Circa 360 milioni di cittadini europei sono stati chiamati alle urne per eleggere i 705 deputati del Parlamento europeo: è la decima volta che accade, ma è la prima volta che andiamo a votare con la minaccia di una guerra.
I primi 24 anni del XXI Secolo sono stati segnati in Europa da una ondata di emergenze: gli attacchi del terrorismo, le crisi dell’economia, l’esplosione della pandemia, le deflagrazioni delle guerre; oltre ai problemi dell’immigrazione e del cambiamento climatico. Ora è certamente vero che la politica non ha sempre saputo dare risposte efficaci; ma sappiamo anche che non era facile darle. Soprattutto perchè viviamo immersi in una fase di transizione dalle economie tradizionali (agricola, industriale, finanziaria) alla economia digitale. Un passaggio drammaticamente segnato nel mondo occidentale dalla più grave delle crisi, la crisi del pensiero.
Le promesse di soluzioni semplici a problemi complessi e l’istinto di seguire i pifferai sono le basi del successo di populisti e sovranisti: come se il ritorno al passato fosse una ricetta per rendere più digeribile il presente. Così devono aver pensato quegli elettori che due anni fa hanno votato per una formazione politica che si rifà ad una drammatica esperienza politica del primo novecento o che, durante questa campagna elettorale, si sentono sicuri celebrando un leader comunista del secolo scorso oppure mettendo nel simbolo del proprio partito il nome del fondatore morto.
In definitiva abbiamo assistito ad una campagna elettorale dove si è parlato di tutto un po’ meno che del mandato da dare ai rappresentanti del nostro Paese nel Parlamento europeo.
E’ evidente che in queste condizioni ciò che ci attende è una vasta diserzione dal voto. Ed è difficile dar torto a quanti non vanno a votare vista la miserevole qualità delle proposte e del nostro personale politico.
Ma la forza delle cose ci impone di svegliarci!
L’Unione europea deve avanzare sulla via dell’integrazione, deve approfondire la propria coesione, deve diventare GLI STATI UNITI D’EUROPA.
Ci deve essere un nucleo di Paesi più coesi e più compatti che proceda sul terreno della politica estera e della difesa. Per l’Italia, la sfida, come già ai tempi dell’euro, è di essere nel nucleo forte.
La discriminante è il sovranismo: tra chi, cioè, capisce che la difesa della sovranità avviene conferendo più sovranità all’Unione europea e chi difende un’idea di Europa delle piccole Patrie, ciascuna sovrana, ma impotente e irrilevante.
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