La politica dell’insicurezza globale che vede una guerra (proto) globale diffusa in 50 conflitti regionali tra Africa, Asia e Medio-Oriente che con gli strumenti storici della Conferenza di Helsinky del 1973 non si riescono più a contenere e/ o mediare : quattro i fattori incrociati da considerare e nelle loro interazioni complesse.
1 – frammentazione della leadership mondiale uscita dal secondo conflitto mondiale e dalla “Guerra Fredda” che ha acceso-incendiato almeno 50 aree nel mondo e che lo “spirito di Helsinky” non riesce più a contenere , a mediare o a spegnere;
2 – una condizione diffusa che impatta sulla proliferazione degli arsenali nucleari che invece di scendere tendono ad aumentare accrescendo la spesa militare ( dai carri armati di nuova generazione ai caccia di nuova concezione fino a bombe devastanti rilasciate da aerei non intercettabili dai radar o a reti di interferenze radio che agiscono sui GPS per traiettorie e bersagli, ecc.). Peraltro in presenza di “guerre ibride” e di disturbo che cercano di influenzare la stessa tenuta interna delle democrazie da parte di stati autoritari e autocratici che finanziano e supportano movimenti e partiti dall’esterno interferendo pesantemente con il voto democratico ( cfr. Francia con Le Pen);
3 – crescente sfiducia con ” relazioni tossiche” tra i tre grandi attori globali USA, Russia e Cina, da cui derivano corone regionali di molteplici conflitti incrociati e forte mobilità di alleanze anche sottoforma di cooperazione ( o di frattura) commerciale (vedi Cina in Africa e sud est asiatico).
4 – un quarto fattore è quello climatico che accresce le diseguaglianze a livello planetario (scioglimento dei ghiacci e innalzamento dei mari in molteplici aree del pianeta con conseguenze migratorie usate spesso in chiave geostrategica da molteplici attori globali ( dalla Russia con l’Ucraina fino al Messico verso gli USA come dall’Africa e Asia verso l’Europa).
Conflitti moderni e strumenti novecenteschi ?
Nel complesso siamo di fronte al paradosso per il quale cerchiamo di contenere “conflitti moderni” ma con strumenti del ‘900, da una parte (cannoni, trincee, deterrenza nucleare) e – dall’altra – sfruttando strumenti “avanzati” di condizionamento politico e interferenza nella formazione del consenso democratico attraverso “tecniche di disturbo”, per esempio agendo sulle fonti energetiche e/o sulle reti comunicative opponendo stati democratici e stati autocratici come tra USA-Europa vs. Russia-Cina. Con la Russia per esempio impegnata a sostenere con mezzi leciti e illeciti di tipo finanziario e/o comunicativo i partiti anti-europeisti e anti-sistema, tanto in Europa quanto negli USA nel sostegno ( diretto e/o indiretto) alla rielezione di Trump contro Harris. Oppure con il sostegno al FN di Marine Le Pen in Francia o la Lega di Salvini in Italia oppure il partito di Governo in Ungheria di Orban che cerca triangolazioni anche USA nel sostegno alla rielezione di Trump in conflitto d’interesse quale Presidente di turno del Consiglio d’Europa.
Situazione dunque in parte simile alla “Guerra Fredda” che agiva sulla deterrenza HARD e in parte molto distante perché si costruisce una rete SOFT di penetrazione nelle fragilità dei paesi democratici (Europa e USA) sostenendo direttamente e indirettamente i paesi scettici, sovranisti e populisti, e certamente antieuropeisti e anti-sistema deformando il libero gioco democratico decostruendo la fiducia e la sicurezza in paura e insicurezza. Che ha prodotto diffusamente una polarizzazione nei sistemi democratici oltre che tra paesi nel quadro globale. Una strategia giocata da Russia e Cina nel governo di una più diffusa inter-dipendenza globale.
Uno scenario che spinge innanzitutto l’Europa verso un riarmamento rapido e soprattutto a nord est (Germania, Finlandia , Italia Polonia , Paesi Baltici, ecc.) anche in chiave di sostegno alla difesa ucraina e che dovrebbe rafforzare in primo luogo una politica di difesa più integrata e connessa con la Nato. Ma – in secondo luogo – sviluppando anche un esercito europeo integrato seppure con diverse opposizioni di paesi europei che andranno superate nei prossimi mesi proprio per una migliore difesa da eventuali attacchi da parte russa e che già agiscono con modalità ibride. Integrando le forze militari dei paesi europei e riducendo la spesa militare UE verso una maggiore efficacia di difesa perché allineata e integrata soprattutto con progetti comuni di armamenti avanzati utili anche allo sviluppo industriale e tecno-scientifico.
