Roma, Ottobre 43. Due uomini decidono di intraprendere un viaggio per tornare al loro paese in Umbria. E’ tempo di guerra, gli alleati risalgono da sud, i tedeschi invadono da nord. Nasce la Repubblica di Salò, il viaggio presenta insidie.
TERZA PUNTATA: Uscita da Roma e sosta a Grotta Rossa
Attraversarono porta Flaminia e furono fuori Roma. Lì la strada continua diritta proseguendo l’asse viario del Corso, e corre all’incontro con il Tevere che raggiunge dopo alcuni chilometri. Zeno si volse indietro a guardare la città, cinta dalle imponenti mura che il generale Stilicone aveva eretto su ordine dell’Imperatore Aureliano per difendere Roma dai barbari. Non ce n’era stato bisogno sino ad allora, perché dopo Brenno nessuno aveva più osato, o meglio era stato in grado, di minacciare la città.
Neanche Annibale con la capitale in ginocchio si era azzardato. Zeno non conosceva tutte quelle antiche storie. Si chiedeva invece con quali macchine avessero tirato su le pietre, magari a mano, pensava, ché la mano d’opera non sarà mancata e comunque le avevano fatte solide: resistevano da duemila anni. C’erano voluti i Savoia per buttarle giù in alcuni tratti, dopo le cannonate di Porta Pia. Nelle nuove aperture ci fecero passare le strade che andarono costruendo dentro la città, in modo da farle assumere le sembianze di una città europea, con anonima impronta torinese. Per il resto le mura conservavano le antiche porte che davano passaggio alle strade consolari.
Queste partendo dal Foro collegavano il centro dell’Impero con tutto il mondo conosciuto. Quella che avevano attraversato dava passaggio alla Flaminia, consolare che percorreva il Lazio e l’Umbria, per terminare in un primo tempo a Fano (Fanum-Fortunae) nelle Marche, e successivamente a Rimini (Ariminum), in Romagna. La percorrevano, un tempo, le legioni della Repubblica e dell’Impero, per conquistare il mondo. Le calpestarono poi le orde dei barbari che posero fine al sogno, e dopo di loro altri eserciti, a spartirsi quello che rimaneva dell’antica bellezza. Pellegrini infine, a visitare i luoghi della fede e le nuove pietre che riedificavano la perduta grandezza.
E fu la nuova Roma dei Papi sovrapposta ai ruderi imponenti del passato. Dopo vennero i palazzi umbertini e i recenti monumenti del regime. Una accozzaglia di stili architettonici che seguono il succedersi dei tempi, e fanno l’incredibile bellezza di Roma.
Poche parole tra loro mentre camminavano di buon passo. La via lasciava le poche case che ancora raccontavano la grande città alle spalle e si consegnava alla campagna ricca di buona terra che Zeno aveva imparato a conoscere da bambino quando seguiva la madre nei campi del lavoro. Si fermarono a bere su una fontana sul ciglio della strada.
Ce n’erano lungo le vie consolari, da secoli, raccoglievano e distribuivano l’acqua delle colline e dei monti intorno, servivano per ristorare i legionari in marcia per la gloria di Roma e poi i pellegrini che andavano a pregare sulla tomba di Pietro e a ricevere la benedizione dal Papa. Silvio e Zeno indossavano abiti da viaggio di velluto pesante con un pastrano sulle spalle per la pioggia e la notte, scarponi militari Zeno e nelle ampie saccocce le armi che aveva portato con sé. La folta capigliatura di entrambi, che era un tratto genetico di quella famiglia, si muoveva al vento che spirava da sud e minacciava di portare pioggia.
Corpi asciutti, muscolosi per via del lavoro, procedevano agili lungo il ciglio della strada. Zeno precedeva lo zio Silvio, gocce di rugiada bagnavano i suoi baffi. Piaceva alle ragazze, Zeno, con i suoi baffi e il modo di camminare. E i calli sulle mani di muratore non confliggevano con l’eleganza dei suoi modi e del parlare. Per questo non si era sottratto a qualche avventura in giro per le città d’Italia dove arrivava per il lavoro dei cantieri. Poi aveva conosciuto la Regina e si era mantenuto fedele, anche perché la consorte era donna gelosa e tosta, non sarebbe passata sopra ad eventuali debolezze. In una occasione corse un serio pericolo.
