LA NEMESI

L’hanno insegnato gli antichi: prima o poi c’e’ una nemesi storica per tutti.

Il presidente del non più “movimento” ha lanciato un “vaffa” contro il non più fondatore-garante, proprio colui che inventò il vaffa medesimo.

Tutti e due affermano di non essere né di destra né di sinistra; Conte (l’avvocato di tutti noi) aggiunge però di essere progressista.

Ma come? Da anni ci spingono ad essere di parte, ad apprezzare il bipolarismo (il cervello non c’entra), ad appartenere ad una tribù identitaria ed ora smontano tutto?

Per la verità il dualismo è una semplificazione di comodo: in ogni polo ci sono tre-quattro partiti e un’infinità di sfumature, distinguo, eccezioni.

Tanto è vero che moltissimi parlamentari sono transitati da un partito all’altro, dentro lo stesso schieramento.

La scusa era appunto che -pur non tradendo il mandato degli elettori (ovvero l’appartenenza destra/sinistra)- nella nuova collocazione avevano trovato maggiore comprensione e affinità.

La verità, in questi casi, è che avevano trovato un collegio elettorale più sicuro.

Di questi tempi nella militanza politica e’ più importante costruirsi un nemico e combatterlo che sostenere chi apprezzi.

Ma decedute le ideologie che ti fornivano un pacchetto completo e aggiornato di odio e rabbia, oggi ci si sente un po’ in colpa a disprezzare, polemizzare, delegittimare il 50% del Paese, tanti sono -almeno sulla carta- i tuoi avversari nello schieramento opposto.

Ora, dopo tanto fronteggiarsi nelle rispettive trincee, arriva l’ordine di smobilitare e di passare ad una guerra di movimento.

I 5Stelle (hanno tentato di modificare il nome in “de luxe” o in “luxury” ma non sono riusciti) sono coerenti: il primo governo a cui hanno partecipato e soprattutto diretto era un ibrido giallo verde.

Il secondo fu giallo rosso, senza che il PD sentisse il bisogno di una legittimazione del proprio elettorato o -almeno- del voto congressuale.

Pare che tra le nuove regole sancite dalla consultazione online, la più importante stabilisca che il partito possa partecipare a qualunque governo, di qualunque colore, purché presieduto da Conte.

Qualche pasdaran -stante l’obbligatorieta’ di Conte presidente- vede anche la possibilità che il partito rimanga all’opposizione.

E’ un momento in cui a Conte va tutto bene: dopo aver sostenuto l’amico Putin con una campagna pacifista, ora ha piazzato un suo estimatore quale presidente degli Stati Uniti.

In Italia la definizione “progressista” è sempre stata appannaggio del segmento intellettuale della sinistra.

Ma a ben pensarci, sperare nel futuro non può essere vietato a chi vota a destra.

Anzi le cose vanno così bene che, al momento, il “sol dell’avvenir” è loro.

Diavolo di un Conte, maestro dello sgusciare: anche il progresso gli lascia le mani libere.


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