Questo 8 settembre ricorre l’ottantunesimo anniversario della battaglia di Porta San Paolo e il conseguente inizio dell’occupazione tedesca della Capitale. Il maresciallo Badoglio, che fino a quel momento aveva temporeggiato (l’armistizio fu firmato cinque giorni prima in Sicilia, a Cassibile, dal generale Giuseppe Castellano), fu quasi costretto a comunicare la fine delle ostilità con gli angloamericani via radio proprio da questi ultimi. Il testo è ancora oggi fonte di dibattito per il suo contenuto poco chiaro. Sotto accusa resta la sua parte finale che recita: “ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi alta provenienza.”
Questo carattere ambivalente del testo creò non pochi fraintendimenti: da una parte c’era chi credeva che finalmente si potessero deporre le armi, dall’altra ci fu un totale sbandamento sia militare che civile (non si capiva più chi fosse il nemico). Il governo e il re, per paura di cadere in mano ai tedeschi lasciarono Roma e si diressero verso Brindisi. L’esercito venne lasciato al suo destino. I nostri militari, in balìa della sorte e senza ordini precisi, divennero protagonisti, loro malgrado, di accadimenti drammatici durante i quali si distinsero per atti di eroismo estremo, come a Cefalonia dove la 33ª divisione di Fanteria “Acqui” scelse di non arrendersi ai tedeschi e fu annientata, o di imbarazzante vigliaccheria – il grottesco episodio delle alte sfere dello Stato che non riuscendo a salire sulla corvetta Baionetta si spogliò degli abiti ufficiali e si diede alla macchia per paura di cadere in mano ai nazisti.
Il giorno dopo venne ufficialmente creato il CNL (Comitato di Liberazione Nazionale). I maggiori partiti che ne fecero parte furono: Democrazia Cristiana, Partito Comunista Italiano, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, Partito d’Azione, Partito Democratico del Lavoro, Partito Liberale Italiano.
Tra questi quelli più determinati a opporsi alle forze occupanti furono i comunisti e i socialisti. I primi diedero vita ai GAP (Gruppi d’Azione Patriottica), vero e proprio braccio armato del Partito Comunista, i secondi alle SAP (Squadre d’Azione Patriottica), il cui operato si concentrava più su azioni di sabotaggio che non su vere e proprie azioni di guerriglia come per i primi.
Roma, nonostante fosse stata dichiarata città aperta, formula usata dalle parti belligeranti durante i conflitti per evitare la distruzione del luogo, divenne teatro di aspri scontri tra i soldati della Wehrmacht e i partigiani delle formazioni comuniste. La guerriglia urbana che ne scaturì portò a decine di fatti di sangue, tra i quali quello che più è riuscito a dividere l’opinione pubblica tanto da suscitare ancora oggi aspre polemiche fu l’azione gappista di via Rasella, avvenuto il 23 marzo 1944.
Nell’attacco, portato avanti da una decina di gappisti, rimasero uccisi 33 soldati nel battaglione Bozen, ne scaturì una feroce rappresaglia che culminò nell’Eccidio delle Fosse Ardeatine.
La storia è soggetta a differenti interpretazioni, già a ridosso degli accadimenti vengono date spesso versioni contrastanti dei fatti, venendo meno coloro che quei fatti li hanno vissuti le vicende vengono riportate in maniera sempre differente e le interpretazioni si arricchiscono di nuovi punti di vista. Questo però crea confusione e lascia spesso l’amaro in bocca perché è ovvio che, se si mettono in risalto alcuni accadimenti mentre se ne trascurano altri, avranno un peso differente anche coloro che di quegli episodi sono stati protagonisti.
La storia, così come è stata tramandata, ha consegnato all’immaginario collettivo eroi e vili, ma al contempo ne ha trascurati a decine sia nell’una sia nell’altra categoria, questo anche a causa del passare degli anni e della difficoltà di trovare fonti attendibili capaci di verificarne l’operato.
