Le perle storico-artistiche della sponda lombarda del lago Maggiore
ista da Arona, prima cittadina a sud del lago Maggiore, la sponda lombarda appare in ogni ora del giorno illuminata dal sole. La “Rocca di Angera”, così si definisce un grande castello medioevale munito di torre, attira lo sguardo per il colore dorato della pietra ricavata dalla parete rocciosa che cade a strapiombo nel lago. A poca distanza, verso nord, sospeso sulla roccia, si mostra un altro gioiello architettonico, l’Eremo di Santa Caterina del Sasso.
Per una decina di chilometri, tra Angera e Leggiuno, la costa lombarda si presenta nuda, aggressiva, aspra, contrastante con la dolcezza uniforme della sponda piemontese, in questo tratto molto vicina, perché il lago si assottiglia defluendo verso il Ticino. La costa lombarda, in questo tratto, mostra rari nuclei di case che formano piccoli borghi isolati.
Lo specchio d’acqua, su cui si riflette questo scampolo di costa color ocra, accoglie il bianco delle nuvole, il verde di una fitta vegetazione selvaggia che a tratti guadagna spazio fra le rocce; intanto i battelli che collegano Arona ad Angera, numerose barche a vela e motoscafi si intrecciano sull’acqua ricamando scie spumeggianti sul blu intenso del lago.
Lo scenario che si ha di fronte, con la sua impervietà e il suo isolamento, fa subito pensare a uno spazio ideale per costruzioni di difesa o di meditazione e preghiera, come appunto furono la Rocca di Angera e l’Eremo di Santa Caterina del Sasso.
Il Castello di Angera e la Rocca di Arona, che si guardano da una sponda all’altra del lago, insieme ai “Castelli di Cannero”, non lontani dal confine svizzero, raccontano la comune storia legata alla dominazione dei “signori” di Milano, gli Sforza e i Visconti, che dal XIV secolo dominarono su tutto il bacino del lago Maggiore. Ad Arona restano visibili sul lungolago, recentemente riportate alla luce e ricoperte da una pavimentazione trasparente, resti delle tre cinte murarie che difesero il territorio dal XV alla fine del XVIII secolo. Per editto di Napoleone dell’11 luglio 1800 si diede inizio allo smantellamento pressoché completo delle fortificazioni e della Rocca, il cui prezioso materiale fu utilizzato per la costruzione della strada del Sempione, la nuova rete viaria che doveva collegare Parigi con Milano. Nel 1837 vennero abbattute definitivamente le mura che chiudevano la parte inferiore del borgo verso il lago, allo scopo di garantire una migliore ventilazione e salubrità dell’aria della città.
La Rocca di Angera
La Rocca di Angera è uno pochi edifici fortificati medioevali integralmente conservato. Abbarbicata su uno sperone di roccia calcarea affacciato sulle sponde del lago, dal Medioevo ebbe un’importanza strategica sia dal punto di vista militare per la difesa del territorio, sia da quello commerciale per il controllo dei traffici.
La tradizione storiografica lega le vicende di Angera alla casata dei Visconti e alla sua affermazione, dopo la vittoria sui Della Torre, per il controllo di Milano e il suo contado, avvenuta con la battaglia di Desio del 21 gennaio 1277. La celebrazione di questo favorevole evento negli affreschi della Sala di Giustizia del castello, mette in secondo piano un’altra ipotesi, secondo cui la famiglia Visconti, nel 1384, avrebbe acquistato la proprietà della Rocca dalla Mensa Arcivescovile, e che dopo l’estinzione della Signoria dei Visconti nel 1449, la Comunità della Repubblica Ambrosiana avrebbe deciso di venderla al tesoriere ducale Vitaliano Borromeo.
Ai Visconti seguì, quindi, la dominazione della nobile famiglia Borromeo di cui si ha notizia dal XIII secolo. Arona ed Angera furono le sedi della contea e del marchesato, già appartenute al re dei Longobardi Desiderio, quindi all’imperatore Federico Barbarossa che lo avevano affidato in comodato ai feudatari locali. Collocato al limite nord-occidentale del ducato di Milano e confinante con la Svizzera, conquistò un determinante ruolo strategico per il gran numero di siti fortificati, fra cui appunto il castello di Angera, la rocca e le mura di cinta di Arona, i castelli di Cannero, con cui i Borromeo si garantirono il controllo sui traffici e la navigazione del Lago.
