La storia della civiltà etrusca è una vicenda secolare più immaginata che documentata perché non è rimasto quasi nulla di scritto. Tra le poche iscrizioni si può ricordare la tavola di Cortona ritrovata alla fine del 20º secolo relativa a una transazione tra proprietari e fittavoli di appezzamenti di terra, avvenuta probabilmente nel terzo secolo avanti Cristo quando i latifondisti etruschi dovettero cedere parte dei loro terreni alla plebe insorta. Lo stesso alfabeto che compone la scrittura da destra verso sinistra, è sempre stato di difficile decifrazione.
La storia etrusca proviene sostanzialmente dagli scritti degli storici romani come Tito Livio o Plinio il Vecchio, autori di testi preziosi all’inizio del primo secolo dopo Cristo. Purtroppo i molti libri della grande storia etrusca estesi dall’Imperatore Claudio sono andati distrutti dalla furia del Califfo Omar che bruciò l’intero contenuto della biblioteca di Alessandria d’Egitto ritenendo che tutto quello che c’era da sapere era già nel Corano e se non era nel Corano a maggior ragione andava distrutto.
La civiltà etrusca probabilmente prese origine nel nono o nell’ottavo secolo avanti Cristo e si protrasse per oltre cinque secoli, sino alla conquista romana. Si parla perciò di scomparsa degli Etruschi mentre in realtà quel popolo si lasciò romanizzare dai conquistatori e però a sua volta trasferì al di sotto del Tevere molto dei propri usi e costumi, delle proprie credenze e della propria organizzazione sociale. Basta al riguardo ricordare che gli ultimi tre Re di Roma furono incontestabilmente etruschi, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, peraltro parenti tra loro.
Il territorio degli Etruschi si estendeva per molti chilometri a nord del Tevere e non era un unico Stato. Lo componevano 12 città amministrate separatamente ciascuna da un capo politico-religioso chiamato Lucumone. Non esisteva alcuna subordinazione di una città all’altra e quella che oggi chiamiamo Dodecapoli etrusca è una definizione degli storici moderni per intendere la struttura geopolitica di quel mondo che inizialmente si estese dall’Appennino al mare Tirreno. Solo successivamente gli Etruschi scavalcarono l’Appennino si spinsero nella pianura padana sino alla riva destra del Po e raggiunsero il mare Adriatico che fu chiamato mare superiore, prendendo il nome da Adria che era una delle colonie della Docecapoli. Il Tirreno era il mare inferiore, anche chiamato Tosco e sulle sue coste verso il golfo di Napoli, ben al di sotto del Tevere, crebbe una loro fiorente colonia per molti secoli, prima della espansione di Roma che la distrusse.
Per la comprensione della civiltà etrusca molto ci giunge dalle pitture murali delle moltissime tombe rinvenute nel loro territorio e dall’oggettistica che esse contenevano. Se poco dunque ci rimane di documentazione effettiva dell’intera civiltà etrusca ancor meno residua della medicina che quel popolo praticava. Di certo come in molte antiche civiltà nella organizzazione civica il potere politico si associava al potere religioso e al suo carisma e la medicina di quella lontana epoca finiva col sommarsi a questo potere carismatico. Nelle città etrusche il Lucumone era affiancato dagli Aruspici che erano dedicati alla interpretazione dei segni e degli eventi come i fulmini, il volo degli uccelli, le viscere degli animali, attraverso i quali gli Dei indicavano il loro volere.
La medicina preippocratica in Etruria, come in Grecia, come a Roma, come in Egitto, era una medicina sacrale e magica, misto di fede,mistero e magia, amministrata dai sacerdoti. Solo nel 292 avanti Cristo i precetti di Ippocrate ed i suoi interpreti furono importati a Roma dalla Grecia in occasione di una disastrosa pestilenza e da quel momento gli Aruspici etruschi, incapaci di arrestare la strage, decaddero dalle loro funzioni magiche e dal loro potere.
Nella civiltà etrusca per almeno cinque secoli le pratiche mediche erano riservate ai sacerdoti ed ai capifamiglia. Il grande rispetto del volere divino da parte di quelle genti rendeva gli Aruspici intoccabili quali interpreti di tale volere a prescinderedal risultato che essi ottenevano, perché se i risultati erano positivi, tra superstizioni e magia,essi venivano considerati mediatori di miracoli, se invece i risultati erano cattivi voleva dire che la volontà divina aveva prevalso al negativo. In ambito familiare venivano risolte le piccole patologie soprattutto esterne come le ferite. Tuttavia attraverso infusi e pozioni varie venivano curati i disturbi intestinali, le febbri specie invernali e veniva fatta l’assistenza al parto. Gli esiti favorevoli venivano onorati con offerte agli dei e con ex voto che sono stati trovati numerosi negli scavi effettuati davanti ai templi.
