CON KANT PER CAPIRE IL NOSTRO TEMPO
Giorgio Guglielmo Federico Hegel ci ha lasciato scritto, era il 1820, che la filosofia è “il proprio tempo appreso con il pensiero”, e Sebastiano Maffettone ce lo ha ricordato, era l’anno scorso, all’inizio del suo libro “Il nostro tempo con il pensiero”. Ma è dunque davvero così importante che ci sia questo esercizio del pensiero? Si sente davvero il bisogno che la facoltà di pensare si eserciti ad apprendere, ossia ad interpretare, il tempo che viviamo, cercandone il senso, l’identità?
La risposta viene dalla realtà stessa, che da qualunque angolo la si osservi prospetta solo una dimensione, la mancanza di una percettibile dimensione che non sia quella imposta dal potere della tecnica. E così fa riemergere, per l’opposizione coessenziale della storia, ciò che il post modernismo ci aveva fatto credere ormai inessenziale, cioè il bisogno di spiritualità, di capire lo spirito del tempo, come dire di nuovo un bisogno di metafisica, di interpretare appunto il tempo con il pensiero.
E come potrebbe essere diversamente, se la nostra non può che essere una nuova epoca “assiale”, secondo l’espressione di Karl Jaspers? Ossia un momento della storia umana che segna una rottura epocale con il passato e apre uno squarcio nel velo di un’epoca diversa, che si annuncia per l’umanità intera senza che si possa dire ancora di che cosa si tratta.
Un passaggio, comunque, una nuova epoca nella quale, dopo un lungo periodo vissuto come percorso inevitabile verso il meglio, alla fine scopriamo ancora l’insicurezza e la ferinità del mondo, e in esso la nostra impotenza, da cui nascono domande radicali, bisogni di liberazione e di redenzione. Insomma, un’esigenza di andare a fondo, una domanda sull’essere stesso, il pensiero che indaga sé stesso, come già detto, alla ricerca dello spirito del tempo e di un destino possibile.
Ecco perché Kant. È stato infatti il grande filosofo di Königsberg a porsi le domande essenziali che nel Settecento hanno portato a sintesi l’essenza della modernità e a formulare come risposta un metodo di ragionamento che oggi risulta essere, non ancora ma semmai proprio ora, più che mai valido e necessario.
Giacché arrivava allora al suo culmine il percorso storico-culturale della modernità, che era iniziato con l’Umanesimo-Rinascimento e con la Rivoluzione scientifica e che si concludeva, in quei decenni in cui venivano scritte le opere del criticismo (sulla ragion pura, sulla ragion pratica e sul giudizio), con le grandi rivoluzioni (americana, francese, industriale) da cui in buona sostanza è scaturito il complesso delle questioni con cui facciamo i conti oggi.
Kant tentava di rispondere a tre domande: Che cosa posso pensare? Che cosa debbo fare? Che cosa mi è lecito sperare? Domande che in realtà convergevano in una quarta: Che cos’è l’uomo? Come si vede, sono domande di un soggetto pensante che riflette sui fondamenti della conoscenza, sul principio dell’azione buona, sulla legittimità della speranza in una vita oltre quella biologica. Si può dire dunque una riflessione totalizzante sul senso dell’umano. Che è ciò di cui c’è bisogno anche oggi.
Un uso critico della ragione per un’umanità libera da pregiudizi, orientata consapevolmente e perciò responsabilmente al bene, capace di distinguere i diversi piani dell’esistenza, per cui ciò che non si può conoscere non è detto che non sia legittimo pensarlo e desiderarlo (le idee della ragione: Dio, l’anima, il mondo).
Un’idea di uomo (di umanità) piantato sulla terra ma con gli occhi rivolti al cielo, responsabile di sé e degli altri perché libero, e come tale capace anche di sfidare l’obiettivo, impossibile ma pensabile, di una pace perpetua tra gli uomini, immaginando la “Lega della pace”, preconizzando una Società delle nazioni e forse l’idea stessa di democrazia come la più adatta forma di governo. Che è ciò di cui abbiamo bisogno soprattutto oggi.
E alla fine il messaggio-icona che racchiude tutti gli altri, quello dello scritto sull’Illuminismo: l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità è dovuto a lui stesso, essendo lo stato di minorità l’incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro. Da qui il grido “Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!”. Che è ciò di cui abbiamo bisogno a maggior ragione proprio oggi.
