LA RETROMARCIA DEL GOVERNO SULLA CARNE COLTIVATA IN LABORATORIO

Cos’è e perché non temerla anche per la sopravvivenza del genere umano e dei viventi

Il dibattito sulla carne/pesce coltivati (CC) in laboratorio ha infiammando il dibattito pubblico su qualità, diete , protezione dei prodotti Made-in-Italy, certificazione degli impatti di bio-sicurezza e ambientale. Ma anche per la forte presa di posizione del Governo con una proposta di legge in senso decisamente contrario con un divieto insensato e che finalmente è stata ritirata nonostante la spinta forte di una parte rilevante delle associazioni degli agricoltori (Coldiretti).

Ritiro dovuto al forte ed evidente contrasto con la legislazione europea oltre che – appunto – con la ragionevolezza e che ora cerchiamo di spiegare. Perché intanto dovremo essere più consapevoli dei suoi impatti su salute e ambiente, oltre che sull’economia a prescindere che atterri o meno nei nostri supermercati e ristoranti, dopo quelli di Singapore e Israele. Intanto cosa è e come prodotta.

Con CC si intende carne (o pesce) derivati da colture di cellule staminali di animali vivi sviluppate in laboratorio che esclude la provenienza da allevamenti e macellazione. Non è una “imitazione di carne” derivata da ingredienti e proteine tipicamente vegetali (per es. hamburger di soia, piselli, alghe varie, ecc.) che conosciamo da anni e che vengono venduti nei supermercati a 3 euro per 100g.

Il processo produttivo prevede: A – prelievo di campioni di cellule staminali (comuni a tutti i viventi pluricellulari e che troviamo nel sangue, fegato, muscoli, o nella placenta) da animali vivi e che tali rimangono. B – le cellule staminali vengono depositate in bioreattori (grandi vasche dove siamo leader industriali nel mondo) dove si uniscono in terreni di coltura (assimilabile ai tessuti animali di estrazione) con nutrienti utili tra crescita, replicazione e Differenziazione per generare carne, muscolo o tessuto connettivo; C – si costruisce una “impalcatura che trasferisce i nutrienti” e – come nell’animale vivo – si densifica e si struttura in un materiale commestibile nella forma di bistecca o macinato.

Tessuto realizzato per la prima volta in laboratori universitari a Maastricht nel 2013 da Mark Post. Da qui poi sono gemmate decine di start-up specializzate nella produzione-vendita di CC di molteplici animali domestici (pollo, vitello, pesce, anatra, canguro e molti altri). Quali i punti nodali ? Intanto il benessere animale aumenta riducendo di oltre il 96% la necessità di allevamento per macellazione. Attualmente le cellule staminali estratte derivano da animali vivi che impongono un terreno di coltura da siero fetale bovino (sfb) raccolto dal sangue dei macelli animali, ma dal 2022 abbiamo anche sieri non animali (e non meno naturali), con processi semplificati.

E’ chiaro che: (i) un tale processo generativo migliora la bio-sicurezza alimentare, perché il laboratorio è protetto dalla contaminazione di batteri dannosi (E-coli o Campylobacter) e portatori di malattie sia in animali vivi sia contaminanti per quelli morti; (ii) le contaminazioni chimiche o microbiologiche possono essere abbattute (del 90%) seppure non ancora azzerate con la tecnologia attuale.

E’ noto che lo sviluppo demografico con picco al 2100 impone la ricerca di alternative sostenibili nella produzione-consumo di proteine animali (e vegetali) e inoltre capaci di abbattere le emissioni di Co2 di derivazione da allevamento animale che impattano quasi del 15% globale (anche via investimenti Tea e genomica). Andrà certo dimostrato con rigore se la produzione su larga scala di CC in laboratorio è più sostenibile rispetto all’allevamento tradizionale anche se andrà “compensata” con gli amminoacidi utili.

Perché da una parte sono necessarie molto minori risorse d’acqua, terra e fertilizzanti (riducendo anche il lavoro meno qualificato) rispetto a quelle utilizzate per colture e bestiame intensivi (20mila L/h2o/kg di carne). Dall’altra si dovrà valutare di quanto le colture con bioreattori consentono di ridurre le emissioni comunque azzerabili via rinnovabili. La CC potrebbe migliorare la salute umana non richiedendo alcun impiego di antibiotici (30.000 morti da resistenza agli antibiotici in Europa nel 2019 e 11mila solo in Italia) per ridurre le malattie diffuse negli allevamenti intensivi e suscettibili di “salto di specie” (come lo spillover della “mucca pazza” o del Sars-Cov2 piuttosto che della peste suina rilevata anche a Brescia).

Un profilo di bio-sicurezza e rischio comunque attentamente valutati dall’EFSA (European Food Safety Authority), considerando peraltro che tali cellule staminali sono già largamente sperimentate nella cura di diverse patologie umane (leucemie, occhi, malattie della pelle) e dunque di provata biocompatibilità.

Decisamente contenuto anche il consumo di suolo dato che i laboratori possono produrre in verticale. Sui mercati alla CC sono più sensibili giovani consumatori (e giovani allevatori o investitori) per disponibilità ambientaliste superiori agli over 50 e adatta anche a “vegariani” in grande crescita in attesa di etichettatura che ci segnali lo stato del benessere animale (cage free per esempio) e dunque anche ambientale.

Quindi serve più cultura industriale e comportamentale per fronteggiare la crescita accelerata di questa tipologia di carni che si stimano al 30% del mercato già nei prossimi 20 anni (e già 25 miliardi/€ nel 2030) assieme alla diffusione di altre farine proteiche di origine non animale “potenzialmente” sostitutive di altri prodotti. Ricordando che l’agricoltura è per sua natura “sostitutiva” da oltre 12mila anni nelle domesticazioni che hanno preservato gli ecosistemi eppure con le degenerazioni selettive recenti (ultimi 150 anni) imposte dagli allevamenti intensivi che hanno ridotto la bio-diversità animale (e vegetali) al servizio di una logistica di macellazione industrializzata ad alto impatto. Un divieto di CC (peraltro chiedendosi perché fosse limitato ai soli vertebrati?

Le mucche sono “sindacalizzate” e i cefalopodi no ?) Un divieto che poteva essere letto come un ostacolo alla conoscenza e all’innovazione tecno-scientifica (anche la CC è parte del Made in Italy o solo quella allevata e macellata ?) tale da spingere molti nostri ricercatori ad andarsene dall’Italia e per es. “esportare” in Svizzera o in Olanda e Francia la propria R&S e nei quali “consumare-acquistare” CC (21 miliardi valore brevetti e royalties che andrebbero in fumo per “fuga dei cervelli”).
Una traiettoria che certo non possiamo permetterci e che i mercati sanzionerebbero con forza se non oggi, domani, isolandoci in una nicchia antieconomica e antiscientifica tra i paesi occidentali come pessimo segnale per la governance del climate change e della salute umana (One Health) oltre che per l’attrattività degli investimenti innovativi.

Perché qualora fosse autorizzata dalla Commissione Europea non potrebbe certo essere bloccata al Brennero o a Ventimiglia. Gli allevatori ne sono consapevoli e come intendono prepararsi? Servono allora la saggezza del realismo, il coraggio dell’intelligenza e il lume della conoscenza con il meglio di prevenzione e controllo ma non certo divieti e barriere commerciali e infatti il Governo ha dovuto ritirare la proposta di legge governativa.


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