Non esistono notizie dirette sulle patologie che l’affliggevano gli Etruschi. Certamente c’erano patologie da parto, tanto per le mamme come per i neonati. La mortalità neonatale era alta e molte donne morivano di parto come molti uomini morivano negli scontri bellici o nei lavori agresti o nella caccia. Complessivamente la vita media era molto bassa e l’aspettativa di vita non andava oltre i quarant’anni. Tra le malattie ebbe certamente un grande ruolo la malaria che è stata probabilmente concausa della scomparsa di quella civiltà. Gli etruschi avevano imparato a scavare canali attraverso le loro terre per drenare l’acqua nel mare e rendere più fertili le terre e meno probabile la moltiplicazione delle zanzare: molti abitati comprese le città venivano costruiti in cima alle colline non solo per difendersi da eventuali attacchi nemici ma anche per rendere meno probabile l’assalto delle zanzare.
Fa testo la storia di Cerveteri che nel quarto secolo avanti Cristo era una florida e ricca città con non meno di 50.000 abitanti, mentre due secoli più tardi era quasi disabitata perché la popolazione era stata decimata dalla malaria Gli abitati sul mare ed i porti furono di fatto cancellati da questa malattia che finì con lo stroncare l’attività marinara commerciale e bellica degli Etruschi che era stata promotrice del loro benessere e del loro potere, ed i romani si guardarono bene, quando conquistarono quel territorio, da ripetere gli stessi errori.
Esistono molte statue di divinità femminili con i neonati in braccio che volevano intendere il bisogno di protezione che si invocava per le nuove vite . Ed altre Dee proteggevano le diverse fasi della fecondazione, della gravidanza, del parto e del neonato anche perché le malformazioni a quell’epoca non erano rare.
Poiché non tutte risultavano mortali il numero della popolazione non adatta al lavoro era numerosa e finiva col pesare negativamente sul benessere complessivo
Il parto avveniva ovviamente nelle abitazioni ed era assistito da donne che acquistavano mestiere sul campo diventando capaci di favorire un evento fisiologico ,ma non di evitare le catastrofi. I neonati venivano fasciati braccia, corpo e gambe per molti mesi ed allattati non solo dalla propria madre ,ma anche da altre donne puerpere che avevano più latte del necessario o che avevano perso il proprio bambino, assumendo il ruolo di nutrici, pratica che si è protratta sino al secolo scorso in tanti luoghi d’Italia.
La società etrusca dopo i primi secoli raggiunse un notevole benessere che produsse libertà e felicità. In quelle felici condizioni i costumi erano liberi, la donna godeva di grande considerazione ed era padrona della propria vita, gli uomini amavano il cibo ed il sesso anche in maniera smodata. Le gravidanze indesiderate erano certamente molte come anche lo furono successivamente nella civiltà romana al punto che i Romani dovettero mettere l’aborto all’indice, considerandolo un reato, mutuando tali disposizioni dai costumi etruschi. Gli eccessi di cibo producevano obesità come risulta da molte sculture tombali e che portò i poeti latini come Virgilio a definire gli Etruschi “Pinguis Thirrenus”.
Dalle pitture tombali, dagli specchi dipinti, dal vasellame, dagli ex voto si evincono altre patologie : il nanismo acondroplastico, la tubercolosi ossea col gibbo dorsale per crollo vertebrale,la macrocefalia per idrocefalo infantile,l’esoftalmo per ipertiroidismo,la deformazione delle dita delle mani per artrite, l’alluce valgo, la fimosi.
Anche delle cure più propiamente mediche ci sono giunte poche informazioni. Di certo utilizzavano le molte fonti termali ancora oggi attive nella Tuscia e nella Toscana i: acque calde, acque tiepide, acque fredde, acque dolci ,acque ferruginose ed anche l’acqua salata del mare. Costruirono veri e propri stabilimenti e templi dei quali ancora restano alcune rovine. Sono note le acque Apollinares a Stigliano ed a Vicarello non lontane dall’odierna Viterbo, quelle Cerretane a Cerveteri, quelle Tauri vicino a Civitavecchia. Sono ben riconoscibili rovine di terme a Sasso Piano in val di Cecina vicino l’antica Populonia ,oggi Livorno, che andarono distrutte per un terremoto e che furono poi ricostruite dai Romani rimanendo attive per oltre mezzo millennio.
