LA REGIA STRADA NAPOLEONICA, terza parte

Verso Milano lungo la sponda piemontese del lago Maggiore

L’Arco della pace già Arco di trionfo (foto1)

Dalla posta di Baveno le diligenze e le carrozze proseguono il loro viaggio lungo la regia strada del Sempione verso Milano, distante una novantina di chilometri.

Fino ad Arona, ultima cittadina della costa piemontese, i viaggiatori si muovono immersi in uno scenario straordinario ed emozionante dove l’acqua del lago, in una fantasmagoria di colori e di riflessi, fa da specchio al cielo, alle nuvole, alle montagne che lo racchiudono: il maestoso Sasso del Ferro sopra Laveno; la lunga catena di monti più a Nord, dalle cime innevate, che verso la Svizzera confondono il loro colore cinerino con quello velato del cielo; rocciose ed aspre quelle che si susseguono verso la Val Grande e l’Ossola; dalle pareti sventrate dallo scoppio delle mine quelle sopra Baveno e Mergozzo generose di granito rosa e di marmo bianco. Quest’ultimo, trasportato per secoli su barconi, dal lago al Ticino e infine al Naviglio, dal 1300 ad oggi continua a rifornire la Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano.

Sulla sponda lombarda, dal Sasso del Ferro la montagna si trasforma in colline degradanti fino a quando le acque del lago confluiscono nel fiume Ticino.

La vista delle tre isole Borromeo che specchiano la loro immagine sull’acqua con i loro colori predominanti – il verde della vegetazione dell’isola Madre, il rosso dei tetti dell’isola Pescatori, il bianco del grande palazzo barocco dell’isola Bella – accompagna gli ospiti della diligenza dalla Posta di Baveno fino a Stresa.

La strada polverosa si snoda da un lato a ridosso della montagna, dall’altro rasenta la riva sassosa. L’andatura della carrozza è rallentata da carri, carretti e muli condotti da contadini avvolti nei loro pastrani, cappelli di feltro calati sugli occhi. Non mancano uomini, donne e bambini che raggiungono a piedi le destinazioni della loro angusta quotidianità.

Poche casupole interrompono coi loro colori slavati il verde intenso dei boschi che si arrampicano sulle pendici della montagna.

La strada tra Baveno e Stresa (foto 2)

La diligenza raggiunge il borgo di Stresa attraversando un ponte sul torrente Roddo. Il corso d’acqua ha creato un’ampia area di terreno che si estende verso il lago, uno dei brevi tratti in cui, tra Baveno ed Arona, la regia strada si discosta dalla riva. Per collegare il passato con il presente, ricordiamo che da questa “punta” dal 1970 parte la funivia del Mottarone, attualmente chiusa e sotto sequestro dopo la tragedia avvenuta la domenica del 23 maggio 2021. Qui, dove termina una lunga passeggiata a ridosso del lago tra ville ottocentesche e grandi alberghi immersi nei parchi, aiuole fiorite, alberi secolari, nuvoli di turisti si imbarcano sui vaporetti che conducono all’isola Bella.

Mentre l’azzurro intenso dell’acqua si colora di scie bianche spumeggianti, l’isola si rivela con sempre maggiore nitidezza: il bianco, imponente palazzo Borromeo; le casette, i piccoli alberghi e i locali di ristoro dai colori pastello, ammassati lungo la riva; vicoli angusti e gradini scolpiti sulla roccia che conducono nel cuore dell’isola sovrastata dal verde dei giardini all’italiana del palazzo barocco. Piante rare e fiori esotici resi ancor più armoniosi e ordinati dalle cesoie di giardinieri esperti; statue e pinnacoli, che aggiungono grazia alle dieci terrazze sovrapposte che si innalzano verso il cielo, fanno da palcoscenico ad eleganti pavoni bianchi che esibiscono vanitosi le loro ampie ruote di piume.

L’isola Bella, Baveno e le cave di granito rosa (foto3)

L’isola Bella tuttora porta i segni della presenza di Napoleone, di ritorno dalla Campagna in Italia conclusa con la vittoria sull’esercito sabaudo. Con l’editto di Cherasco del 28 aprile 1796, sancito a Parigi il 15 maggio 1897, Bonaparte acquisì il diritto di transito su tutto il territorio sardo-piemontese governato dal re di Sardegna Vittorio Amedeo III. Fu allora che nacque il progetto sia della regia strada del Moncenisio sia di quella del Sempione.

