LA PAROLA OSCURATA

Viene spesso da chiedersi quando (e come) ci hanno convinto che rimuovere una determinata parola potesse essere efficace nel fare scomparire dal mondo il fenomeno cui la parola si riferisce.

Quel che è però certo è l’esistenza di un catalogo di parole che sarebbe sbagliato (o comunque di cattivo gusto) utilizzare.

Si sostiene cioè che l’uso di una determinata parola varrebbe come sostegno per i fatti non verbali che ne hanno giustificato l’esistenza come espressione linguistica.

La parola “regina” tra le parole sottoposte ad oscuramento è certamente la parola guerra.

In sua vece vengono coniate e usate espressioni di circostanza che servono soltanto ad evitare di accettare la verità e, assai spesso, a rimuovere addirittura dalla coscienza e dalla comunicazione i drammatici fatti cui la parola stessa si riferisce.

Eppure, eppure il concetto e la pratica stessa di guerra accompagnano l’Umanità dalla sua entrata nel mondo e, con ogni probabilità continueranno a farlo sino alla palingenesi finale.

La consapevolezza di questo ci giunge e ci viene tramandata dalla cultura, dalla poesia e dall’arte.

Ai momenti alti si aggiungono poi le memorie e le riflessioni di ciascuno, basate sui racconti dei predecessori e su quel che è stato possibile vedere o percepire del mondo contemporaneo.

Insomma, che ci piaccia o meno, la guerra esiste e non ha senso mascherarla da altra cosa.

Abbiamo tutti letto (o almeno conosciuto) la poesia omerica e ancora ci commuoviamo alle parole di quell’Enrico V alla vigilia della battaglia di Agincourt del 1415.

Noi pochi, noi felici pochi, noi fratelli in armi.

Poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello: e per quanto sarà di umili origini, in questo giorno si farà nobile la sua condizione.

E i gentiluomini che ora, in Inghilterra, si trovano a letto, si danneranno l’anima per non esserci stati, e si sentiranno menomati, quando sentiranno parlare un uomo che combatté con noi il giorno di San Crispino!”

Sarà anche merito di un certo William Shakespeare, ma insomma ci commuoviamo.

E come non pensare alle parole di Winston Churchill in seguito agli accordi di Monaco del 1938 che avrebbero dovuto tranquillizzare Hitler e garantire la pace in Europa.

Potevano scegliere fra il disonore e la guerra.

Hanno scelto il disonore e avranno la guerra”.

Quel frenetico fumatore di sigari non sembrò avere alcun dubbio nell’usare la parola ora cancellata.

E, del resto, la guerra non è stata soltanto raccontata a posteriori o agitata come minaccia prima di diventar drammaticamente reale.

Essa è stata codificata e normata moltissime volte nel succedersi dei secoli.

I codici di guerra hanno (spesso non riuscendovi completamente) definito i comportamenti autorizzati di comune accordo durante le fasi di guerra.

Hanno cercato di introdurre una logica di “normalità” in momenti terribili e devastanti. Hanno, insomma, cercato di governare un fenomeno storico e sociale purtroppo innegabile.

A volte, naturalmente, questa normalità si estende in modo anomalo.

E, se è vero che spetta a un ufficiale italiano la prima teorizzazione del bombardamento aereo sui civili, non è peraltro dubbio che, se la II Guerra Mondiale fosse finita diversamente, a Norimberga non avremmo giudicato Hermann Goering ma piuttosto gli autori dei bombardamenti su Dresda ed altre città italiane, tedesche e giapponesi.

Non si deve certamente lodare la guerra, ma non serve a nulla far finta che non parlandone si possa evitarla.

Ognuno può legittimamente avere la sua opinione su quel che accade (e non da oggi) in Medio Oriente.

Si può approvare il diritto – dovere degli israeliani di combattere per esistere come Stato in quel luogo che dovettero abbandonare nel 70 dopo Cristo, quando i pacifici Romani distrussero il Tempio che li univa.

Si può approvare il diritto – dovere di alcuni Stati islamici di proseguire la Shari’a sino alla estinzione dello Stato d’Israele, colpevole di avere occupato terre sottoposte al loro dominio.

Quel che non si può continuare a fare è il nascondere o rifiutare di vedere la guerra quando, purtroppo e comunque, essa è in atto.

(E non soltanto in Medio Oriente!)

Va affrontata e agita per quello che è, magari ricordandoci per un attimo del vecchio fumatore inglese.

Certo, nascondere le parole come sistema per illudersi di correggere la realtà sembra essere un difetto umano che grava su di noi da sempre.

Quando ero molto giovane era considerato di cattivo gusto e quindi sanzionato utilizzare in pubblico le parole “cancro” e “tumore”.

Se per caso ci scappavano (magari perché le avevamo sentite sussurrate in casa) ci facevano subito gli occhiacci e ci veniva tolto il diritto di espressione.

Ci si illudeva, insomma, che non evocandolo avremmo tenuto lontano da noi quel morbo che altri in quel momento colpiva.

Poi, per fortuna, è arrivato il concetto di prevenzione e, almeno in quel caso, il divieto di pronuncia ha cessato di essere considerato uno strumento utile per il bene dell’Umanità.


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