“Lo stato delle cose di oggi non è per forza lo stato naturale delle cose”, Giuseppe Lo Pilato, Agronomo di Agrigento, è la persona che ha salvato il gioardino di Kolimbetra nella valle dei templi, oggi sito FAI. “Se fossi andato via non ci sarebbe il giardino e l’aranceto sarebbe una discarica come ce ne sono tante da queste parti”.
Dal 2012 al 2021 dalla Sicilia sono andati via 200.000 persone. La provincia di Agrigento ha una comunità di emigrati all’estero pari a più di un terzo della sua popolazione attuale.
Il reddito nell’agrigentino è il più basso in Italia, 15,7 mila euro contro i 55,6 mila della provincia di Milano, un indice di disuguaglianza nella redistribuzione delle ricchezze tra i più alti d’Europa.
Eppure ad Agrigento c’è la valle sito UNESCO, e nella provincia una costiera di rara bellezza, la scala dei turchi tanto per fare un esempio, una agricoltura ricca di eccellenze e una produzione vitivinicola straordinaria. Campobello di Licata è una piccola città di questa provincia, a sud ovest del capoluogo e a pochi chilometri dal mare. Un paese come tanti altri delle “aree interne” del nostro sud.
Siamo andati a Campobello per il festival “Questa è la mia terra e io la difendo” un evento di cui hanno parlato i maggiori quotidiani nazionali, che per due giorni ha riempito prima l’oratorio del paese poi la piazza principale, con centinaia di ragazzi provenienti da tutta la Sicilia impegnati a discutere di “diritto a restare” nella terra dove sono nati.
Il titolo dell’evento è quello del blog di Giuseppe Gatì, un ragazzo che decise di raccontare la sua scelta di non emigrare e di lavorare facendo il pastore, morto tragicamente in un incidente sul lavoro a 21 anni. A lui gli organizzatori del festival dedicheranno un centro studi che nascerà entro l’anno al termine dei due giorni dell’evento.
La sfida è impegnativa e ambiziosa. A Campobello ci si confronta con l’inerzia di una terra da sempre abituata alla resilienza, e poi con la retorica che in questi casi non aiuta, anzi toglie concretezza e profondità all’iniziativa, aumentando la frustrazione di chi prova a cambiare il corso delle cose. Il festival invece è un successo, la gente viene e partecipa, e la narrazione del diritto a restare funziona, visto che l’iniziativa raccoglie 11 mila euro in donazioni attraverso una piattaforma di crowdfunding.
Alla serata dedicata al “costruire” partecipano più di 300 persone divise in tavoli di discussione su un tema complesso e insidioso: di sud si parla in Italia da sempre, cioè da quando il nostro paese è nato, grosso modo da 150 anni. Memorabile il sabaudo Massimo D’Azeglio che disse che l’unita d’Italia è stata fatta con il rigore dei napoletani e la fantasia dei piemontesi che ai tempi parlavano praticamente solo il francese.
Gli organizzatori inoltre raccolgono il consenso e il favore degli stakeholder di casa nostra, sempre determinanti nel decidere cosa “va” e cosa no. I ragazzi di Campobello tra l’altro interloquiscono non con i soliti opinion leader, ma con quel mondo Instagram e Linkedin che piace tanto alla GenZeta e dove oggi forse ci sono le energie più interessanti del paese, il mondo dei coworking e dell’impresa benefit, il terzo settore e il digitale e l’innovazione, le startup, i media che hanno seguito sui social.
Nel concreto il festival funziona in questo modo. C’è un moderatore che presenta gli ospiti a cui è affidato il compito di introdurre i temi sui quali le persone che partecipano all’evento divisi in gruppi si confrontano. Gli spunti che emergono vanno a comporre un documento che viene successivamente elaborato per diventare un manifesto, o meglio “il manifesto del diritto a restare”. Ogni gruppo è seduto intorno ad un tavolo nel cortile dell’oratorio di Campobello che ospita la prima serata dell’evento, quella dedicata a costruire. Più di 20 tavoli e una media di 10 persone per tavolo. Tendenzialmente giovani e simpatici, persone che hanno un gran voglia di condividere e che si raccontano volentieri. Io sono in un tavolo con Epifania L.P., di Palazzo Adriano, il paese in cui Giuseppe Tornatore gira Nuovo Cinema Paradiso.
“Si soffre la solitudine a Palazzo Adriano, in generale si soffre la solitudine qui dalle nostre parti, ed eventi come questi per me sono una necessità, una boccata d’aria.” Epifania fa la giornalista sapendo che “non ci si campa con questo mestiere, e fa parte di un gruppo che si chiama “MaghWeb”, “Facciamo cose, anzi non ti dico nulla, vatti a vedere cosa facciamo”. Enza M., 28 anni, filosofa, è la facilitatrice del tavolo a cui partecipo, cioè è colei che prova a dare razionalità alla discussione tra i membri che dialogano sui temi introdotti delle storie. Enza è di Valle d’Olmo, “oggi abbiamo la consapevolezza di essere un pò più indietro, e questa consapevolezza si è diffusa secondo me.
Ora dobbiamo invertire la rotta. Il diritto a restare è il diritto di studiare a casa propria il diritto di curarsi a casa propria. Andarsene non è una scelta”. O meglio andarsene non deve essere l’unica scelta per molti. Sempre nel mio tavolo numero otto tra gli altri un giovanissimo consigliere di Regione Lombardia: “sono amico di uno degli organizzatori, sono contento di essere qui”, il responsabile della LUMSA, partner dell’iniziativa, un ex macchinista di ferrovie dello stato che oggi è il responsabile della Caritas del paese e si occupa di politiche per il lavoro. Insomma un mix niente male per età e esperienze.
Si parla di come si ricostruisce una comunità partendo dall’orgoglio e soprattutto dalle esperienze che ciascuno di questi ragazzi, che ripeto sono la maggioranza, porta con sé e dentro di sè. Si ragiona di sud cercando di definire un modello “autoctono”, dal basso e coerente con il contesto, restando aperti al mondo di fuori ma alla pari.
Si parla di lavoro, di opportunità, di merito e di giustizia sociale, di partecipazione, di migrazioni e di ritorni, di south working e di rigenerazione urbana, di sviluppo, di giovani e neet, di disimpegno e di impegno e del rapporto tra generazioni, di territorio e di connessioni. Insomma si cerca di costruire senso e futuro, partendo da quello che c’è qui ed ora.
Tra gli organizzatori Giovanni Intorre e Carmelo Traina, noto per aver dato forma a Visionary, un evento nato alle OGR di Torino qualche anno fa animato da ragazzi giovani che pensano al loro futuro ed al mondo che vorrebbero, molto main stream (molto nel senso di troppo) ma sicuramente efficace.
Tra le storie quella di Giuseppe Lo Pilato e del giardino della Kolymbetra, sua una frase che forse racchiude il senso del festival “lo stato delle cose di oggi non è per forza lo stato naturale delle cose”…
Costruire, la giornata di mercoledì è quella dedicata al costruire. La “celebrazione” è la grande festa del giorno dopo, nella piazza del paese con artisti e altri contributi.
A breve il manifesto.
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Commenti
Una risposta a “KOLYMBETRA”
Molto interessante. Iniziativa ammirevole