Roma, Ottobre 43. Due uomini decidono di intraprendere un viaggio per tornare al loro paese in Umbria. E’ tempo di guerra, gli alleati risalgono da sud, i tedeschi invadono da nord. Nasce la Repubblica di Salò, il viaggio presenta insidie.
Ventiduesima puntata.
Albeggiò, si alzarono veloci, prepararono gli zaini, scesero da basso, e ripercorsero la strada tra i campi che avevano calcato la notte. Si ritrovarono sulla Flaminia all’altezza della curva che nascondeva il paese. Presero in direzione del valico, la strada era in salita ma non ancora impegnativa. Nel procedere, la carreggiata si fece via via più stretta e sempre più immersa in un bosco fitto di querce. Gli alberi ancora adorni di foglie dei colori dell’autunno, in parte cadute in terra sì che la strada ne veniva tappezzata. Gli alberi con i loro rami intrecciati formavano una galleria sotto la quale si snodava il passaggio.
Si era in Autunno e le foglie in parte cadute lasciavano intravedere il cielo, ma chi fosse passato lì d’estate si sarebbe trovato sotto una coltre impenetrabile ai raggi del sole, e la frescura avrebbe regalato un andare meno faticoso. Ma anche in quel giorno d’autunno la strada aveva l’aspetto di una galleria scavata nel bosco. Il sole non era comparso dietro i monti ma la luce progressivamente più intensa illuminava un cielo raro di nuvole. Nessuno sulla strada, silenzio intorno, interrotto dal flebile canto degli uccelli sugli alberi e dal rumore degli animali nella macchia che, in quell’ora del giorno, come gli umani, si disponevano chi all’azione chi al riposo. La strada prese a salire sul fianco della montagna di destra quella ad est, dove più intenso era il chiarore, messaggero del sole in procinto di apparire.
La consolare in quel tratto, era ancora come l’avevano costruita più di duemila anni prima, i legionari di Gaio Flaminio Nepote, prima che lui e i suoi perdessero la vita nella battaglia del Trasimeno contro Annibale. Forse sotto lo strato sottile d’asfalto c’erano ancora le pietre dell’acciottolato originario, ché tutte le vie consolari, per chiamarsi tali, lo dovevano avere, a distinguerle dalle altre bianche intorno, che si distaccavano dalla principale a formare il reticolo di comunicazioni che aveva permesso di governare la repubblica e poi l’impero. Nel procedere, la via abbandonava il bosco, avendo a destra la roccia della montagna e a sinistra un muretto che la delimitava dalla forra sottostante. Rari tratti rettilinei, continue curve che seguivano il profilo della montagna. Fatti alcuni chilometri si fermarono presso un fontanile coperto che doveva funzionare come ristoro dei passanti e abbeveratoio per gli animali da pascolo.
Nel vascone si raccoglieva l’acqua, proveniente da un tubo di ferro, gelido al tatto per l’acqua sorgiva che irrompeva attraverso di esso nel vascone. Da una apertura del pavimento usciva l’acqua, bagnando il terreno intorno e la strada. Si fermarono. Erano partiti, appena svegli, alla chetichella per seguire le raccomandazioni della donna, ora occorreva mangiare qualcosa e si sarebbero dissetati con l’acqua della fontana. Si sedettero a terra su una radura in prossimità. Tirarono fuori dalle sacche del pane, tagliarono alcune fette di capocollo e un pezzo di pan pepato, il dolce che la donna aveva regalato loro.
Divisero tutto per tre e mangiarono. Avevano proferito poche parole dal momento in cui si erano alzati sino a questo della sosta. Impegnati nella salita, avevano risparmiato le forze anche se il tragitto per arrivare al valico non era lungo, meno di una decina di chilometri in tutto, ma progressivamente più duro. Si andava dai nemmeno 200 metri di Terni ai 700 del valico della Somma. Ora mangiando e bevendo scambiarono le prime parole: un accenno alla donna magnificandone la gentilezza e l’avvenenza e poi a parlare nuovamente di casa. Calcolarono che da dove si trovavano rimanevano un po’ più di 80 chilometri per arrivare a destinazione. Avrebbero dovuto attraversare le città di Spoleto e poi di Foligno, oltre a varie cittadine e paesi. Davide appariva tranquillo, quanto era successo la sera prima, dopo lo sconvolgimento iniziale, gli aveva lasciato uno stato di serenità che si leggeva sul viso.
L’inquietudine che ci divora al pensiero di altro da noi che ci attrae, e che diventa desiderio irrefrenabile alla sua vista, nel momento della risoluzione catartica e dopo, si trasforma in serenità. Quell’abbraccio era stato tutto questo. Il turbamento e il desiderio culminati nella percezione su di sé di quel corpo di donna, esplorato dai sensi nelle sue sinuosità, incavi, sporgenze e indicibili delizie, era stato interrotto dalla carezza della donna che dolcemente lo aveva allontanato da sé. Frustrazione? Forse, per un attimo. Poi un sentimento nuovo, dove la carnalità si sublimava. Come per l’azione di un trigger che innesca una reazione nascosta e più deflagrante.
