LA PESANTEZZA DEL TEMPO

di Dalisca

Re Lear di William Shakespeare regia di Gabriele Lavia produzione Teatro di Roma- Teatro Nazionale, Effimera srl, LAC-Lugano Arte e Cultura

Tutto come copione: abiti-mantelli molto pesanti, all’inizio dorati con accessori degni di un Re poi, man mano sempre più spogliati dei loro simboli regali fino ad arrivare ad un saio quasi lercio a ricoprire quel che era rimasto di un Re.

Scenografia: tinta di grigio con pannelli mobili che segnavano il passaggio da una scena all’altra, mobilia anch’essa grigia e l’immancabile angolo con teatrino e marionette simbolo di ricordi infantili tipici e sempre presenti  nelle performance di Gabriele Lavia.

Le luci curate da Giuseppe Filipponio indubbiamente adatte a rappresentare una tragedia, tuttavia, non rendevano appieno l’atmosfera che di volta in volta, cambiava in base all’alternarsi dell’umore del protagonista. Un lampadario di tipo anni ‘50 con una sola lampadina centrale dal colore giallastro rendeva l’ensemble squallido senza nessun riferimento ad una dimora regale. Il pessimismo che trapelava da ogni parola di Lear risultava innato non consequenziale alla esperienza, seppur legittimamente negativa, che egli registrava.

Re Lear, opera somma di William Shakespeare: il testo dell’opera è stato assolutamente rispettato, come è giusto che sia; tre ore e mezza circa, con un intervallo di 15 minuti, di intensa attività attoriale sia da parte del protagonista, sia da parte degli altri attori tranne per “Cordelia” la figlia preferita del Re.

Infatti, ella viene liquidata quasi all’inizio della tragedia, relegata nell’angolo del teatrino quasi a sottolineare la sua giovane età, e la sua purezza d’animo. Testimone importante che poi verrà ripreso solo alla fine quando ormai il padre la ritrova e la riabilita quale unica e vera figlia affettuosa e sincera a differenza delle sorelle che, trincerandosi dietro belle e false parole, cospireranno per appropriarsi dell’eredità paterna.

Cordelia, elemento chiave d’entrata nell’opera viene superficialmente eliminata senza nessun ripensamento da parte del Re che, addirittura, la disereda e la concede con disprezzo a quel di Francia senza dote né dignità.

Decisione indiscutibile del regista!

Il Re, in preda al suo disfattismo, continuava nella sua ostinazione refrattario a qualunque possibile addivenire positivo e, forse, proprio in questo suo atteggiamento così aspro e ricusante è da ricercare la causa di tutte le sue sventure.

Figlie cattive, avide, disposte a qualunque cosa pur di sottrarre i beni al padre; la corona simbolo di gloria e potenza non può essere liquidata con tanta leggerezza nemmeno quando questa passa dalla testa del padre a quella del figlio.

O Lear come hai potuto invecchiare senza rendertene conto, senza per questo divenire saggio?

Non vi può essere risposta; quando la vita non è vissuta a pieno senza dare la giusta importanza a ciò che è davvero essenziale ed umano, ecco che  risultiamo estranei a noi stessi e a coloro che ci giudicano vecchi e deboli e che, pertanto, si abrogano il diritto di schermirci e di assumere il comando della nostra residua esistenza.

Tutto il sistema inscenato da Shakespeare per rappresentare l’autorità si alimenta di inganni e di proteste pur di raggiungere la sperata e desiderata ricchezza.

Quasi che tutto l’umano vivere si esaurisse in una continua lotta di potere con un vincitore ed un vinto; nel caso di Lear così non è, l’opera portata alla sua massima espressione si chiude senza vincitori né vinti con lotte e guerre fratricide e patricide. L’un contro l’altro armato si eliminano a vicenda senza alcun raggiungimento d’intenti.

Lavia il grande attore ha reso la pièce molto negativa e non ha lasciato intravedere nessuna possibilità di redenzione nemmeno quando, nella scena finale, stringe la figlia prediletta che muore con lui senza dolore!

Il grande Bardo, commediografo, assolutamente moderno, e, a passo con i tempi, non poteva immaginare, dopo tanti secoli, di impersonare esattamente l’oggi così come allora se non peggiorato. La sua forza e la sua modernità lo rendono incomparabile, non ancora superato. Le sue opere non sono datate né lo saranno mai finché esisterà l’uomo così come noi oggi lo conosciamo, domani, quando l’epoca dell’uomo sapiens sarà superata e con essa la sua umana e, troppo spesso, piccola natura, allora i posteri potranno giudicare il Bardo ormai superato!


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