Ce ne eravamo accorti ben prima, ma abbiamo messo a fuoco che l’occasione era propizia per qualcosa che, oltre ad avere validità per la sua intrinseca qualità, fosse anche invito ad una riflessione organizzata sul nostro tempo partendo proprio da Kant, quando dieci anni fa, ragionando con il presidente di UniTre Orvieto, decidemmo che poteva valere la pena fare ciò che aveva deciso di fare in Germania l’associazione degli ex parlamentari del Bundestag, ossia dieci anni di celebrazioni del pensiero di Immanuel Kant in vista dei trecento anni dalla sua nascita, che cadono appunto quest’anno.
Loro la chiamavano la “Kant Decade”. E così noi l’abbiamo chiamata la “Decade kantiana” italiana.
Con una originalità rispetto a quella tedesca: le relazioni di interpreti qualificati intorno ad un tema ogni anno diverso, scelto da un comitato con la partecipazione delle scuole superiori, sarebbero state presentate agli studenti come traccia di discussione per stimolare i loro interventi, frutto peraltro di una preparazione organizzata dalle scuole stesse nei due mesi precedenti l’incontro pubblico, normalmente all’inizio di dicembre, come poi è sempre avvenuto e come avviene anche quest’anno.
Con la consulenza scientifica del prof. Massimo Donà e la partecipazione dei massimi filosofi italiani alla fine saranno state tenute ben trenta lectiones magistrales, su tutti i temi fondamentali del pensiero kantiano, saranno stati coinvolti e avranno partecipato agli incontri oltre 4500 (sí, quattromilacinquecento) studenti delle classi terminali delle scuole secondarie di secondo grado di tre province, più di 40 docenti in prevalenza di filosofia, e molte centinaia di cittadini. La quantità è rilevante, ma lo è soprattutto la qualità, che sarà successivamente documentata con apposita pubblicazione. Potremmo anche dire un’esperienza di educazione di massa all’esercizio del pensiero critico.
Il programma di quest’anno, conclusivo del percorso decennale, è particolarmente denso e si configura come un bilancio polifonico su come il pensiero kantiano può aiutare a capire il nostro tempo. Il tema comune a tutti gli interventi previsti, è infatti “Il pensiero di Kant oggi”. Non è perciò l’invito a dare una risposta alla domanda “che cosa ci resta di Kant oggi?”, quanto invece ad utilizzare quel pensiero, dotato di per sé di una potenza euristica straordinaria, per guidarci ad una comprensione del complesso e contraddittorio tempo che viviamo.
In tre giornate organizzate in quattro sessioni si succederanno le lectiones di 8 filosofi e filosofe provenienti da altrettante università, storie intellettuali ed esperienze diverse. Si parte il 3 dicembre con Massimo Adinolfi (“Relativamente a priori: la curvatura contemporanea della ragione kantiana”) e con Sebastiano Maffettone (“Kant oltre Kant. 300 anni ma non li dimostra”). Si prosegue il 4, la mattina con Gaetano Rametta (“Concetto ‘cosmico’ di filosofia e diritto cosmopolitico in Kant”) e Francesco Valagussa (“Di quel senso che abbiamo (ancora?) in comune”), nel pomeriggio con Luciano Dottarelli (“Immanuel Kant come maestro di spiritualità e saggezza”) e Massimo Marassi (“Kant: una ragione per l’esistenza”). Si conclude il 5 con Lucrezia Ercoli (“Delusi e quindi guariti. Kant, la malattia nostalgica e una fastidiosa occupazione”) e Ilaria Gaspari (“Passioni, smanie, malattie: l’etica di Kant e il posto da riservare alle emozioni”).
Come si vede già dai titoli, un panorama variegato e molto interessante. Peraltro, per iniziativa dell’associazione culturale “Il Pensiero – Studium Civitatis” il programma della Decade quest’anno è impreziosito dall’intervento del filosofo e teologo Vito Mancuso, che lo stesso martedi 3, dopo le lectiones di Adinolfi e Maffettone, tratterà il tema “Il metodo Kant” con riferimento al suo libro “Destinazione speranza”.
Cinque scuole hanno assicurato in modi diversi la partecipazione di gruppi o di classi di studenti con i loro docenti. Saranno giornate di grande cultura e di grande forza educativa certo per il livello delle relazioni ma anche per gli interventi degli stessi studenti, non solo fruitori, quanto piuttosto portatori di libero pensiero in formazione.
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