LA ROTTURA DELL’ORDINE POLITICO

e il ritorno allo “Stato di natura”

La politica come scienza filosofico-sociologica parte settima

Un altro approfondimento sul concetto di ordine politico, che non è paragonabile al gioco dello shangai, dove lo spostamento di un’asticella in bilico fa crollare tutto il labile castello costruito con le altre asticelle. Pur nel suo equilibrio dinamico, la sua struttura flessibile regge perché e finché può contare sulla condivisione e “comunicazione” di alcuni princìpi e valori di fondo, che garantiscono questa struttura e quell’equilibrio (e, perciò, la tenuta complessiva del “sistema politico”). Condivisione e comunicazione che, a loro volta, si riflettono nelle leggi e che più in generale trovano espressione nel linguaggio politico, tanto vero che, per dirla con Joseph de Maistre: “Ogni degradazione individuale o nazionale è immediatamente annunciata da una degradazione rigorosamente proporzionale del linguaggio”.

Quando questo si deteriora, quando le leggi si trasformano e si riducono a pure convenzioni senza radici nella società (per le quali ubi societas, ibi ius), a pure regole formali, anzi formalistiche, e il conflittualismo e la lotta politica si traducono, dapprima nella vuota retorica e diatriba verbale, poi nell’insulto e nel disprezzo dell’avversario, la politica non è più in grado di assolvere al suo compito di ordine né l’ordinamento giuridico di garantirlo.

A questo punto viene meno quello spirito “civile” che, nella storia politica (e del pensiero politico), ha assunto vari nomi ma concettualmente simili: amicitia (per gli antichi, con significato originariamente “civile”, si ricordi Platone, Leggi, 739c: “Davvero comuni sono le cose degli amici”, cui fa eco Cicerone, Laelius. De amicitia, 4, che la definisce omnium divinarum humanorumque rerum cum benevolentia et caritate consensio); “amore” (a partire dal cristianesimo), e quindi “fraternità”, quale espressione di libertà e uguaglianza degli uomini-cittadini: amore che storicamente e concretamente si è via via coniugato quale sentimento di condivisione che teneva unito culturalmente un popolo stanziato su un territorio, con la patria, con la nazione, e così via.

A mano a mano che questi sentimenti “culturali” – naturalmente sempre combinati con l’interesse del suddito/cittadino, cioè col fattore economico – si sono progressivamente ridotti all’elemento puramente utilitario e che, quindi, la politica si è “economizzata” e la società politica/Stato si è risolta nella società economica/mercato, l’amicizia/amore civile, perdendo il proprio peso specifico, si sono ridotti all’interesse economico tout court: a questo punto, la vita civile si risolve e si dissolve nella vita privata con l’estenuazione della vita politica.

La riduzione “privatistica” della società sconfina, allora, nello “stato di natura” (come già si è fatto notare), sia pure uno stato di natura economico/utilitario e, quindi, artificiale, perdendo il suo carattere “pubblico” che fa di un insieme di individui un popolo (nelle varie accezioni via via storicamente acquisite) con valori e princìpi comuni, con scopi comuni.

Non tenendo e non contenendo, non controllando, perciò, la società “privata” – cui garantire il libero svolgimento dei rapporti umani – il conflittualismo sociale e la lotta politica si scatenano e così si viene preparando, appunto, una specie di ritorno allo “stato di natura” e tutto deve ricominciare da capo: la ricomposizione di un nuovo ordine su nuove basi che rinnovano l’eterno miracolo della politica, l’ordine/ ordinamento recuperato attraverso la riscoperta della “comunicazione” interrotta, dell’amicizia/amore civile, così felicemente espressa dal filosofo contemporaneo Jacques Maritain: “La società, la sua vita, la sua pace non possono sussistere senza l’amicizia (l’amicizia civile), che è la forza animatrice della società”, motivo che risale al pensiero classico-antico: “Riteniamo che la concordia è il più grande bene degli Stati, la cui unità è opera dell’amicizia” (Aristotele, Politica, 1262b, 14-15) “la quale, in quanto amicizia civile o politica, si fonda sul bene dell’altro” (Id., Etica Nicomachea, VIII, I-VI, 1155-1158b) e perciò – si è appena detto – si definisce anche come benevolenza (eunomia) e come concordia (homonoia).


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