associazioni degli utenti, le Accademie, le Società scientifiche mediche, i Sindacati, gli Ordini professionali, ed infine la politica. Il ritornello suonato per quarant’anni che il nostro servizio sanitario nazionale era il migliore al mondo non suona più. L’aumento della vita media considerato a lungo il frutto prezioso della organizzazione sanitaria comincia invece ad essere attribuito al benessere aumentato, al miglioramento degli stili di vita, al prevalere della genetica, eccetera.
Tutti oggi corrono al capezzale del grande infermo, ma a mani nude ed a tasche vuote, senza analisi della sfavorevole evoluzione degli ultimi 20 anni, senza recuperare il filo del ragionamento che ispirò negli anni 70 del secolo scorso quella grande straordinaria riforma. Nessuna ricetta per guarire, nessuna vera cura, nessuna iniziativa di alto profilo, solo, come si dice a Roma, “panni caldi” a costo zero economico, morale, strutturale,legislativo, eccetera.
All’origine il Sistema si fece largo tra strutture semipubbliche ossia gli Enti di assistenza meglio noti come “casse mutue”, fortemente indebitate, facili da liquidare e da riassorbire nel sistema statale. Lo stesso successe con gli Enti Ospedalieri sul limite del tracollo finanziario. Rimasero invece fuori molte strutture private a funzione complementare, teoricamente destinate all’estinzione: le case di cura convenzionate i laboratori anch’essi a convenzione col servizio sanitario nazionale, le potenti Università con i loro mega policlinici, la irraggiungibile medicina di base ossia del territorio, forte di oltre 40.000 unità e agguerriti sindacati. In pratica il servizio sanitario pubblico a gestione diretta era minoritario già all’inizio. La tesi era all’epoca che l’efficienza e la qualità del Servizio stesso avrebbe finito per cooptare o sostituire quello che era rimasto fuori dal proprio perimetro assistenziale.
Invece è successo il contrario: i policlinici universitari sono aumentati di numero, con la modifica del titolo quinto ogni Regione ha seguito il proprio indirizzo politico tra pubblico e privato, l’imprenditoria privata ha fatto man bassa delle strutture convenzionate, la medicina di base favorita dal burocratismo ha eretto un muro intorno alla propria funzione isolata e deficitaria. Così al Servizio sanitario nazionale a gestione diretta sono rimasti gli aspetti più critici e marginalizzati da un sistema privato vincente con il denaro pubblico e con il sostanziale aiuto dei cittadini ricchi e poveri.
Lo stesso completamento strutturale della riforma al di là della cura, ossia prevenzione riabilitazione, è finito in larga parte in mano al capitale privato che, dilatando il bisogni, ha finito col depauperare il pubblico di notevoli risorse professionali ed economiche.
Al capezzale del grande infermo oggi tutti fingono di prodigarsi,ma in realtà assistono inermi e malevoli con pezze calde e cucchiaini di acqua mentre hanno già chiuso le flebo e stanno per chiudere l’ossigeno: assassinio o suicidio assistito?
Agli inizi della crisi questa fu considerata dipendente dalla mancata attuazione di principi fondamentali e di alcuni aspetti della Riforma perciò la legge 833/ 1978 fu integrata con la 502/ 1992 e poi con la 288/ 1999 che si sono rivelate insufficienti se non inopportune.
In seguito la colpa degli insuccessi è stata attribuita alla mancanza di fondi, all’ingerenza della politica, alla ostilità di categorie professionali, alle esigenze incontrollate dell’utenza ed altro. E queste prese di posizione malgrado il successo e gli insuccessi della lotta al Covid sono tuttora sul tappeto. Ma l’elemento chiave solo ora comincia a diventare evidente: la vecchiaia dell’impostazione legislativa perché 40 anni sono tanti per una legge di grande impatto sociale perché in quattro decenni è cambiato tutto: l’epidemiologia, la natura e l’evoluzione delle malattie, la cultura sociale, le esigenze individuali, la strumentazione di ogni tipo, l’organizzazione civile, la distribuzione della ricchezza, la durata della vita, il sistema pensionistico, i rapporti con l’estero, l’abbattimento delle frontiere in Europa, la diffusione dell’informazione, le esigenze individuali ,eccetera eccetera.
Finanche il professor Cassese, illustre giurista ed economista, interessandosi dell’argomento con garbo ha finito col proporre che serve un check-up delle leggi, ossia una revisione dell’impianto.
Tra gli operatori del settore medici a non, l’esigenza di una vera riforma della riforma è sentita da tempo: in molti ne hanno scritto, in pochi sono stati ascoltati. I decisori politici continuano a proporre inutili rimedi ai guai di superficie tra i quali le liste d’attesa, l’ingorgo dei pronti soccorso ed il finanziamento del sistema. Nel PNRR l’obiettivo del capitolo 6 è stato sostanzialmente l’ammodernamento delle strutture, delle attrezzature e del sistema informatico, che certamente sono utili ma non indispensabili perché il Paese specie nel centro-nord e’ pieno di Ospedali moderni ben attrezzati. Le strutture inadeguate sono state chiuse o destinate a compiti complementari malgrado la resistenza dei Sindaci e di parte della cittadinanza che ostinatamente hanno difeso le loro strutture inadeguate, come dicono alcuni “buone per morire non per guarire”.
La rissa politica in corso riguarda il finanziamento del sistema di fatto fermo da anni se si tiene conto dell’inflazione e dell’aumento dei costi per una maggiore richiesta di prevenzione e riabilitazione, insomma di salute. C’è da dire che milione più milione meno i problemi non cambiano perché se guardiamo all’estero ossia ai grandi Paesi europei che soffrono di problemi analoghi, risulta evidente rapportato al Pil, il finanziamento italiano è di gran lunga il più povero.
Se allora le prestazioni in Italia non sono inferiori a quelle d’oltralpe rimane da chiarire da dove viene compensata la differenza di finanziamento. E questo è il nodo che la politica non vuole affrontare, perché questo Governo, come i precedenti, ha difficoltà ad ammettere che i soldi sono usciti dal mancato adeguamento di stipendi e salari del personale addetto. Controprova: perché con la disponibilità di organico sanitario vuoto e libero in tutta Italia medici e infermieri e tecnici sanitari italiani vanno all’estero? Perché trionfalmente gli assessori regionali da nord a sud sbandierano che sono stati ingaggiati medici cubani, infermieri argentini ed indiani ossia professionisti di Paesi nei quali stipendi e salari sono ben inferiori a quelli italiani? Perché le vocazioni a fare il medico sono diminuite notevolmente in Italia? Perché i posti nelle specializzazioni mediche di maggiore impegno rimangono ogni anno scoperti mentre le specialità che offrono prospettive di attività privata sono affollate? Perché la medicina è un’attività destinata ogni giorno di più ad essere identificata come una professione femminile, ossia come un secondo stipendio per le famiglie, ossia come la scuola?
Chiariamo una volta per tutte: se non si rivolta il tavolo riscrivendo i principi e le regole del Servizio pubblico, affrontando il costo del personale, non partendo da quanto fissato dall’ultimo contratto ma rifacendosi al quadro complessivo delle attività professionali e manageriali in Italia, la migrazione verso l’estero continuerà a crescere, l’immigrazione di medici e infermieri dai Paesi del terzo mondo sarà considerata una soluzione salvifica ed inevitabile, la qualità e la quantità delle prestazioni nel pubblico e nel privato specie convenzionato, è destinata al declino. Ripeto: assassinio o suicidio assistito ?
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