Interdisciplinarità e unitarietà del concetto di politica
Data la complessità della politica contemporanea – globalizzata e globalizzante – è ormai invalsa la propensione, non solo nell’impostazione accademico-didattica ma, più in generale, nella politica culturale, di tenere presente in modo particolare ed esplicito l’interdisciplinarità, termine oggi considerato erroneamente sostitutivo, anziché espressivo, di una visione originariamente e necessariamente unitaria, anche quando inapparente, del sapere e della prassi e che in ogni caso rivela la carenza o l’estrema fragilità di una concezione che contraddittoriamente confonde l’unità di fondo con quella risultante dal mosaico (inter- e multi-disciplinare) il quale, del resto, presuppone già un disegno di partenza. Chiarito questo, il contributo delle varie discipline diventa preliminare per quanto segue.
Cercare di capire, oggi, la politica senza conoscere l’economia o, altro esempio, le trasformazioni culturali o, ancora, i grandi cambiamenti geo-demografici, significa molto più che nel passato votarsi all’incomprensione della politica stessa.
Mi forzerò, in queste riflessioni, di tenere presenti i risultati salienti delle varie scienze sociali e politiche, ma anche della filosofia politica, pur privilegiando la prospettiva storica: storia dei processi politici, storia del pensiero politico e così via.
Parto, a proposito di quest’ultimo, da due affermazioni di metodo:
1) non possiamo capire il pensiero politico senza conoscere la politica contemporanea, ma vale anche l’inverso;
2) non possiamo capire la politica contemporanea a prescindere dal pensiero politico contemporaneo (che, per non piccola parte, l’ha promossa e non solo influenzata).
Ma pensiero politico e politica contemporanei si inseriscono, a loro volta, in un contesto storico più ampio e questo ci rimanda in particolare alla storia – al processo storico – che precede e prepara la contemporaneità. Di qui, l’importanza del rapporto tra politica e storia: non c’è, infatti, nulla meglio della storia che ci possa far cogliere i cambiamenti della realtà politica contemporanea, che proprio nella storia si sono venuti e si vengono preparando, in particolare nella storia della cultura politica, a sua volta tributaria della cultura tout court. Ma il richiamo a quest’ultima ci suggerisce una seconda premessa a rafforzamento della prima.
La politica non è tutto e, anche se si parte dalla famosa affermazione aristotelica che sta alla base del pensiero politico occidentale – ossia che l’uomo è animale politico (e con cui Aristotele definiva l’uomo non la politica, nel senso quanto meno che l’uomo è naturalmente politico) – non possiamo dimenticare l’altra verità, già intravista dall’antichità ma precisamente scoperta dal cristianesimo: che prima di essere animale sociale e politico (secondo la traduzione della Politica aristotelica utilizzata da San Tommaso d’Aquino) l’uomo è individuo-persona, è una identità ontologica (unitaria) irrepetibile ed è questa che entra nella relazione sociale e politica.
Il riconoscimento appena esposto va, allora, completato con i seguenti:
1) la politica ha rapporto con l’uomo, l’uomo-individuo-persona, l’uomo sociale, l’uomo economico, l’uomo religioso, ecc.;
2) la politica – lo studio della politica – non può prescindere dall’economia, dalla religione e dalle corrispondenti forme di (auto-) organizzazione;
3) uno studio del pensiero politico non può prescindere dal rapporto con il pensiero sociale, economico, religioso, culturale in genere.
Donde l’importanza della conoscenza del pensiero politico e, dunque, della politica (la quale è, contestualmente, pensiero politico e azione politica, fattori reciprocamente integranti l’esperienza politica nella sua specificità), dentro la quale e in riferimento alla quale si calano gli eventi che, però, in essa non si esauriscono, perché, alla fine, è l’uomo, con la sua libertà, con la sua razionalità, con le sue passioni ed emozioni, a fare la storia politica, la storia tout court (e solo in questo senso ne è fatto: la storia è storia dell’uomo che si fa…).
Ciò – per tirare una prima conclusione – significa tener conto delle basi antropologiche della politica. Questa, insomma, implica una più generale concezione dell’uomo, affermazione che vale tanto per il mondo classico (si è accennato all’uomo come zoon politkòn) e medioevale (l’uomo animal politicum et sociale) quanto moderno (l’uomo giusnaturalistico-contrattualistico e utilitarista) e contemporaneo (sia l’individuo portatore dei diritti umani e naturalmente degli interessi economici, intesi – i primi e i secondi – in senso individualistico, sia l’individuo sociale che definisce la “persona” umana).
Di qui, si ribadisce, l’importanza, accanto alla storia politica, della filosofia politica, importanza che non viene offuscata da quelle “scienze sociali” che implicano ed esprimono l’odierna concezione “scientifica” (epistemologico-scientifica) dell’uomo: nel senso che anche l’egemonia “scientifica” del sapere contemporaneo comporta una vera e propria concezione dell’uomo e anzi, ancor prima, da questa concezione nasce e matura (si ricordi la tempestiva e acuta intuizione di Fernand Braudel che ha qualificato le scienze sociali come la “storiografia del presente”).
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