Dalla testimonianza degli scrittori latini risulta che alle terme si curavano le malattie della vescica e delle vie urinarie, la sterilità, le infiammazioni gastro-intestinali, la stipsi, le epatopatie, le patologie dermatologiche, i catarri cronici. In alcune acque ci si immergeva, altre venivano bevute, ed alcune terme avevano taumaturgici fanghi. Molte di quelle acque, mutatis mutandis, sono ancora utilizzate per il moderno termalismo, come Chianciano, Saturnia, Viterbo, Montecatini, eccetera.
Gli Etruschi per curarsi sicuramente facevano ricorso alle molte erbe delle quali le loro colline, le loro pianure, l’appennino ed anche il mare erano ricchissime. Era la flora rigogliosa e naturale di quel clima, ma molte altre erbe e vegetali vari dei quali era riconosciuto il valore alimentare o curativo erano state riportate dalle altre coste del mediterraneo dai naviganti di quel mare. Gli Etruschi avevano una importante flotta commerciale che fu in più occasioni trasformata in flotta militare come quando alleandosi con i Cartaginesi impedirono ai Greci di insediarsi sulla costa della Corsica.
La flora che ricopriva le terre abitate dagli Etruschi e che ancora ricopre l’alto Lazio, la Toscana e l’Umbria rappresentava una grande riserva, per così dire farmaceutica, di piante officinali, come scriveva Catone nel “De re rustica” nel terzo secolo avanti Cristo. Tra le più importanti utilizzazioni curative occorre ricordare l’elleboro ricco di alcaloidi efficace come emetico e purgante, calmante degli stati di agitazione motoria e delle convulsioni epilettiche che però a dosi maggiori risultava velenoso al punto che Galeno lo identificava con la cicuta. Il millefoglie per uso orale veniva usato come tonico delle vie digestive contro dispepsie emorragie e finanche emorroidi. I semi di lino venivano utilizzati contro enteriti, dissenteria, cistiti, ma anche gonorrea e piaghe. Si usava l’ alloro nei catarri bronchiali, il papavero come sedativo, il salice come antidolore, il trifoglio come antireumatico, la rosa selvatica come collirio. Probabilmente tutti questi estratti vegetali venivano associati ai riti magici dei quali gli Aruspici erano grandi maestri.
Non ultima nelle cure doveva essere considerata la alimentazione della quale troppo spesso gli Etruschi facevano abuso. È noto che sulle ricche mense abbondavano i pesci e la carne di animali d’allevamento o selvatici, compresa la cacciagione, in genere arrostita, non sempre condita con salse che semmai erano frutto della bollitura o cottura di erbe e visceri degli stessi animali. Certamente sapevano quale dei loro cibi era difficile da digerire e potevano causare malattia ed avevano certamente imparato ad evitarli. Amico-nemico doveva essere a quell’epoca il vino che molto amavano e che spesso era causa di ubriachezza per uomini e donne, un vino duro fortemente alcolico, capace di provocare grandi disturbi nello stomaco nel fegato. Ma il vino allora come oggi rischiava di diventare un vizio e come tale difficilmente evitabile.
Un capitolo a parte spetta all’olio perché tra i tanti alberi e le tante piante di quella terra un ruolo preminente spetta all’ulivo che ancora oggi regna sul paesaggio della Tuscia perché le sue morbide colline sono il territorio ideale per questo prezioso albero che originariamente gli Etruschi importarono dall’Asia minore. A Tarquinia nel quinto secolo avanti Cristo venne sepolto un uomo ricco in un sepolcro noto come la Tomba dei Leopardi sulle cui pareti sono disegnati musici e danzatori in festa in un uliveto. Secondo Erodoto quando gli etruschi sbarcarono in quella che sarebbe diventata la loro patria provenienti dalla Lidia nel 13º secolo avanti Cristo portarono con sé la pianta dell’ulivo. Nella medicina antica il succo delle olive ha avuto un’importanza vitale con la produzione allora come oggi di oli medicinali contenenti sostanze curative preparati con miscelatura, dissoluzione o estrazione a freddo e a caldo.
Nelle antiche farmacopee il succo di oliva si utilizzava per la preparazione di unguenti medicinali data la sua capacità di dissolvere principi attivi e di mescolarsi con altri grassi formando cere e resine. Le sue virtù medicinali, tanto per uso esterno che interno, si debbono al suo prezioso contenuto in acidi grassi oggi chimicamente dimostrato.
Non è certo che a quel’epoca l’olio di queste terre fosse usato per cucinare, ma certamente era largamente impiegato come condimento sulle carni disseccate dalla cottura sul fuoco ardente, avendo così una importante funzione nel consentire la masticazione e la digestione di quei cibi selvatici. La sua qualità è andata di certo raffinandosi nei secoli,ma la sua sostanziale composizione è rimasta invariata, conservando da sempre un grande valore organolettico che come tale si è trasmesso nel tempo.