Con la disponibilità di un esercito e il sostegno dell’aristocrazia locale, il vasto feudo ebbe una lunga vita e solo l’occupazione napoleonica nel 1797 riuscì a smantellarlo. I Borromeo, però, poterono conservarne fino ad oggi il patrimonio immobiliare e il diritto sulle acque.
La rocca di Angera, la cui struttura difensiva risale ai tempi romani e longobardi, di cui non conserva segni visibili, comprende una serie di edifici, eretti in tempi diversi tra l’ XI e il XVII secolo. I primi ampliamenti della prima struttura furono realizzati tra il Duecento e il Trecento.
Al nucleo più antico, di epoca non posteriore al periodo longobardo, appartiene la quadrata torre “Principale” o “Castellana”, situata nell’ala ovest della rocca, eretta tra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII. Da qui si gode di una vista impareggiabile sulle sponde ridenti del lago che si allungano a nord verso la Svizzera che si mostra in ogni stagione con le sue cime innevate.
Alla torre Principale si oppone, sul lato meridionale, la “Torre di Giovanni Visconti”, aggiunta nel XIV secolo. Fra queste, sul lato occidentale, si trova l’”Ala Viscontea”, risalente al XIII secolo, con la Sala di Giustizia ed il suo ciclo di affreschi che rivestono un ruolo rilevante nell’ambito della pittura lombarda del Basso Medioevo.
L’altra ala del castello, sul lato orientale, è la cosiddetta “Ala dei Borromei”, alla cui famiglia vanno attribuiti i maggiori interventi successivi al XV secolo.
La visita del castello sorprende per l’imponenza delle sue dimensioni e per la solennità delle sale: del Buon Romano, della Mitologia, delle Cerimonie, di San Carlo, dei Fasti Borromeo dove grandi tele, ritratti e arredi riportano ad epoche antiche. Di grande importanza è la Sala di Giustizia che ospita il ciclo di affreschi realizzato nel secolo XIII da un anonimo maestro denominato “Maestro di Angera”. La rappresentazione narra vicende legate alla vita dell’arcivescovo Ottone Visconti ed in particolare illustra, come già ricordato, la sua vittoria sulla casata antagonista dei Torriani.
Nei secoli XX e XXI, la Rocca di Angera si è progressivamente trasformata in un vero e proprio “Centro di interpretazione del Medioevo”, rivolto a studiosi ed a studenti, ma anche a turisti che vogliono godere delle bellezze del paesaggio con quell’emozione profonda che nasce solo dai segni lasciati dalla storia.
Il percorso nel castello si arricchisce attraverso la ricostruzione dei giardini medioevali, che si è rifatta ai codici e ai documenti dell’epoca, presentati in una mostra temporanea “Il Paradiso in terra” nel 2009.
Da allora i giardini sono divisi in tre principali tipologie: il Giardino dei Principi, il Verziere, il Giardino delle Erbe piccole.
Nella grande spianata che si affaccia sul lago, all’esterno della Rocca, i maestri giardinieri di casa Borromeo stanno realizzando un progetto in progress che prevede di aggiungere e completare quanto descritto nei codici. Il raggiungimento di questo obiettivo vuole essere uno dei tasselli di un più ampio itinerario storico-botanico sul Lago Maggiore, collegato agli altri giardini dei Borromeo: quello barocco “all’Italiana” dell’Isola Bella e quello botanico dell’Isola Madre.
Dal 1988 la Rocca ospita il “Museo della bambola e del giocattolo”, unico nel suo genere, primo in Italia e tra i più importanti d’Europa.
Costituito da un primo nucleo di bambole della collezione della famiglia Borromeo, l’originario Museo si è ingrandito negli anni fino a raccogliere, nella sezione “Bambole nel mondo” esemplari provenienti anche da paesi extra-europei. L’allestimento segue un criterio storico e geografico, dalle bambole in cartapesta a quelle in porcellana, da quelle di celluloide a quelle di stoffa, in legno o in vetro, che segue la trasformazione dell’antico giocattolo dal 1700 fino ad oggi e nelle diverse realtà del mondo. Accessori e vestine, mobili in miniatura e altro materiale iconografico completano, arricchendola, l’esposizione.
L’Eremo di Santa Caterina del Sasso
Percorrendo la Strada Provinciale 32 delle Due Pievi (SP32), in una ventina di minuti di auto, da Vergiate si raggiunge Leggiuno, in provincia di Varese, a cui appartiene l’Eremo di Santa Caterina del Sasso. A questo spettacolare complesso artistico architettonico, appoggiato sulla roccia a strapiombo sul lago, si può accedere scendendo una panoramica scala di 268 gradini o via lago, arrivando con un battello da Stresa o da Vergiate. In entrambi gli approcci la prima immagine che colpisce è la roccia rosata che prende forma di pietra sulle pareti dei diversi elementi architettonici. Archi, campanili, chiese, formano un unicum compatto avvinghiato alle pareti rocciose, dove l’armonia dei colori si accende del rosso dei tetti e del contrasto con il blu scintillante dello specchio d’acqua in cui ogni elemento affida il riflesso della propria immagine.