In questo frangente storico, a fine agosto del 1797, il generale francese soggiornò all’isola Bella per un paio di giorni, ospite del conte Giberto V Borromeo, insieme alla moglie Giuseppina di Beauharnais e a un corposo seguito di dignitari e militari. La “Sala dell’Alcova”, dove dormì, da allora prese il nome di “Sala di Napoleone”. Su di un cavalletto a destra del letto a baldacchino, in damasco e raso con decorazioni in seta e fili d’argento, una tela riproduce un momento del soggiorno di Napoleone ritratto nel giardino insieme ai suoi dignitari.

La presenza di Napoleone alla reggia e nei giardini dell’isola Bella è documentata anche da due grandi scrittori romantici, i francesi Stendhal e Alexandre Dumas:

Su un alloro, che ha tre piedi di circonferenza, sebbene cresca su due piedi di terra, Napoleone ha scritto la parola “bataille”. (Stendhal Viaggio Italiano 1828, De Agostini, No, p. 26).

Uno dei suoi alberi è storico. È un magnifico alloro, largo come un corpo umano e alto sessanta piedi. Tre giorni prima della battaglia di Marengo un uomo pranzò sotto il suo fogliame. Nell’intervallo tra la prima e la seconda portata quell’uomo dall’animo impaziente, prese il coltello e, sull’albero cui era prima appoggiato, incise la parola: vittoria. Era l’emblema di quello che, allora, chiamava se stesso soltanto Bonaparte, e più tardi, per sua sfortuna, Napoleone. A. Dumas, “Impressions de voyage-Svizzera”, a cura di Michel Lévy, vol. V, p. 111).

Mentre l’isola Bella era famosa fin dal Seicento, Stresa, quando fu costruita la strada napoleonica, era un piccolissimo borgo senza nessun interesse per i viaggiatori del Grand Tour e non solo. Rimase pressoché ignorata, come attrazione del lago, sino alla fine dell’Ottocento, quando venne costruito il grand Hotel des Iles Borromée che diede il primo impulso alla sua sempre crescente fortuna turistica.

Il borgo, seppur di origine antica – la prima fonte storica è una pergamena del 998 in cui viene chiamato Strixia – era formato da poche casupole addossate a un contrafforte della montagna, di fronte al lago, alle barche dei pescatori e alle reti stese sulla riva ad asciugare; oppure erano sparse nella zona collinare, dove, in località Vignolo, sorgeva un antico castello di cui tuttora restano alcuni ruderi. Si può ipotizzare che gli ingegneri incaricati di realizzare l’impresa napoleonica abbiano contribuito a smantellarlo per recuperare le pietre necessarie alla costruzione di muri di sostegno, alti fino a dieci metri, per sostenere o proteggere la carreggiata.

Lo sviluppo graduale del borgo di Stresa lungo la riva del lago avvenne solo dopo la realizzazione della strada napoleonica che sottrasse ampie porzioni di terreno e di giardino alle poche costruzioni allora presenti. Fu così per la più antica villa di Stresa, la villa Ducale o Bolongaro, edificata intorno al 1770. Questa ospitò l’abate e filosofo Antonio Rosmini e le sue famose conversazioni con Alessandro Manzoni, raccolte da Ruggiero Bonghi ne “Le Stresiane”. Così pure, nel 1857, vi elesse a propria residenza Elisabetta di Sassonia duchessa di Genova, madre di Margherita, la Regina d’Italia consorte di re Umberto I di Savoia, da cui la denominazione di Villa Ducale.

Anche la chiesa parrocchiale, a pochi metri di distanza, intitolata ai santi Ambrogio e Theodulo e costruita alla fine del Settecento, dovette sacrificare il proprio sagrato.

Fino ad Arona le diligenze e le carrozze procedevano lungo la nuova strada che si era fatta largo serpeggiando tra la montagna con i suoi ampi tratti boschivi e la riva del lago. Dove il profilo della costa era più lineare e protetta a monte dalle colline ricche di vigneti ed alberi da frutta, si erano addossate le une alle altre le case dei borghi di Belgirate, Lesa e Meina.

