Con Antonio Bassolino, leader nazionale del PCI, il più importante partito comunista del mondo occidentale, parliamo di politica, di lavoro, di diritti sociali e di diritti civili, lotta alle disuguaglianze, “autonomie unitarie”.
Per lungo tempo dirigente del Partito Comunista Italiano, sempre protagonista. “Ho fatto tutta la trafila come si usava una volta”. Una prassi, tristemente, caduta in disuso.
Il grande Giorgio Amendola, dirigente del PCI lo mandò in Irpinia “per farmi fare le ossa perché a Napoli ero stato segretario di una sezione frequentata soprattutto da operai di fabbrica e da lavoratori edili”. Doveva “imparare a stare anche in mezzo ai contadini”.
In Irpinia Antonio Bassolino rimase dal 1970 al 1975.
Nel 1976 torna a Napoli e assume la Segretaria Regionale, poi viene chiamato a Roma nella Direzione Nazionale, nella Segreteria Nazionale del Partito Comunista Italiano.
Bassolino sarà uno dei fondatori delle forze politiche nate dal Partito Comunista Italiano, del Pds, dei Ds e del Partito Democratico.
Nel 1993 si candida a sindaco di Napoli e sarà primo cittadino per due consiliature.
“Nel 1993 per la prima volta il sindaco veniva eletto direttamente dai cittadini – osserva – lo scontro tra me e Alessandra Mussolini fu molto forte, scontro mantenuto da parte di tutti e due entro livelli civili, senza mai superare il giusto limite”.
“Fino a quando mi sono candidato sindaco sono stato uomo di partito. Un minuto dopo essere stato eletto sindaco ho detto: sono e sarò il sindaco di tutti i Napoletani, di quelli che mi hanno votato, di quelli che hanno votato per la Mussolini e di quelli che non sono andati a votare. Allora la percentuale di chi andava a votare era molto alta e quindi davvero potevo dire di essere il sindaco di tutti i cittadini. Poi sono stato eletto direttamente dai cittadini per due volte in Regione. Tanto ero stato uomo di partito prima, tanto sono stato uomo delle istituzioni poi, e ancora oggi mi considero tale”.
Presidente, con il distacco di chi assiste ad una pièce teatrale qual è il suo giudizio sul PD e sulla commedia che si recita oggi sul palcoscenico politico?
“Penso che la Schlein stia facendo bene, é indubbio il suo impegno di rafforzare il Partito Democratico dopo un periodo di seria difficoltà.
Il partito in questi ultimi tempi è molto più attivo, è protagonista sia in Parlamento sia nel Paese. Al tempo stesso c’è un cammino da fare per costruire un’alternativa alla destra e al centro destra. E’ molto importante creare le condizioni per essere alternativa di governo. Questo sarà tanto più possibile quanto più si metterà in campo, nei mesi prossimi, un programma per l’Italia per rendere chiaro ai cittadini che il Partito Democratico conduce le sue battaglie avendo l’obiettivo di contribuire assieme ad altre forze a governare il Paese”.
Secondo lei com’è potuto accadere che un terzo degli elettori abbia votato per i Cinque Stelle, un movimento che aveva come proposta politica il V -Day? Un evento singolare che merita un’analisi.
“Ai tempi della prima repubblica gli spostamenti tra le principali forze politiche erano contenuti, negli ultimi tempi, invece, sono impressionanti le salite e le discese di alcune forze politiche. La questione riguarda sia i Cinque Stelle sia la Lega. In poco tempo hanno raggiunto livelli molto alti non perché, come spesso dicono gli stessi dirigenti dei Cinque Stelle, non erano né di destra né di sinistra, ma perché erano di destra e di sinistra al tempo stesso. Sia i Cinque Stelle che la Lega sono partiti da percentuali molto basse, hanno avuto una salita incredibile, ma tanto impetuosa e forte era stata la salita, tanto impetuosa e forte è stata la discesa”.
Parliamo del fenomeno del populismo che, sicuramente, non arricchisce il dibattito politico.
“Il populismo è la reazione a politiche sempre più lontane dai cittadini. Come si combatte il populismo? Con politiche popolari e con forze popolari, non si combatte con politiche di élite, ma avendo sensibilità popolare. Le vere politiche popolari hanno serietà e consistenza, bisogna far vedere che le forze popolari possono davvero rappresentare le aspirazioni e i bisogni delle grandi masse più disagiate. E’ necessario ripartire dalla lotta alle disuguaglianze”.
Che idea si è fatto della situazione attuale della sinistra? Crede che possa ancora ritrovare una sua identità forte?