Noi però vogliamo oggi ricordare due personaggi della Resistenza romana, che come molti altri sono stati dimenticati ma di cui, fortunatamente, grazie ai racconti di alcuni testimoni e alla presenza di documenti che ne accertano il coraggio e la forza d’animo, conosciamo il deciso contributo alla guerra di Liberazione: Duilio Grigioni e Angelo Joppi.
Grigioni era il portiere di uno stabile sito in via Marco Aurelio 42 – nei pressi del Colosseo -, fece parte del GAP centrale Pisacane, comandato da Rosario Bentivegna. Oltre a prendere parte a diverse azioni di guerriglia urbana dimostrò di aderire pienamente alla causa di Liberazione mettendo a disposizione dei gappisti romani una cantina di sua proprietà ubicata nell’edificio in cui lavorava. La cantina divenne deposito di armi e fu usata anche come rifugio.
Ebbe un ruolo fondamentale nel coprire le fughe di molti gappisti romani e sviare le indagini della polizia. Fu catturato per delazione di Guglielmo Blasi e portato nel carcere di via Tasso. Citiamo un passo dal libro di Rosario Bentivegna, “Achtung banditen”, in cui il comandante del GAP Pisacane, colui che accesa la miccia che fece detonare i 18 chilogrammi di tritolo che portano alla morte dei 33 militi del Battaglione Bozen in via Rasella, ricorda il coraggio di Grigioni:
Duilio era il vecchio portiere nella cui cantina avevamo trovato rifugio. A lui avevamo affidato il segreto della vita di ognuno di noi. Era l’unico a conoscere, di molti di noi, il nome e l’indirizzo; a lui avevamo consegnato le lettere che avevamo preparato per le nostre famiglie, se, nel corso di un’azione, fossimo caduti e le nostre madri fossero state costrette a non vederci più.
Eravamo convinti che la sua situazione fosse più tranquilla della nostra e comunque pensavamo che la sua tempra generosa di vecchio popolano, ex anarchico, avrebbe resistito a qualsiasi tortura. Solo Duilio e Spartaco avrebbero potuto tradirci, e furono tra quelli che subirono le peggiori torture. Duilio veniva disteso in terra con le braccia e le gambe divaricate, legate con delle corde e stirate cosicché gli fosse impossibile ogni movimento. I fascisti di Koch, dall’alto di un tavolo, gli saltavano a piè pari con gli scarponi chiodati sull’addome e sul torace. Ebbe le costole fratturate. Lo pigliavano a calci sulle fratture […] non parlò mai.
Il secondo, Angelo Joppi, è stato decorato con la medaglia d’oro al valor militare. Sottoufficiale dei Carabinieri Reali, entrò a far parte del Fronte clandestino di Resistenza dei Carabinieri diretto da Filippo Caruso. Si rese protagonista di numerose azioni di sabotaggio ai danni dell’esercito di occupazione tedesco, ma, anche lui su segnalazione di una spia verrà tradotto nel carcere di via Tasso dove per novanta giorni verrà sottoposto a indicibili torture che lo renderanno invalido a vita. Non parlerà. Condannato a morte riuscì a salvarsi.
Spirerà a ottant’anni nel 1984. Ha lasciato di lui una preziosa autobiografia.
A quarant’anni dalla morte il Comune di Roma gli ha finalmente dedicato un viale all’interno del Parco dell’8 settembre.
Di lui vogliamo invece citare un significativo passo della motivazione dell’assegnazione della medaglia d’oro al valor militare:
Arrestato e rinchiuso nelle tetre prigioni di via Tasso, vi giacque per circa 90 giorni, subendo 28 martorianti interrogatori e le più atroci, massacranti, immense torture, per estorcergli rivelazioni sull’organizzazione del fronte militare di resistenza. Sopportò con adamantina eroica fermezza i più strazianti feroci supplizi, che resero il suo corpo permanentemente invalido, per nascondere severamente il segreto. Luminoso, sublime esempio di virtù militari, di assoluto sprezzo del pericolo, di completa appassionata dedizione alla causa della Patria.
A questi due esempi di appassionata dedizione all’idea di Libertà vogliamo oggi dedicare il nostro ricordo ed esprimere la nostra sincera gratitudine.
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