Dai terrazzamenti si gode di una splendida vista panoramica sul lago e sulle montagne più lontane che fanno da cornice. La sponda piemontese, di fronte, mostra con una lunga pennellata di bianco la cittadina di Belgirate, che spica ai piedi di colline verdeggianti, dolci e sinuose.
L’Eremo di Santa Caterina è sicuramente il luogo più suggestivo ed unico di tutta la Lombardia. Alcune leggende ne aumentano il fascino narrando di misteri e di prodigi.
Si narra, infatti, che l’Eremo sia stato fondato nel XII secolo da un ricco mercante locale, un certo Alberto Besozzi, che, scampato ad un nubifragio durante la traversata del lago, decise di ritirarsi su quel tratto di costa e di condurvi vita da eremita.
Lì Alberto, che fu beatificato, fece edificare una cappella dedicata a Santa Caterina d’Egitto, attualmente visibile sul fondo della chiesa, ultimo elemento del complesso architettonico a cui si accede attraversando un portico cinquecentesco formato da quattro grandi archi che nascondono bellissimi affreschi. Anche la chiesa, all’esterno e all’interno, è decorata da moltissime raffigurazioni murarie collocabili fra il XIV e XIX secolo. Dalla stessa chiesa si erge un campanile risalente al XIV secolo. Il campanile, alto 15 metri, è costruito interamente in pietra ed è a strapiombo sul lago.
La prima chiesa, che risale al XII° secolo, nel XIV secolo fu affiancata da altre due chiese, quella di San Nicola, a cui era destinato il campanile, e quella di Santa Maria Nova.
A un secondo “miracolo”, avvenuto all’inizio del Settecento, e attribuito all’intercessione di Santa Caterina, si deve l’intitolazione del monastero: cinque enormi massi “ballerini” precipitarono sulla chiesa, restando impigliati nella volta di una cappella, senza causare gravi danni e restando sospesi. Furono rimossi nel 1910. Questi sassi “traballanti” potrebbero aver dato il nome all’eremo che, per esteso, ha nome “Santa Caterina del Sasso Ballaro”, anche se è più probabile che l’etimologia del nome sia legata al vicino centro abitato di Ballarate.
Altri elementi architettonici, arredi, raffigurazioni pittoriche arricchiscono l’eremo di Santa Caterina: la sala capitolare, adornata da antichi e bellissimi affreschi, ospita un vecchio camino. Un piccolo terrazzino fuori dal convento, dove si trova un antico torchio in legno, conduce al “Conventino”, un edificio risalente al XIII secolo. Si tratta di un edificio rettangolare a due piani, di cui il piano terra ospita una cucina e il refettorio, mentre al piano superiore un tempo erano allineate le celle. Queste pareti sono decorate da una lunga serie di affreschi seicenteschi ispirati alla Danza Macabra.
L’edificio attuale, essendo frutto della fusione di tre corpi distinti, sorti in epoche differenti e adattati alla morfologia della parete rocciosa in cui sono incastonati, presenta una forma irregolare, ma non per questo meno armoniosa e suggestiva.
Inoltre, essendosi arricchito nel corso dei secoli, offre i segni di culture, stili, epoche diverse. Le raffigurazioni pittoriche, le sculture, le decorazioni parlano attraverso linguaggi diversi, di fede e di leggende, di cristianità e di paganesimo.
La visita al santuario di Santa Caterina lascia l’emozione di un’esperienza che dalla essenzialità medioevale accompagna al respiro ampio dell’arte rinascimentale, alla ridondanza del barocco secentesco, alla sintesi visiva di un complesso architettonico-artistico variegato, ricco di stimoli, di suggestioni, che si è ricomposto in un’unità sorprendente, il cui collante è sicuramente il paesaggio, colorato dell’oro della roccia in cui è inserito.
Dal 1970 l’Eremo è proprietà della Provincia di Varese. Dal 1986 al 1996 è stato retto da una comunità domenicana, sino al 2018 dagli oblati benedettini; dalla primavera 2019 la gestione religiosa dell’Eremo è affidata alla Fraternità Francescana di Betania.