IL TRICICLO DI BOMBOLO…

E LE ELEZIONI POLITICHE

Nell’imminenza delle elezioni politiche si presenta ancora una volta agli elettori Bombolo Il rigattiere reso celebre dal film “Ecce Bombo” di Nanni Moretti. Nel suo triciclo c’è una grande quantità di cose vecchie che Bombolo giudica essere ancora utilizzabili, ma sono tali solo a voler chiudere un occhio o entrambi.

Nel triciclo c’è veramente di tutto: ci sono ad esempio le leggi elettorali adottate dal 1946 ad oggi: sono molto varie, da quelle di tipo proporzionale a quelle miste proporzionale – collegi uninominali, come quella ora vigente (proporzionale con lo sbarramento al 3% ed un terzo dei seggi disponibili riservati ai collegi uninominali a turno unico). E’ un problema più serio di quanto si pensi a prima vista che può incidere sulle sorti stesse della democrazia parlamentare. Sosteneva molti anni fa Vittorio Emanuele Orlando, il creatore del diritto pubblico italiano (fu Presidente del Consiglio e Commissario straordinario per la Camera dei deputati nel 1945) che la libertà dei cittadini è tutelata da buone leggi elettorali più ancora che dalla Costituzione che in verità ai suoi tempi, vigente lo statuto del 1848, i diritti civili li tutelava ben poco.

Orlando aveva ragione, è attraverso la legge elettorale che si garantisce il rapporto tra elettori ed eletti, tra cittadini e Parlamento. Il fatto è che, come fu rilevato correttamente in un dibattito tra eminenti giuristi pubblicato nel 1961 (v. Rassegna parlamentare, numero 4), l’assemblea costituente configurò un assetto del potere pubblico in cui le assemblee rappresentative (Camera dei Deputati e Senato) erano basati su un sistema di partiti politici: è attraverso di loro che (articolo 49) i cittadini avrebbero concorso a determinare la politica nazionale.

Poteva funzionare a condizione che si avessero idee chiare a proposito del partito politico ciò che non corrispondeva alla realtà. All’inizio del​ XX secolo ​l’esperienza partitica era stata bruscamente interrotta dopo appena una ventina di anni da un regime politico a partito unico: di precedenti a cui fare riferimento ve ne erano pochi mentre nel 1946 i grandi partiti presenti all’assemblea Costituente avevano una scarsa propensione a stabilire vincoli alla loro struttura, ancora in via di definizione ed ampiamente sorretta di fatto da organizzazioni collaterali che si ritenevano più opportuno lasciare nell’ombra (ad esempio la DC con i comitati civici ed il PCI con i comitati per la pace o i circoli del cinema).

C’era poi la questione dei quattrini: che come sarebbe avvenuto se i partiti politici fossero stati obbligati, ad esempio come ogni associazione, a rendere pubblici i bilanci quando arrivavano in abbondanza dollari e rubri per sostenere i due partiti maggiori? Nessuna norma dunque nella Costituzione a proposito dei partiti politici, nessun possibile controllo da parte degli elettori, iscritti o meno al partito, sui criteri adottati nella scelta dei candidati alle elezioni politiche, nessun freno alla formazione di potenti oligarchie all’interno di ciascun partito alla ricerca sempre più intensa di finanziamenti sia per mantenere, attraverso il gioco delle correnti, il potere interno acquisito, sia per finire nelle tasche del fortunato di turno. E’ chiaro che, tali essendo le premesse, tutto il sistema era destinato presto o tardi ad entrare in crisi. Con i partiti politici privi sempre più (e la cosa può apparire assurda) di contenuti politici e programmatici identitari la governabilità del Paese restò affidata alle intese personalistiche tra leader destinate ad entrare in crisi quando la corrente di quel leader restava soccombente rispetto a quella di altro leader dello stesso partito. I risultati elettorali, almeno fino agli anni 90, restarono oscillanti in una fascia​ molto ristretta. A produrre tale situazione era la macchina del partito oliata da denaro, favoritismi, clientele, fedeltà ideologica riflessi della politica internazionale, un complesso di elementi tanto vari da rendere alla fine ingovernabile la situazione per i partiti stessi. Le elezioni del 1994 segnarono il crollo del sistema e l’affermazione dei movimenti più o meno populisti (aveva iniziato nel 1946 un commediografo Guglielmo Giannini con L’Uomo qualunque).

