La maturazione politica di Giorgio Gaber. Dalla Milano del rock ‘n roll, potremmo dire alla disperazione consumata dell’isolamento e del rifiuto.
Sono Quaranta anni di lavoro e di ricerca che hanno prodotto più di 250 brani musicali e 24 spettacoli teatrali e che documentano l’evoluzione culturale di un grande personaggio che seppe andare molto aldilà della canzone d’autore.
Giorgio Gaber un uomo che ha vissuto, sulla sua pelle, il suo tempo passando dalla ricerca, all’impegno, al disincanto, alla disillusione fino alla disperazione finale.
Sono questi i fatti salienti del percorso politico-culturale di Giorgio Gaber, sempre attento al suo tempo.
Il consumismo “come macchina inarrestabile, che ti costringe a lavorare, comprare, consumare, un ingranaggio che ti travolge, che ti divora dentro… e tu non puoi fermarti e anche quando trovi qualche minuto per stare con un amico non sai che dire:
Non è che mi manchi la voglia
O mi manchi il coraggio
È che ormai son dentro
Nell’ingranaggio
In questo periodo Gaber scrive alcune delle canzoni più belle con Luporini come La libertà, in cui indica un alternativa al consumismo e una difesa contro l’ingranaggio che ti stritola: la partecipazione.
Siamo ancora al G. che cerca una soluzione e la cerca all’interno del movimento.
1974-75 Anche per oggi non si vola.
Sono incominciati gli anni della crisi, del terrorismo di fronte al quale tutto si sgretola, le certezze e i dubbi costruttivi. Gaber avverte tutto questo. “Sente di nuovo che i tempi stanno cambiando in peggio, e come al solito lo traduce in testi, in musica”
Al centro della crisi c’è il PCI che è bloccato, come paralizzato di fronte alla crisi, e non sa dare le risposte giuste, quelle che da decenni i compagni si aspettano e arrivano nei momenti cruciali.
Un altro bersaglio di Gaber è il femminismo con le sue rigidezze, con la sua ottusità che rischia di compromettere il rapporto a due. “Il corpo stupido”.
Il pezzo conclusivo “C’è solo la strada” indica una soluzione positiva. La strada come contatto con la gente, come uscita dalle case dove gli individui si sono rinchiusi.
G. nel 1974 smette di votare. Voterà soltanto nel 2000 per sua moglie Ombretta, dicendo che “è una brava persona”
1978 Polli di allevamento.
Lo spettacolo diventa un pretesto per risse e contestazioni. Viene continuamente interrotto. Una parte del suo pubblico, non lo capisce e lo rifiuta.
Negli anni Ottanta si matura in maniera irreversibile la crisi di G., mano a mano che avanza il riflusso. Restano la rabbia e la nostalgia.
“Cosa rimpiango di allora? Quello di cui oggi molti sentono la mancanza: la tensione morale, il piacere di essere in tanti; la speranza di partecipare al cambiamento: Tutto è finito malissimo e troppo in fretta, in pochi minuti. Quelli che un tempo hanno creduto, oggi sono ammutoliti, ma anche quelli che non credevano non parlano più: nessuno ha il coraggio di dire che c’erano in Italia milioni e milioni di stronzi: Tutti hanno la lingua tagliata, tacciono”
Ma Gaber era comunista?
“Io ero uno di quelli che sono stati, che si sono sentiti comunisti, perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché forse era solo una forza, un sogno, un volo era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita. Credo che anche per la maggior parte di chi viene a vedermi, a cui magari i comunisti non sono piaciuti mai, siano queste le ragioni della commozione, della nostalgia, del senso del vuoto di oggi”.
Negli anni Ottanta La destra la sinistra
La mia generazione ha perso
Sono i brani che meglio certificano il senso del fallimento fino alla disperazione finale di “Io non mi sento italiano” e “Non insegnate ai bambini”, ancora più terribile perché c’è la rinuncia a trasmettere alle nuove generazioni la memoria e i principi morali attraverso la funzione pedagogica.
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