Anche se verso la riva si cercò di ridurre il danno ai terreni coltivabili, stretti fra la montagna e lo specchio lacustre, tuttora le case che si affacciano sul lungolago, dopo aver ceduto a quel tempo giardini e orticelli, sono a ridosso della strada del Sempione.

Antica immagine di Lesa (foto 4)

A Lesa, la villa di fine ‘700 dei conti Stampa, che ospitò dal 1848 Alessandro Manzoni, esule da Milano dopo le “Cinque giornate”, dovette sacrificare le ali laterali, portando la facciata neoclassica dell’edificio principale quasi a filo della strada. Nello spazio residuo di fronte al portone della villa, Alessandro Manzoni amava soffermarsi per ore, seduto su una seggiola, come affascinato da un rapimento, per seguire con lo sguardo e la nostalgia dell’esule le diligenze che dal Sempione si dirigevano verso Milano. (Stefano Stampa, Alessandro Manzoni, la sua famiglia, gli amiciAppunti e memorie, Hoepli 1885).

Proseguendo verso il borgo di Meina, la regia strada asseconda con una serie di tornanti la morfologia delle pendici della collina sovrastante, ricca di boschi fino ai piccoli borghi disseminati, a mezza montagna, lungo la strada del Vergante.

Di fronte al lago, immersa nel verde, esisteva già dalla fine del Settecento una porzione di quella che alla fine del secolo successivo sarebbe diventata la maestosa villa Cavallini, che, secondo un censimento del Fai, è il 23° “luogo del cuore” d’Italia. Negli anni ’40 del secolo scorso fu donata dall’ultima erede, Adelaide Cavallini, al comune di Lesa ed attualmente è la sede dell’Istituto Agrario S. Carlo.

La strada napoleonica prosegue fino all’ultimo borgo della sponda piemontese del lago, Arona, protetta dalla statua gigantesca del “San Carlone”, il cardinale Borromeo grande oppositore della riforma luterana dilagante in Europa nel 1600.

Stendhal, che la definisce “colosso”, la descrive così, nel 1827, in una lettera alla sorella Pauline:

Una superba statua del buon San Carlo colpisce i nostri sguardi: ha sessantanove piedi d’altezza e il suo piedestallo ne ha venti; con un gesto maestoso della mano accenna al porto, con l’altra regge un lembo della cotta; è attraverso questo lembo che si entra nell’interno della statua. Un uomo sta dritto nel suo naso. Tranquilla essa sorge in mezzo al lago. (Stendhal- Milano. Architettura e musica, a cura di M.A. Crippa, Guida, 1994).

Non lontano dal San Carlone, su di un’altura rocciosa, si erge la Rocca Borromea che rifornì le pietre per la costruzione della regia strada. Stessa sorte è toccata alla cinta muraria di cui, sul lungolago, sotto una copertura trasparente, sono visibili alcuni tratti.

Il tracciato della strada ha risparmiato invece l’antica piazza porticata di fronte al lago e al suo porticciolo commerciale, che fin dal 1300 costituiva il centro civile ed economico della città con i suoi eleganti palazzi dal fascino medievale: il quattrocentesco Palazzo del Monte della Pietà e il Palazzo dell’ex Corpo diGuardia; in cima ad una scalinata la Chiesa di S. Maria di Loreto, costruita alla fine del 1500 su commissione dei Borromeo, e sullo stesso lato il Palazzo di Giustizia della fine del 1300, antica residenza in stile gotico lombardo del podestà del borgo.

La piazza del mercato di Arona (foto 5)

Sotto i portici di questa piazza, oggi “Piazza del popolo” ogni martedì si teneva il mercato, a cui affluiva gente da ogni parte del lago e dai paesi limitrofi, per acquistare, per vendere o per barattare i propri prodotti.  Ad Arona, centro nevralgico, in cui si incontravano via lago, fiume e terra, la Svizzera e l’Italia, la Lombardia e il Piemonte, arrivavano le pregiate sete della Brianza; i marmi e i graniti di Baveno e Candoglia; il legname delle valli ossolane e cannobine. Qui si barattavano i prodotti agricoli, i formaggi, il bestiame della collina con quelli ittici del lago.