Non più, non solo il piacere insperato che quelle braccia aperte, accogliendolo, gli avevano regalato. Aveva provato qualcosa che lo avrebbe potuto legare per sempre a quella donna. La carezza con cui lei lo aveva invitato a tornare a dormire, atteneva a quel sentimento oltre la carnalità che chiamiamo amore. Dunque era sereno perché sapeva di amarla e se lo sarebbe portato dietro quell’amore come una cosa immarcescibile. Certamente non l’avrebbe rivista più o chi sa, ma lei c’era, quella sera aveva sentito di amarla e gli bastava. Non gli era mai accaduto prima, doveva passare in quel paese per diventare uomo. Si alzarono rimisero le cose negli zaini se li posero sulle spalle e ripresero il cammino. Ancora tornanti in quella ora del mattino che aveva lasciato alle spalle l’alba e si avviava a decidere che giornata avrebbe regalato a quella parte di mondo. Non ci fu da aspettare.
Da nord arrivò un vento freddo di tramontana che strappò dagli alberi le foglie morte e anche quelle in via di diventare tali. Ma tant’è la forza del vento era più forte dei tempi lunghi della natura. Anche il vento era natura ma talora gli elementi che la compongono si frappongono, cozzano tra di loro, sovvertono quello che appare il normale svolgimento degli eventi, così è anche della società umana. In questi guazzabugli si annida il cambiamento che diventa cosa nuova, magari progresso. È che anche nell’incessante corsa dell’universo verso l’infinito nulla, accadono cataclismi che alterano il fluire suicida. Magari nuovi, altri, big bang, che daranno inizio a nuove storie. Quel vento che un dio aveva liberato, avremmo detto un tempo, era metafora di tutto questo. Forse gli dei sfrattati dall’Olimpo ci sono ancora, raccolti in qualche parte dell’universo, accanto a tutto quello che la mente dell’uomo ha saputo inventare nei millenni.
Per intanto rendeva più difficile il cammino, però le nuvole erano scomparse e il sole brillava sopra di loro. La carreggiata nei pochi tratti rettilinei poteva consentire il passaggio di due vetture, ma nelle curve così strette non era possibile, e sicuramente doveva passare una per volta. Pensava questa cosa Silvio che guidava la piccola carovana, lui davanti, in modo che il passo del più anziano potesse dare una cadenza agevole per tutti. Dopo una curva ancora più stretta, un lungo rettilineo faceva intravedere in fondo il culmine della salita. Finalmente il valico della Somma. In cima, visibile per il colore rosso acceso, una casa cantoniera. Vi arrivarono. Fecero sosta lì. Dal paese di Strettura calcolarono di aver percorso un po’ meno di dieci chilometri. Comprese le soste erano passate un paio di ore.
C’era ancora una buona parte del mattino da spendere. Nessuno nella casa cantoniera, forse il cantoniere era in giro a controllare la strada nel tratto a lui affidato, magari si trattava di riparare qualche buca o prendere visione di qualcosa di più importante che richiedeva l’intervento di squadre addette. Poi magari viveva lì da solo, per cui lui assente, non c’erano altri in casa. Perché la casa del cantoniere era una vera casa, un focolare per il sostentamento, il riparo, l’amore di una famiglia. Con un orto dietro, e uno stazzo per gli animali, e se c’era un lavoro da fare, moglie e figli erano braccia di aiuto. Perché la strada da gestire era una estensione della casa che andava accudita, com’era per le case di campagna con il terreno introno da coltivare e con i componenti della famiglia, impiegati tutti nei lavori. E quando c’erano le ricorrenze stagionali della mietitura e simili ci si aiutava tra i casolari e al termine un grande banchetto all’aperto che chiamavano il pranzo delle opere. Si dava fondo alle risorse alimentari accumulate per l’occasione, soprattutto animali da cortile: papere, conigli, polli e pasta fatta in casa e vino soprattutto. Ritualità di feste antiche dove residui pagani si confondevano con devozioni cristiane.
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Una risposta a “IL VIAGGIO, 22esima puntata”
Nel ventiduesimo capitolo c’è una perfetta descrizione della natura che caccompagna il cammino di questi tre uomini. Il loro passo è forse più agevolato dal pensiero che la metà è sempre più vicina. I loro pensieri sono diversi e Davide è ancora preso dal ricordo dell abbraccio della donna che li ha ospitati. Natura, storia , amore. Un bel connubio……..e il viaggio continua…..