Roma, Ottobre 43. Due uomini decidono di intraprendere un viaggio per tornare al loro paese in Umbria. E’ tempo di guerra, gli alleati risalgono da sud, i tedeschi invadono da nord. Nasce la Repubblica di Salò, il viaggio presenta insidie.
Diciannovesima puntata.
Nel paese in prossimità del valico della Somma
Pensarono fossero diretti a Terni per rispondere alla chiamata alle armi che il maresciallo Graziani aveva proclamato alcune settimane prima, dopo la riunione al cinema Adriano a Roma. Il camion riprese la sua corsa. Udirono i versi di una canzone che parlava di giovinezza ma l’entusiasmo che colorava quella parola se n’era andato nella sabbia del deserto africano, nel ghiaccio della steppa russa, ancor prima sulle montagne della Grecia, per ultimo sotto le bombe dei liberatori anglo-americani. Prima di infrangersi nei gironi infernali del conflitto, Giovinezza era stato un canto, di più, un’epica che aveva accompagnato le adunate oceaniche del Duce, aveva riscaldato il cuore di adolescenti, riempito di sogni e aspettative quelle anime virginali. Ora, tanti camion come quello trasportavano gli adolescenti di ieri verso la tragedia finale. Altri camion in giro per l’Europa, ricolmi di soldati italiani, guadagnavano i campi di concentramento tedeschi, dai quali solo una parte sarebbe tornata a casa.
Il canto dopo la prima curva si attenuò sino a scomparire. Dopo pochi mesi quegli stessi ragazzi o altri come loro, avrebbero cantato un’altra canzone, l’ultima. Il primo verso diceva così: “le ragazze non ci vogliono più bene perché portiamo la camicia nera”. Era così, non solo le ragazze, ma nessuno li amava più. Portavano addosso il puzzo della morte imminente, fucilati dai partigiani o dispersi e nascosti per il mondo.
Lasciarono il tratturo e tornarono sulla strada principale, in fondo cominciarono a vedere le case di Strettura. Vi arrivarono. Poche case in fila sui due lati della strada, qualche persona in giro, un negozio di alimentari, la chiesa in alto verso la montagna sul lato occidentale, incredibilmente una farmacia, e un negozio di macelleria di carni bovine ed ovine. Si fermarono lì. C’era bisogno di provviste, forse vi avrebbero trovato qualcosa da poter conservare per i giorni a seguire. Speravano che le restrizioni della guerra non avessero colpito duro, magari qualcosa gli esercenti lo avevano nascosto, sottratto al commercio ufficiale. Si chiamava borsa nera e in città permetteva di andare avanti compensando la tessera annonaria. Soprattutto la vicinanza con i campi e i boschi di quella parte dell’Umbria, dove c’era ancora chi coltivava terra e armenti, lasciava sperare bene. Si era lontani da Terni e anche da Spoleto, se non fosse stato per la strada di grande comunicazione, quel paese e la zona limitrofa poteva essere un angolo di mondo risparmiato dalla tragedia bellica. Entrarono, videro merce su un lungo bancone di pietra. Da un lato un po’ di carne salata per una lunga conservazione: una lonza, un capocollo, una parte di prosciutto, alcune salsicce secche. In mezzo pendeva da un gancio, una vescica di strutto. Dall’altro lato un pane di coppa. C’era anche mezza forma di formaggio. Nel complesso poca roba, ma tanta per il periodo. Dietro il bancone, un ragazzo poco più che adolescente, con il quale, prima di parlare di acquisti, i tre viaggiatori presero a chiedere e a fare domande. Lui non si sottrasse e confermò che il negozio si serviva dai contadini e allevatori di bestiame della zona. Più precisamente da quelli oltre la montagna, verso il territorio della val Nerina e la qualità del prodotto aveva creato un buon giro di clienti nel loro negozio. Ora si era ridotto per la guerra, e ultimamente avevano subito anche furti da parte di sbandati che passavano per la via. Avevano timore che le cose sarebbero peggiorate da quando avevano visto transitare i tedeschi e sentito i bombardamenti su Terni che raccontavano l’avvicinarsi del fronte e l’incrudire anche in quelle contrade del conflitto. Di conseguenza macellavano di meno e sul bancone come loro avevano potuto vedere, oltre la coppa non c’era carne fresca. Solo quei prodotti salati preparati mesi prima. Quello che avevano, era stato messo tutto sul bancone il mattino, e quello che vedevano era ciò che era rimasto. Per tradizione quello era il giorno della settimana nel quale la gente del paese e del circondario veniva a fare spesa. Altrimenti negli altri giorni tenevano tutto in un ripostiglio fresco attiguo al negozio. Parlò di un padre che stava sotto le armi e di una madre e un fratello più piccolo che ora erano in casa. Il negozio lo mandava avanti la mamma e lui aiutava. In quel momento lei impegnata nelle faccende di casa con il fratellino che diligentemente le dava una mano. Aggiunse che comunque di lì a poco lei sarebbe venuta, anzi se volevano prendere qualcosa, era meglio che ci fosse lei e affacciatosi oltre una porta che dava sulla casa attigua la chiamò.
La donna dopo un po’ apparve sul vano che divideva il negozio dall’abitazione. Apparve sì, perché si trattò per i tre uomini di una visione. L’idea di bellezza femminile che ognuno di loro in modo diverso custodiva dentro di sé, si materializzò per incanto, e per tutti, in quella donna che era apparsa sulla porta. Ai tre viaggiatori quasi si fermò il respiro e sgranarono gli occhi, non avevano mai vista una bellezza così assoluta. Indossava una veste, lunga sino al ginocchio, abbottonata sul davanti. In alto l’ultimo bottone slacciato scopriva ampiamente il collo, poi, quel drappo di cotone morbido e ampio scendeva a coprire i seni, dei quali lasciava intravedere il solco divisorio, e il resto del corpo. Ma non riusciva a nasconderne le sinuosità che urgevano dentro come in una prigione. E con il movimento si manifestavano, se pur coperte, e per questo più attraenti e disperanti. Si intuivano le cosce levigate che l’ultimo bottone slacciato lasciavano intravedere, come il seno florido, rotondo, che appariva parzialmente nel muoversi di lato della donna, attraverso la scollatura. E quello che non si vedeva, appariva ancora più conturbante: una salienza della veste, esasperata dai capezzoli, che inutilmente e pudica il vestito ricopriva; più in basso i fianchi che succedevano con armonia all’incavo del punto vita; l’addome piatto che si pronunciava in fondo con la salienza della regione pubica. Un corpo di media statura, formoso, ma nel contempo leggero ed elegante nel muoversi, un viso di un ovale perfetto, carnagione olivastra, una bocca che si apriva ad illuminare tutto il viso, due occhi neri come i capelli che ricadevano in ciocche sul collo e sulla fronte. Il tutto illuminato da un sorriso perenne, inevitabile corollario di tanta bellezza che si offriva agli altri. E con quel sorriso, guadagnato il bancone, si rivolse ai nuovi clienti così: cosa possiamo servire a questi bei signori?
CONTINUA …