La regia strada, proseguendo oltre la Rocca di Arona, lambiva il vicino borgo di Mercurago, situato sull’ampia collina morenica di origine millenaria che circonda l’ultimo tratto della costa piemontese. Qui la diligenza attraversava quella che dal 1980 è un’area naturale protetta di circa quasi 500 ettari di superficie, il Parco dei Lagoni.

Dopo un percorso fra cannucce di palude, ninfee, mughetti; boschi di querce, frassini, castagni e betulle, la diligenza raggiungeva il Ticino, il confine naturale tra il Piemonte e la Lombardia. Qui un ponte formato da una catena di barconi trasbordava diligenze, eserciti, cannoni.

Nel 1808, quando la strada del Sempione era ormai completata, Napoleone iniziò la costruzione di un ponte ad archi, il “Ponte napoleonico di Boffalora” più comunemente detto di “Boffalora sopra Ticino” che verrà completato nel 1858. Sarà fondamentale, nel 1859, nella seconda guerra di Indipendenza, per il passaggio dei Garibaldini, il loro sfondamento in Lombardia e la liberazione di Milano dal governo austriaco; così pure sarà uno dei principali e più diretti accessi verso la Lombardia dal Piemonte nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale, prima della liberazione nel 1945.

Con un ultimo sguardo al monte Rosa che, illuminato dal sole, fa da schermo al cuore del Piemonte, gli ospiti della diligenza, abbagliati dai riflessi dei boschi che si specchiano sulle acque lente del Ticino, sono ormai in terra lombarda.

La diligenza percorre l’ultimo tratto di strada nella brughiera che dall’attuale Parco del Ticino raggiungeva la Selva Longa tra Gallarate e Busto Arsizio: i viaggiatori sono immersi in una vegetazione incontaminata tra piante di rovere dal folto fogliame e quelle esili e slanciate della betulla; vaste macchie violacee di brugo e di erica contrastano con quelle dorate della  ginestra.

Il 21 settembre 1924 il re Vittorio Emanuele III, sulla sua Lancia Trikappa, inaugurò il primo tronco dell’ “autostrada dei laghi”. Da allora la regia strada nata per diligenze, eserciti, cannoni, in sostituzione di anguste e difficilmente praticabili vie romane o mulattiere, è affiancata da un tratto strategico della intera rete austostradale italiana, realizzata anch’essa all’insegna dell’efficienza e della velocità.

Entrambe, a un secolo di distnza una dall’altra, hanno segnano due tappe fondamentali per lo sviluppo e la crescita della società.

Dopo un percorso pressoché parallelo dal Ticino fino all’’ingresso di Milano, l’autostrada continua verso Venezia, la regia strada con il nome di Corso Sempione conclude il suo itinerario con il maestoso Arco di Trionfo.

L’arco fu innalzato per celebrare la vittoria di Napoleone a Marengo avvenuta nel 1800 nel corso della seconda Campagna d’Italia, prima vittoria di Napoleone come capo di stato.

Bonaparte, già imperatore della Francia dal 1804, quando nell’anno successivo viene incoronato re d’Italia nel Duomo di Milano, è acclamato dalla popolazione meneghina che, dopo la tirannica dominazione austriaca, pregusta quell’ideale di unità – fondato sui principi di liberté, égalité, fraternité diffusi dalla rivoluzione francese – che animò nei decenni successivi il Risorgimento italiano.

Dopo la definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo da parte della coalizione anglo-prussiana e il conseguente suo esilio nell’isola di Sant’Elena; dopo il Congresso di Vienna, concluso nel 1815, che reintegrò il dominio austriaco nel Lombardo-Veneto, l’Arco di Trionfo che celebrava la grandezza di Napoleone venne rinominato Arco della Pace. Sulla sponda lombarda del Ticino intanto tornavano le invise giubbe bianche dei soldati austriaci.

Nota bibliografica: le foto 1-4-5 sono tratte dalla Guida “Da Milano a Briga attraverso il Sempione” di Franchi Rosalba e Monti Dario., in “VieStoriche”.

Valeria Biraghi


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