“È il cammino che bisogna fare, che devono fare il Partito Democratico e le altre forze di sinistra. E’ importante, diversamente da come sono andate le cose, il legame con il mondo del lavoro, con gli operai, con i lavoratori di fabbrica, con i lavoratori del terziario, con le nuove forme di precarietà del lavoro e con le sue enormi articolazioni. L’identità del Partito Democratico e di altre forze di sinistra esiste e si rafforza nel legame con il mondo del lavoro. Se il Partito Democratico e le altre forze di sinistra sono forti in quella che dovrebbe essere casa loro, si possono fare tante alleanze con forze diverse dal mondo del lavoro, con i ceti medi produttivi, ma se si è deboli in casa propria, se il Pd e altre forze di sinistra sono deboli proprio nel mondo del lavoro è difficile fare alleanze, perché si è subalterni.
E poi bisogna portare avanti, senza false contrapposizioni, sia i diritti sociali che i diritti civili. Bisogna essere in grado di rappresentare gli uni e gli altri: abbiamo due occhi e devono guardare in tutte e due le direzioni”.
Il Sud ha sempre avuto un ruolo complesso nel contesto europeo. Secondo lei, cosa servirebbe davvero per valorizzare il Mezzogiorno e ridurre il divario con il Nord?
“Non serve certo l’autonomia differenziata, non serve al nostro Mezzogiorno, ma non fa bene neanche al Paese. In Italia abbiamo già tante disuguaglianze sociali, civili, territoriali. C’è bisogno di ridurle, non di aumentarle. Servono quelle che io chiamerei autonomie unitarie, altro che differenziata. Abbiamo bisogno di valorizzare le Regioni e i Comuni perché la Repubblica nasce sul territorio. E’ indispensabile, inoltre, la collaborazione tra le diverse istituzioni da chiunque siano governate. Da sindaco ho dialogato con Prodi e con Berlusconi, l’ho fatto anche da presidente della Regione. Tra la maggioranza e l’opposizione dentro la singola istituzione il conflitto è del tutto legittimo, entro un limite giusto, perché aiuta la crescita civile del Paese. E’ sacrosanto il conflitto tra forze politiche, ma tra le istituzioni non può esserci conflitto, tra istituzioni deve esserci collaborazione. Questa cultura a volte fatica ad affermarsi”.
Napoli è cambiata molto negli ultimi anni. Lei che da sindaco è stato l’artefice del Rinascimento napoletano come vede oggi la città e quali pensa siano le sue sfide più grandi?
“Sulla città oggi deve essere fatta una riflessione vera, anche critica. La riflessione vera aiuta la stessa amministrazione. Più volte ho chiesto in Consiglio Comunale al sindaco Manfedi e alla Giunta di fare un primo bilancio politico. A mio avviso bisognava farlo dopo i primi cento giorni come si usa fare in tante democrazie, poi dopo il primo anno e poi a metà mandato. Siamo a più di tre anni. Fare questo bilancio è indispensabile. Bisogna presentarsi e dire in Consiglio Comunale e alla città: abbiamo fatto questo, non siamo riusciti, invece, a fare questo e quell’altro. Non siamo riusciti a fare quello che sarebbe necessario, neanche quello che noi stessi avevamo detto di voler fare e perché. E’ utile sollecitare la partecipazione e vedere che cosa c’è da correggere. Se mi chiedessero che cos’è il Comune direi che è buche stradali, parchi, giardini pubblici, frequenza del trasporto pubblico. E’ la vita concreta dei cittadini. Più è alta l’attenzione, più aumenta la fiducia dei cittadini e si possono affrontare anche le questioni che attengono allo sviluppo e al futuro della città. Mi ha colpito la scarsa riflessione sullo studio del Sole 24 Ore che colloca l’area metropolitana di Napoli al penultimo posto per qualità della vita. Lo studio avrebbe dovuto essere un motivo per animare la riflessione critica che non c’è stata”.
Oggi cosa la appassiona di più?
“Cerco di dedicare i miei sforzi e le mie energie alla partecipazione democratica. In molti Comuni e in molte Regioni la partecipazione è addirittura sotto il cinquanta per cento e tende a scendere anche per le elezioni nazionali e per le elezioni europee. La situazione è preoccupante, dovrebbe scattare un allarme democratico perché l’astensionismo di oggi non è il vecchio qualunquismo, è una scelta politica. E’ un dire sto fuori, sto contro. L’astensionismo di oggi è nettamente, ormai, il primo partito italiano. Spingere alla partecipazione democratica è il dovere di tutti quelli che come me hanno una lunga esperienza e si considerano uomini delle istituzioni”.
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