JAGO OVVERO JACOPO CARDILLO, UNO SCULTORE IN FIERI

Quando sono andata a visitare la mostra di Jago a Palazzo Bonaparte a Roma, ero molto incuriosita, di lui avevo visto poche opere, ma quelle poche tipo l’infante esposto a Napoli in Piazza del Plebiscito in pieno periodo di pandemia (infatti l’opera è stata chiamata lockdown) avevano sollecitato il mio immaginario.

È difficile spiegare a parole le emozioni che si provano in determinati momenti, ma voglio provare a parlarne con voi liberamente per condividerle e fare chiarezza.

All’inizio del percorso mi sono imbattuta in una costruzione cilindrica credo site specific alla cui sommità erano state esposte sculture: riproduzioni di cuori umani multicolorate. Cuori immobili, il loro battito inesistente, debbo confessare la mia inadeguatezza nel concepire tale istallazione, mi sono ritrovata in una condizione di fermo innaturale!

È pur vero che l’arte, se è per tutti, si deve prestare ad una libera interpretazione, ma probabilmente, in quel momento, la mia percezione non mi ha trasmesso l’input giusto per una corretta comprensione dell’opera.

Del resto ciò capita spesso. A tale proposito, ricordo le parole di Federico Fellini, quando ci fu la prima di un suo film; credo si trattasse di “Ginger e Fred”, quando gli fu chiesto all’uscita del cinema se il film gli era piaciuto Lui risposte che sì vista l’atmosfera che si era creata in quella sala quella sera, ma che non sapeva cosa sarebbe accaduto in circostanze del tutto diverse.

Ma riprendiamo l’iter della visita. In una sala attigua vi era esposta “Il figlio velato” chiara allusione al “Cristo velato” del Sanmartino esposta nella Cappella San Severo a Napoli, Ho molto apprezzato la capacità scultorea dell’autore, ma non comprendo la necessità di rimarcare opere illustri di altri autori per presentare le proprie. Oggettivamente ogni opera moderna è tale se ha tanto di antico in sé questo a detta del grande Baudelaire, ma un conto sono le allusioni e i rimandi un altro è rifarsi chiaramente ad opere molto note. L’arte è una questione politica, una questione di forma, una questione di sopravvivenza (Nachleben). Ma si sa, in essa, è permesso tutto e il contrario di tutto ed oggi più che mai è molto difficile valutare un’opera d’arte.

Ma quali sono i canoni odierni anche alla luce del post Freud perché un’opera si possa affermare come opera d’arte universale per tutti? Quale il compito dei nuovi critici d’arte in un momento storico così incerto e di grandi trasformazioni come quello che stiamo attraversando?

Nella storia passata tanti artisti non sono stati apprezzati per il loro reale valore, potremmo citarne tanti ma, ne cito uno per tutti, forse il più eclatante: il Giorgione ovvero Messer Zorzon da Castelfranco, il burino visto che era della provincia, appunto di Castelfranco Veneto, il quale, proprio perché innovatore non fu a suo tempo compreso. Quando terminò il “Fondaco dei tedeschi” a Venezia, non solo non gli fu pagata la somma prestabilita ma addirittura fu declassato perché la sua opera non fu gradita alla Serenissima. Dobbiamo agli inglesi, nell’800, il suo ripescaggio e la sua rivalutazione!

Ma, continuo la visita. In una sala ben illuminata con tanti specchi era esposta Venere la Dea della bellezza e della imperitura giovinezza. La Venere in questione era rappresentata da una donna matura con le sue rughe e con tutti gli attributi che caratterizzano l’invecchiamento. Trovo giusto il ragionamento circa l’interpretazione di questa opera. I canoni della bellezza sono cambiati, le rughe e l’appesantimento che accompagnano un corpo sono espressione di vita vissuta e costituiscono i limiti di un’altra bellezza, quella interiore per cui una persona non può essere considerata solo per il suo aspetto fisico ma per l’intera sua espressione materiale e morale. Allora mi chiedo perché la rappresentazione di questo concetto non sia lasciata libera e pertanto non inglobata in un ambito strettamente corporeo che non consente allo spettatore o, per lo meno, ad uno spettatore come me di interpretarla per quello che è semplicemente una donna? Perché scomodare il mito della bellezza? E’ sato detto che l’intento era proprio questo e cioè di contrastare il passato che non corrisponde più alle caratteristiche stilistiche della nostra epoca. Ma sarà davvero così?

Quando si parla di Marilyn o di altra diva dalla bellezza mozzafiato ci si rifà a Venere! Ciò vuol dire che certi miti non muoiono mai e, comunque, fa piacere ad ogni donna, in qualsiasi epoca sentirsi classificare bella come una Venere!

Quando sono andata via, ripensando a ciò che avevo visto sono rimasta perplessa e, pur riconoscendo grande abilità stilistica in Jago, non posso fare a meno di pensare a Lui come ad una personalità complessa ed enigmatica alla ricerca di qualcosa che soddisfi la sua personale libertà di espressione.
Speriamo che presto possa trovarla.


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