A questo punto ci fu chi ritenne che l’errore fosse stato fare leva sul binomio partiti politici sistema elettorale proporzionale: meglio adottare sistemi maggioritari in grado di assicurare la governabilità rendendo certa la maggioranza all’indomani delle elezioni. In realtà già nel 1953 c’era stato il tentativo di varare una legge elettorale maggioritaria (due terzi dei seggi in Parlamento alla lista o alle liste elettorali collegate che avessero ottenuto alle elezioni più voti degli avversari politici). L’abbondante documentazione disponibile (v. Quagliarello, La legge elettorale del 1953, Bologna 2020) dimostra che nemmeno il Presidente del Consiglio De Gasperi era molto convinto della opportunità di una simile soluzione. Prevalsero ufficialmente i contrari con uno scarto di circa 50.000 voti, ma furono molti a sostenere (ed esiste anche qualche testimonianza per altro orale in proposito) che la stessa DC ebbe timore, se la legge fosse stata approvata, di una guerra civile con il PCI che rischiava, dopo una modifica della Costituzione, di essere dichiarato fuorilegge, come era avvenuto in Germania (i seggi attribuiti alla lista o alla coalizione vincitrice erano quelli stessi richiesti per le modifiche costituzionali). Fu sufficiente dare istruzioni affinché molte schede a favore fossero dichiarate nulle ed il problema fu risolto. Dopo il 1990 i sostenitori dei sistemi elettorali maggioritari tornarono alla carica sempre nella convinzione di assicurare al paese maggiore governabilità con maggioranze politiche chiare e precise. Si è trattato in realtà, come le cronache di questi ultimi mesi stanno dimostrando, di realizzare una maggiore garanzia delle oligarchie partitiche o movimentistiche lasciando loro la possibilità di garantire la loro dirigenza candidandone​ gli​ esponenti in collegi uninominali sicuri; una strategia di cui era maestro Giolitti a proposito della elezione dei suoi amici politici.

Bombolo giura che si tratta di cose che possono, con qualche aggiustamento, essere utilizzate anche in futuro, ma sono pochi i disposti a crederci: il grido “Ecce Bombo” risuonava invano.

Una classe politica elitaria, garante di se stessa, da una parte, con leggi elettorali di autotutela, come le norme sul procedimento per la presentazione delle liste elettorali: migliaia di firme necessarie per chi si presenti per la prima volta alle elezioni, legittimate un tempo per evitare il concorso alle elezioni di qualunque gruppo di mitomani o di liste tese solo a legittimare manifestazioni pubbliche aventi finalità diverse (ad esempio la pubblicità di un giornale come accade molti anni fa con una lista contrassegnata dal motto “La vita è una vitella “ ed ancorata ad un settimanale del tempo). Oggi la raccolta delle firme è restata un preciso obbligo che volenti o nolenti ha come effetto di rendere praticamente molto difficile se non impossibile la presenza elettorale di molti soggetti politici.

Sono dunque molte le ragioni perché Bombolo abbia in uno scatolame collocato sul triciclo tante leggi elettorali che nessuno vuole. Una scatola più piccola è contraddistinta dalla scritta “presidenzialismo”: all’interno ci sono le proposte, i tentativi, le trame,( talvolta eversive, come il piano di rinascita democratica di Licio Gelli) per assegnare maggiori poteri al Presidente della Repubblica. A dire la verità fu proprio un presidente della Repubblica (Giovanni Gronchi) a sostenere in una dichiarazione alla stampa del 13 giugno 1957 che il presidente non si può limitare a dare il capo di un governo al paese ma deve collaborare alla formazione del governo. Lo fece tre anni più tardi con il governo presieduto da Ferdinando Tambroni e l’Italia finì sull’orlo della guerra civile.

Oggi sembra che qualcuno abbia dimenticato quella esperienza senza peraltro alcuna seria riflessione sul tema. Eleggere direttamente il presidente​, come da qualcuno proposto, non significa modificarne in qualche modo la sfera di attribuzioni come prova l’esperienza ad esempio della Finlandia, paese in cui il Presidente della Repubblica è eletto direttamente dai cittadini ma ha poteri non diversi da quelli dei Presidente della Repubblica italiani, ​come fece notare già molti anni fa Leopoldo Elia (vedi Forme di stato in Enciclopedia del diritto).
Altro e diverso caso è quello ad esempio del presidente francese, pure eletto direttamente dai cittadini ma con poteri più vasti nel quadro di un equilibrio costituzionale complessivo molto diverso: basti pensare alla diversificazione in Francia tra le due camere del Parlamento. Limitarsi a proporre come grande riforma la elezione diretta del capo dello Stato è solo una quasi incredibile trovata elettorale per elettori inconsapevoli.

Tutta la merce di Bombolo è in realtà vecchia, superata, non più utilizzabile. L’elettore avrebbe bisogno di cose nuove, ad iniziare da una legge sui partiti politici per finire con una legge elettorale che consenta un rapporto politico effettivo fra elettori ed eletti. L’assenteismo elettorale è per larga parte determinato da questa esigenza insoddisfatta mentre Bombolo continua a percorrere le strade per vendere la sua merce inutile. Non ha più nemmeno bisogno di lanciare il suo richiamo: ci pensano i moderni imbonitori della comunicazione di massa a fare leva sulla credulità degli elettori.


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