Nella vasta produzione kantiana si nasconde, se non ricordo male, la “parabola” della focaccia.
Un bambino viene mandato dai nonni a comprare la solita focaccia quotidiana.
Il bimbo si sbaglia con i soldi e paga più del dovuto.
Il fornaio corregge l’errore e restituisce il denaro al bimbo, invitandolo a stare più attento.
Tutto bene dunque?
Non proprio, perché la questione è in base a quale criterio il fornaio ha fatto la cosa giusta.
Se ha restituito i soldi in base a un criterio di tipo puramente etico è una cosa, ma se lo ha fatto perché non vuole essere criticato dai nonni è un’altra.
Il gesto, insomma, è lo stesso ma la sua realtà profonda è un’altra.
Si pone qui la questione della natura assoluta e generale della norma.
Il fornaio, se avesse agito in maniera strumentale, potrebbe comportarsi diversamente se, per esempio, nella sua bottega dovesse entrare un bambino sconosciuto.
La norma etica, dunque, si distinguerebbe dalle altre normative per la sua caratterizzazione come da applicarsi sempre, in ogni e qualunque condizione.
Nulla di grave se si parla di focaccie ma travolgente quando ci si allarghi un pochino.
Per dirla da un altro punto di vista la scelta del come agire può dipendere dalla punizione che ne potrebbe derivare come da una profonda concezione interiore.
Si auspicano i casi in cui le due dimensioni corrispondono ma è ben chiara la differenza tra esse. una è di carattere strettamente storico – strumentale, l’altra è superiore a qualunque riduzione pratica.
L’esempio più chiaro e drammatico del diverso approccio è inevitabilmente quello della guerra guerreggiata.
Lo stesso soldato convinto che uccidere un uomo sia un peccato mortale, viene invece giustificato e addirittura sospinto a farlo da una particolare condizione momentanea.
Il principio etico si ritira, aspettando migliori tempi.
Quel che oggi appare però anche più preoccupante è la evidenza con cui attualmente la dimensione pubblico – collettiva va abbandonando il terreno delle regole come norme di carattere assoluto per rifugiarsi nella evocazione della punizione come strumento di correzione e guida.
Non è un discorso semplice né rassicurante e conviene affrontarlo con calma.
Inoltre occorre (visto che abbiamo iniziato con Kant!) non dimenticarsi mai che stiamo comunque parlando della società occidentale e democratica il cui percorso non corrisponde a quello di gran parte della restante specie umana.
Nel divenire dei tempi ogni formazione economico – sociale ha tentato di presentare le proprie norme, per quanto storicamente mutevoli, come valide anche sul piano etico e da esso comunque derivanti.
Che si tratti del Consiglio del Balentes che nei paesi sardi amministrava i doveri o delle grandi elaborazioni spirituali e filosofiche, poco cambia.
L’idea era sempre che una società è tanto migliore quanto più profondamente sono assorbiti e vissuti i principi che la regolano e guidano.
Il sogno è sempre stato quello di un mondo in cui potesse non esserci bisogno della punizione per colui che non ne rispetti eventualmente le norme.
Poco, veramente poco, di questo sogno è rimasto in piedi.
La reazione al diffondersi di comportamenti violenti ed incivili sembra consistere sempre più nell’impegno a assumere, organizzare e gestire pene e punizioni più severe.
Invece di porsi il problema di cosa stia succedendo nelle profondità della nostra società ci si illude ipocritamente che la questione sia quella di un insufficiente apparato sanzionatorio.
In questa maniera si cerca di isolare il singolo comportamento (garantendone a parole la feroce punizione) senza coglierne il senso preoccupante e profondo.
Questa logica ha, inoltre, un aspetto ancora più perverso.
In assenza di esplicita punizione il Male sembra perdere il suo carattere assoluto.
Tradotto: se penso che non mi becchino, niente mi impedisce di farlo.
Il caso dei maschi minorenni che violentano due bambine di dieci e dodici anni è tragicamente esemplificativo. Il consenso che le due bambine avrebbero espresso viene, dai protagonisti del gesto, considerato assolutorio.
Siamo di fronte alla scomparsa di qualunque dimensione etica rispetto ai propri comportamenti.
Si tratta, attenzione, di un passaggio epocale.
La società, il consorzio umano, sta rinunciando progressivamente alla definizione e diffusione di “doveri” da rispettare anche in assenza di sanzione o in presenza della possibilità di evitarla.
Tali doveri erano stati elaborati come peculiari e indicatori della appartenenza alla specie umana. Ciò in base alla necessità della evoluzione e del mantenimento della specie (il rispetto assoluto dei minori, in questo senso) e dei valori costitutivi riconosciuti nel corso del tempo.
La sanzione per chi non li rispettava era una triste necessità atta a garantire quel processo di cui sopra.
A questo sistema si contrappone oggi l’esaltazione della “libertà di”, di fare, di essere, di comportarsi come si ritiene.
Ogni limitazione in questo senso sembra assumere un segno conservativo o di destra.
Il contenuto e l’esito finale degli atti viene affidato al singolo, al qui ed ora, al suo comunque giusto bisogno.
Ma, nel sognato regno della libertà assoluta, chi stabilisce il limite di ogni atto?
Torniamo al nostro immaginario fornaio.
E se ritenesse che il nonno del bambino lo avesse ingannato in un’altra transazione non avrebbe forse diritto di recuperare i suoi soldi?
E se avesse lui un figlio malato da ricoverare urgentemente non sarebbe giustificato in ogni tentativo di curarlo?
Quante variabili si interpongono fra due persone!
Un’ultima osservazione, per finire. La nostra società della libertà totale è oggi circondata (se non aggredita) da altre società assai meno permissive ed assai più compatte della nostra.
Quante possibilità avremo di resistere se non ricolleghiamo velocemente norme ufficiali e dimensione etica?
A proposito, non sono sicuro di non essermi inventato la parabola kantiana.
Se lo ho fatto ricordatemelo e perdonatemi.
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