RUBEN PALMA
Contesto storico-culturale
Gli ultimi anni ottanta e i primi anni novanta sono stati anni di completo riassestamento degli equilibri mondiali, innanzitutto da un punto di vista politico. Con la crisi e il crollo dell’URSS, l’economia e le metodologie politico/produttive neoliberali hanno trionfato sia nei paesi dell’ex blocco sovietico, che in quelli da queste idee hanno avuto origine.
Finalmente, per la dirigenza occidentale, si è potuta propagandare l’as- senza di un’alternativa economica al capitalismo come una ragione per smantellare e/o privatizzare gli apparati pubblici e le politiche di welfare sanitario, abitativo e istruttivo. Valorialmente, il neoliberismo è stato ossigeno per una profonda disillusione nei confronti del presente e del futuro. L’incontestata egemonia culturale e politica delle classi dirigenti e imprenditoriali ha covato la dilagazione dell’individualismo e dell’ignoranza, talvolta confluita anche in nuove tendenze darwiniste-sociali, e nel risorgere della tolleranza verso gli estremismi di destra.
Per citare Gaber, oramai il sogno si è (davvero) rattrappito.
Dopo la caduta dell’URSS, l’assenza di un riferimento politico esterno agli Stati Uniti ha portato alla definitiva perdita della capacità contrattuale nei confronti dell’impero (per quanto esperienze come Gladio hanno dimostrato che il cambiamento non è mai stato un’opzione), per cui le responsabilità e le potenzialità della sovranità nazionale sono state limitate a questioni incapaci di scalfire la macchina imperialista degli Stati Uniti.
Affermare che la classe politica locale sia priva di alcun potere è chiara- mente una semplificazione; questioni ininfluenti nei rapporti internazionali non lo sono per l’esistenza quotidiana di buona parte della popolazione. Sarebbe cieco negare che esistono posizioni opposte su importanti temi di attualità, per cui l’esistenza dei partiti parlamentari mantiene una possibilità di scelta e di supporto individuale.
Tuttavia, è evidente come le questioni lasciate alla politica locale siano di tutt’altra lingua rispetto alle macchinazioni economiche e produttive di cui necessita il blocco a cui apparteniamo. E un’opposizione a ciò è inesisten- te, da un punto di vista di politica parlamentare.
Non dobbiamo sorprenderci di ciò; finita l’era dei blocchi e la prospettiva di un conflitto ultimo, è finita anche la possibilità di un’opposizione interna alle logiche istituzionali. Di conseguenza nei confronti di chi si ostina a protestare nonostante la mancanza di un appiglio, si è spesso agito con un piede di ferro mai mostrato in precedenza (almeno nel nostro blocco).
Possiamo affermare che, in questi termini, la coppia Reagan&Thatcher e le loro filosofie hanno effettivamente portato all’appropriazione da parte della destra del concetto di fine della storia, perlomeno nello stesso modo in cui il termine di un conflitto multigenerazionale ha sempre portato all’illusione che l’orizzonte passato fosse finalmente ai piedi di chi al comando.
Sono queste le basi dell’era post-ideologica: la scissione fra sinistra parlamentare (potenzialmente in grado di attenuare le tendenze anti socialiste dell’impero e dei partiti liberisti) ed extraparlamentare (la più tendente all’azione e allo scontro pratico), da cui deriva l’impossibilità (o la non-volontà) della prima di proteggere la seconda;
il disfacimento di un’entità imperialista non statunitense (in Italia, sfruttata più come strumento contrattuale che come alleanza concreta), il trionfo del neoliberismo non solo nello stato padrone, ma anche negli stati satelliti.
E, dulcis in fundo, la dilagante (e forse, istituzionalemente generata) ignoranza e la profonda disillusione nei confronti delle possibilità del presente, e delle prospettive del futuro.
Conclusioni e prospettive
Istituzionalmente, l’era post ideologica è stata propagandata positivisticamente come un’era non frenata da inutili “ideali” e “convinzioni” in potenza alla realtà politica quotidiana. Un mondo da affrontare per ciò che è e non per cosa potrebbe essere. Un mondo razionale, svincolato da promesse e principi astratti, irrealizzabili e forse addirittura cancerogeni. Ma anche un mondo in cui la speranza di cambiarne le radici, forse oramai marce, è stata irrimediabilmente divorata. È facile rendersi conto di come l’era post-ideologica, piuttosto che in un’apertura illimitata dello sguardo empatico e progettuale, è risultata unicamente nella scomparsa di un futuro per le nuove generazioni.
Ciò di cui il futuro ha bisogno, o almeno, una parte delle sue necessità, è una stratificazione del concetto stesso di ideologia.
Ogni ideologia è un immaginario che plasma la propria lettura della realtà attinendo in parte da basi teoriche e in parte da basi valoriali ed emotive. Anche aderendo a una o più ideologie (e all’immaginario, alla mitologia, o alla cultura ad esse collegate), è fondamentale ricordarsi sempre della loro inequivocabile parzialità e soggettività.
Ma è proprio la coscienza di questa parzialità a poter essere una base per una ricongiunzione assolutamente necessaria alla ricostruzione di una vera opposizione sistemica.
Dobbiamo reinterpretare la forma, e il ruolo che l’ideologia ha nel no- stro presente. Non più un’entità strettamente legata a delle teorie, del- le metodologie, e delle realtà politiche a cui far riferimento per il raggiungimento diretto di un obiettivo, ma un orizzonte valoriale utile a definire delle priorità politiche, e delle metodologie ad esse coerenti.
Questa visione non nullifica le ideologie fin’ora esistenti (tutt’altro), ma in- globa le stesse in un’accezione più ampia orientata a superare l’ iperscomposizione politica delle sinistre extra parlamentari, unendo le diverse metodologie e letture della realtà attualmente concentrate ognuna su nodi parziali, ma interconnessi, della lotta globale. Allinearsi e organizzarsi si stematicamente in base a obiettivi comuni, invece che separarsi a causa di apparenti incongruenze sulla teoria e sulla sua applicazione diretta.
Siamo creature rese meravigliose anche dalle nostre contraddizioni, e imbracciare questo principio è il primo passo per poter puntare più in alto in un’organizzazione politica al passo con le difficoltà del nostro tempo.
Nel nostro tempo il desiderio di cambiare le cose non è dettato unicamente dai sentimenti, dagli studi, o dalle proprie convinzioni, ma dalla necessità. La necessità di far marciare all’indietro al potere, il mostro mangia sogni, per il futuro della Terra per come la conosciamo. Citando l’evoluzionista e divulgatore Telmo Pievani, contro l’antropocene “bisogna fare tutto”. E per permettere ciò, dobbiamo esserci tutti.
SEGNALIAMO