Erano arrivati in paese i fratelli di una ragazza con cui Zeno aveva discorso in quel di Pisa e sembra che lei soffrisse troppo, perché loro non si andassero ad accertare delle intenzioni del quel fantasma umbro che era transitato nella loro città. Capirono e se ne tornarono da dove era venuti. Era comparsa già la Regina nella sua vita anche se non erano ancora sposati. E comunque lei non ne seppe nulla e fu meglio così, altrimenti di Tarquinio e del possibile Marcello non se ne sarebbe fatto nulla, una pratica non esperita.
Ogni po’ incontravano uomini in bicicletta che andavano a Roma per lavoro. Poche automobili con il peso sul tetto del carburo per il gas. Passò anche una colona di camion militari tedeschi, diretti a Roma. Non si occuparono di loro, passarono oltre. I due si guardarono senza parlare, e tirarono un sospiro di sollievo. Continuarono lungo la strada ed arrivarono al Tevere. Lì la Flaminia attraversa il fiume su un ponte rimasto lo stesso dai giorni della battaglia tra Massenzio e Costantino: ponte Milvio. Un tipaccio Massenzio, superbo e pieno di sé, aveva dalla sua il Senato. Si era insediato da tempo a Roma, con la potente guardia pretoriana a difenderlo.
Si sentiva l’unico, il vero capo dell’Impero. Non così Costantino, più concreto, riflessivo, lungimirante. Senza idee di grandezza dichiarate o ostentate, ma quando fu il tempo le avrebbe tirate fuori. E che idee! Da cambiare il mondo, meglio e più di quanto era riuscito a fare prima di lui Diocleziano. Il regolamento di conti non andò bene a Massenzio. Costantino ne fece strage e come raccontano di Annibale contro Flaminio sul Trasimeno, da cui le acque del lago, rosse per giorni del sangue dei legionari; così fu del Tevere per il sangue dei legionari e dei pretoriani di Massenzio.
Attraversarono il ponte e proseguirono sulla strada che per un lungo tratto correva a ridosso della sponda del gran fiume. Quando furono nella zona del Foro Italico si imbatterono in un camioncino dove stavano finendo di caricare legna tagliata nei boschi circostanti. Si fermarono e chiesero al conducente indaffarato se gli occorresse un aiuto, in cambio la richiesta di un passaggio per il tratto che avrebbe fatto nella direzione del loro camminare.
Questi era diretto nella zona di Grotta Rossa. Doveva portare legna ad un casale lungo la via. Salirono sul camion, dietro, in mezzo alla legna, ché, davanti, accanto al guidatore, non c’era posto. Era uno di quei camioncini a tre ruote con la parte posteriore più ampia, aperta, dove si caricavano le cose da trasportare, e davanti un abitacolo piccolo ricavato sopra il motore che poteva ospitare il guidatore e poco più. Così, solo un po’ occultati, erano comunque contenti, per il riposo del corpo e la minore visibilità rispetto al camminare a piedi lungo la strada. A destra il Tevere aveva smesso di correre, perché si allargava in una sorta di lago artificiale a causa della diga che avevano eretto poco più a valle. Vi si formava una grande riserva d’acqua, anche una difesa della città in caso di piene, come sovente era accaduto nei secoli passati, prima della costruzione dei muraglioni.
A sinistra la strada correva a ridosso di una rupe che si estendeva per chilometri in lunghezza. Era evidentemente una scelta costruttiva degli ingegneri romani, come a cercare un supporto roccioso cui ancorarla, infatti anche in Umbria e nelle Marche si ritrovava quella cosa. Ma lì appena fuori Roma la rupe era crivellata di anfratti e caverne che lasciavano pensare ad un loro più antico utilizzo come ripari o addirittura abitazioni di popolazioni primitive. Forse il selciato di pietre cubiche della strada consolare ricopriva un tratturo preistorico, via di comunicazione di quelle antiche popolazioni.
Arrivati su un rettifilo comparve in lontananza un grosso casale di tufo con altre costruzioni annesse che proiettavano la loro ombra sulla rupe vicina. Il camioncino si fermò lì, dal casale uscì un uomo basso e tarchiato che salutò il legnaiolo e con l’aiuto di loro due presero a scaricare la legna e ad accatastarla in una caverna che fungeva da ripostiglio. Avevano guadagnato quel passaggio dando una mano al camionista e ora al locandiere a sistemare la legna. Così furono invitati ad una sosta e un po’ di ristoro
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