Oltre lo Spirito di Helsinki del 1973 per superare la frammentazione di conflitti (proto)globali
Dunque – in terzo luogo – ricostruendo un nuovo spirito di cooperazione come quello che era nato ad Helsinki nel 1973 e che poi si è perso per strada per la frammentazione degli equilibri globali derivati dalla caduta del “Muro di Berlino” del 1989, da una globalizzazione asimmetrica e diseguale e dalle fragilità delle democrazie attaccate da molteplici virus sovranisti-populisti e autocratici. Questi travestiti spesso da un neo-nazionalismo emergente per indebolire frammentandolo lo spirito di una Europa comune che invece deve rafforzarsi e progredire in senso federativo se vorrà vincere le grandi sfide contemporanee e in primis della difesa, per poi passare dal digitale al climate change, dalla bomba demografica alle grandi migrazioni dalla povertà alle diseguaglianze (educative, sanitarie, sociali ed economiche).
Sfide che si potranno vincere solo con una Europa e un Occidente più uniti perché da soli nel deserto interdipendente globale saranno più esposti alle tante o troppe minacce (o ricatti) che si potranno sostenere solo se integrati e uniti. Mettendo in comune il destino federativo di molteplici nazioni superando le illusioni e i miopi strabismi di populismi e sovranismi nazionalisti dei quali abbiamo già sperimentato le tragiche conseguenze nel ‘900 e che stiamo ancora rivivendo tragicamente in Ucraina e Gaza o in Siria guardando nello specchietto retrovisore di una storia che non sembra mai passare e con leadership di “piccoli uomini auto-interessati” che agiscono sulla paura e sulla minaccia per lucrare su incertezza, caos e instabilità.
Tra questi i vari Putin e Trump sono campioni indiscussi seguiti dai tanti leader del terrore che hanno nidificato da Hamas allo Yemen all’Iran. Non imprevista peraltro allora la richiesta di arresto per Sinwar, Netaniahu e Gallant della Corte di Giustizia dell’Aia. Ma certo non sono estranei a questa politica dell’insicurezza i “Nuovi Principi ” dei mercati tecno-globali da Elon Musk a Mark Zuckerberg a Jeff Bezos, fino ai “padroni” di Google o Tik Tok ai quali abbiamo consentito di crescere troppo e senza regole e ora che i “buoi sono scappati dalle stalle” ne leggiamo le deformazioni macroscopiche nella concorrenza oltre che nelle libertà e nei diritti con tutto ciò che ne consegue in termini di tenuta dei sistemi democratici e costituzionali, siamo condannati a darci regole serie contro gli abusi (continui e sistematici) di posizione dominante o come nelle distorsioni emerse nell’affaire Telegram (arresto a Parigi del suo CEO) su entrambe le sponde dell’Atlantico e che l’Europa con coraggio (e seppure in ritardo) ha varato con il Digital Markets Act e Digital Services Act.
Regole che sarà opportuno coordinare nello stesso interesse di sopravvivenza di questi colossi come emerge dalla storica lezione del 1974 di AT&T (e del quasi monopolio che nacque con la Bell Telephone Company del 1877 che poi portò dopo quasi un secolo allo smembramento del Bell System in 7 compagnie telefoniche regionali) e dunque aprire i mercati a nuovi entranti e all’innovazione bloccata da almeno due decenni.
Il Rapporto Draghi per rilanciare l’Unione Europea nei prossimi 3-5 anni va in questa direzione, ossia rispondere con l’integrazione e l’unità a questa politica di insicurezza globale connettendo politiche economiche, sociali e di difesa nella sostenibilità conquistando maggiori livelli di autonomia strategica in un quadro multilaterale e utilizzando il “debito comune” triplicando il troppo limitato budget attuale fino ad un nuovo Piano Marshal da 800 mil.di di euro/anno per rilanciare crescita e produttività con un aumento degli investimenti del 5% del PIL e poter competere con i giganti a Est (Cina e India) e a Ovest (USA) a partire dalle correzioni sul piano per l’auto.