La chirurgia ebbe un ruolo marginale in quei secoli perché la medicina di quella civiltà era un misto di superstizione e di magia che mal si conciliava con una attività concreta quale è ed era la chirurgia. Le patologie affrontabili chirurgicamente a quell’epoca, come ovunque in quel mondo conosciuto ed anche per molti secoli a seguire, erano quelle superficiali che oggi consideriamo dermatologiche. Ma un’attività chirurgica era certamente necessaria per il trattamento delle ferite comunque provocate. Soprattutto le ferite d’arma bianca derivanti da combattimenti venivano trattate dagli stessi soldati che si assistevano reciprocamente come risulta da qualche straordinario dipinto murale. Esiste un rendiconto di questa medicina di guerra nella guerra di Troia nella quale i due figli di Esculapio medici anch’essi soccorrevano i feriti soprattutto per lesioni alla testa e agli arti da frecce, lance e spade ma con poco successo non riuscendo quasi mai evitare la morte, come nel caso di Ettore ed Achille grandi guerrieri deceduti entrambi per ferite riportate sul campo di battaglia.
Sono stati ritrovati molteplici ferri chirurgici in territorio etrusco analoghi a quelli reperiti in Grecia e in tutto l’Impero romano rappresentati da taglienti ,ferri da presa, spatole, specilli, trapani. Sono stati anche trovati tanti teschi con la volta forata in più punti che però non possono essere riferiti ad atti terapeutici, ma solo alla volontà ancestrale di fare uscire dalla testa dell’uomo morto o in coma profondo gli spiriti maligni che avevano prevalso sulla sua vita provocandone la morte.
Più operosa ed efficace fu la odontoiatria. I dentisti dell’epoca avevano imparato a sostituire i denti con ponti metallici molto elaborati dei quali i loro clienti facevano ampio uso e largo sfoggio come di uno status symbol. Lo studio dei denti e delle protesi appartenenti a quei crani raccontano un pezzo di storia di quella civiltà, dei suoi usi e costumi, del suo benessere, delle capacità artigiane dell’epoca, della disponibilità di materiali, della ingegnosità di quegli specialisti. Alcune informazioni sono di carattere sociale ed altre di carattere sanitario ad esempio il consumo delle corone dei molari dice di una grande attività masticatoria, mentre la assoluta rarità delle carie dentarie si può spiegare con una grande igiene e cura della bocca.
Ma soprattutto il gran numero di protesi suggerisce quanto gli etruschi maschi e femmine tenessero all’estetica ed al proprio sorriso e quanto interesse avessero per il cibo, difendendo la propria capacità di masticare. La gioia di mangiare nei banchetti ricchi di carne e di pesce è comunque ben illustrata nelle pitture tombali e nelle sculture dei sarcofagi. È molto interessante anche il largo uso di oro nelle protesi, nei ponti e nelle corone che può testimoniare l’alta qualità degli artigiani che lo lavoravano ed anche la vanità di chi poi aveva piacere ad esibirlo forse in segno di agiatezza e ricchezza. Tanti musei in Italia e nel mondo custodiscono materiale odontoiatrico etrusco, talora libero ossia mobile, talora fisso sulle originali mandibole con soluzioni odontoiatriche molto interessanti ed ancora valide.
Quei dentisti avevano soluzioni diverse e parimenti efficaci per i denti mancanti e per quelli tremolanti. Sapevano fare le estrazioni e conoscevano la giusta indicazione. I denti allora come oggi perdevano la loro fissità per patologie dell’alveolo e venivano fissati ai denti adiacenti integri e fissi con preziosi lavori in oro. Le estrazioni dentarie venivano eseguite con ferri appositi e per i denti mancanti esistevano soluzioni tecniche eccezionali con l’impiego di ponti metallici nei quali dentro appositi anelli venivano inseriti nuovi denti di rado umani più spesso prelevati da animali e debitamente modellati. Tra i motivi delle estrazioni dentarie solo il 5% era legato alla carie mentre erano frequenti gli eventi traumatici soprattutto in guerra oppure per incidenti con i carri, risse e cadute da cavallo. Sui denti rotti venivano inserite corone d’oro o di metalli meno nobili fissati alla parte residua del dente con resine efficaci.
Queste nozioni di medicina etrusca sono le poche che hanno attraversato i secoli e le epoche successive attraverso i reperti archeologici e gli scritti degli autori latini. Nell’insieme ne viene un affresco credibile, ma al quale mancano molte tessere che il futuro porterà alla luce.
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