I paradossi dell’isolazionismo trumpista nel “disimpegno globale”
Anche dall’ultimo dibattito Harris-Trump si è potuto cogliere che per esempio la politica trumpista sulla guerra (Ucraina e Gaza) è sostanzialmente alimentata da un solo strumento che si chiama “disimpegno”. Disimpegno in Ucraina lasciando di fatto “mani libere” a Putin e disinteressandosi degli esiti di una “pace sostenibile e giusta” ipostatizzando le posizioni sul campo. Ma continuando a vendere armi agli ucraini oppure no ? Disimpegno a Gaza lasciando mani libere a Netanyahu continuando a vendere armi agli israeliani oltre che agli arabi saldati dagli Accordi di Abramo che tutti i presidenti americani precedenti hanno sostenuto e che nel complesso aiuterebbe una stabilità del Medio Oriente.
Questo scenario di “disimpegno globale” della politica globale secondo il Trump-pensiero del MAGA (Make America Great Again) a tutta evidenza allora è benzina sul “fuoco della paura globale” e dunque dell’insicurezza, perché continuerebbe comunque a fare degli USA un produttore di armi per il mondo a ridosso di una ” presunta neutralità strategica” degli USA in un quadro di nuova divisione del mondo in aree di influenza riportandoci agli anni pre caduta del Muro di Berlino e di una Nuova Guerra Fredda. Cosa e come questo nuovo assetto assicurerebbe nuova stabilità globale rimane un mistero glorioso non chiaro e non chiarito da Trump. Soprattutto perché si andrebbe ad “Accordi tra Leader” e non tra paesi e legati solo a questi leader e relativa friabilità invece che incentrati su Accordi tra Paesi che vanno al di là delle loro leadership e guardano ad una stabilità condivisa di lungo periodo. Una concezione neo-corporatista, personalistica e gerarchico-autoritaria delle Relazioni Internazionali e delle sue regole che è costitutiva della politica dell’insicurezza globale. Uno scenario di instabilità che richiede un nuovo ruolo dell’Europa e un rafforzamento della sua autonomia di difesa e con un proprio esercito europeo che riuscirebbe a razionalizzare la spesa militare riducendola e dunque offrendo più opzioni di pace al mondo compresa una “deterrenza dolce”.
Ecco perché servono Commissari (italiani) della prossima compagine della maggioranza URSULA 2 (popolari, socialisti, liberali, verdi) che siano autenticamente europeisti recuperando sul doppio errore strategico di un voto contrario sia sulla Commissione di UvDL e sia sul MES da parte del Governo Meloni e che attrae oggi sospetti non infondati di europeismo scettico se non addirittura di antieuropeismo.
Il caso del piano Draghi per la crescita europea e rilancio dell’automotive in un nuovo quadro ecosistemico : un esempio di politica di sicurezza globale
Uno dei passaggi strategici del Rapporto Draghi sulla competitività europea riguarda l’auto e gli errori commessi nel passaggio all’elettrico per “uscire” dai motori endotermici. Segnalando come il settore automotive è l’esempio sia della mancanza di una pianificazione europea in questo settore da parte dell’Unione e della applicazione di una politica climatica che non tiene conto di una politica industriale. Cinque i punti chiave da considerare: A – riduzione del gap innovativo e rinforzo strategico delle competenze utili e necessarie; B – integrazione tra politiche di decarbonizzazione e crescita competitiva; C – aumento della sicurezza e riduzione della dipendenza strategica; D – sostegno del piano di investimenti con appropriati strumenti di finanziamento; E – potenziamento dei meccanismi di governance.
Punto nodale del rapporto connesso al rilancio dell’automotive riguarda l’incoerenza tra la traiettoria di decarbonizzazione e gli strumenti legislativi e il pacchetto di obiettivi per la filiera dell’auto e che attiene al faro strategico della neutralità tecnologica (NT) verso l’obiettivo al 2035 di eliminazione dei motori endotermici per sostituirli con quelli elettrici, dove tuttavia è mancata la spinta sincronizzata per trasformare in sincrono la complessa catena di fornitura. Per esempio, la Commissione ha costruito una Alleanza Europea per le Batterie Elettriche ma si è fatto troppo poco per diffondere l’infrastruttura delle ricariche senza le quali il mercato non potrà allargarsi.
Mentre la Cina si è mossa in anticipo e già nel 2012 avviando una politica di preparazione dell’intera catena di fornitura elettrica su larga scala in quasi tutti i settori di riferimento e a partire dalla materia prima delle terre rare. Abbattendo in questo modo i costi di sistema della transizione all’elettrico con adeguati incentivi eco-sistemici, innovazione, estensione delle economie di scala e controllo sulla fornitura di materie prime strategiche (terre rare). Disegno che sembra del tutto mancante nel pur prezioso grande Piano del Green New Deal. Quindi serve rilanciare il Piano Auto – secondo Draghi – nel breve termine evitando delocalizzazioni radicali della manifattura e la rapida acquisizione di aziende da parte di produttori esteri a questo scopo sovvenzionati dai loro Stati e in questo senso una equilibrata politica di dazi (realistici e sostenibili) potrebbe “livellare il campo di gioco” e dare robustezza eco-sistemica ad efficienza e competitività accrescendo i livelli di produttività e spingendo l’innovazione condivisa. Mentre nel lungo termine , si tratta di dare coerenza ad un Piano Industriale Continentale che metta a valore la doppia triangolazione di convergenza orizzontale tra elettrificazione, digitalizzazione e circolarità da accoppiare alla convergenza verticale di piano per le materie prime critiche (piano per terre rare già avviato), produzione concentrata di batterie in uno o due siti europei (già in corso), integrazione delle infrastrutture di trasporto e reti di ricarica nel complesso eco-sistema dell’automotive europeo.
Valorizzando in questa direzione la reticolarizzazione dei territori vocati al manifatturiero automotive integrandoli con territori multi-distrettuali di servizi (manifatturieri e di serviticing) trasversali dalla robotica all’automazione industriale al software e applicato e alla sicurezza e ai nuovi materiali entro un quadro circolare e a basse emissioni. Favorendo legami e alleanze (tecno-commerciali) tra campioni europei (da definire e rinforzare) e sistemi di PMI regionali e/o multi-distrettuali da qualificare con una manifattura avanzata, digitalizzata, sostenibile e reticolarizzata.
La leva energetica per contenere i costi è da razionalizzare con un quadro normativo equilibrato, flessibile e coerente con lo sviluppo infrastrutturale da una parte e dall’altra con reti di Ricerca e Sviluppo e centri di ricerca universitari (pubblici e privati) reputati per sviluppare lavoro e formazione qualificata e capaci di favorire ibridazione e contaminazione intersettoriale con traiettorie di interdisciplinarietà e trans-disciplinarietà in particolare con l’AI e gli impatti con la guida autonoma a sostegno di una nuova prosperità condivisa e sostenibile nel quadro del Modello Sociale Europeo che possa peraltro favorire nuove alleanze strategiche tra i grandi player europei per esempio nel segmento strategico di veicoli elettrici piccoli e accessibili sotto i 18-20mila euro, ma anche di veicoli urbani multifunzione (accessibili con piani di affitto breve e lungo) da attivare entro un quadro di multi-modalità.
Perché va tenuto conto dei cambiamenti ai quali è sottoposto il grande mondo dell’automotive dal punto di vista dei consumi e di rapporto con l’auto da parte della GenZ e Y o dei Millennials abituati a muoversi con mezzi molteplici, pubblici e privati su brevi e lunghe distanze e che sembrano distanti dall’obiettivo di acquisto dell’auto come priorità e che spiega in parte la caduta dei mercati dell’auto degli ultimi 20 anni e certamente quella degli ultimi anni post-Covid. Un Piano Industriale dell’Automotive dunque al servizio di una Europa più competitiva, resiliente, sostenibile, inclusiva e accessibile che possa equilibrare esigenze di sostenibilità ambientale e riconversione degli impatti occupazionali e dunque di sicurezza.
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Commenti
Una risposta a “LA POLITICA DELL’”INSICUREZZA GLOBALE” VERSO QUALI SOLUZIONI ?”
Riflessioni molto interessanti specialmente in rapporto al silenzio ‘di stato ‘sui grandi temi,quasi a voler imbavagliare le riflessioni di ognuno sui grandi temi che incombono sul futuro di ogni cittadino libero che si voglia informare e partecipare liberamente e non intruppato al dibattito su come pensare al possibile sviluppo di una società libera e democratica dove ognuno possa concorrere a ipotizzare il possibile futuro in cui vivere!Ma forse sarebbe troppa libertà?⁶