Venezia è la meno latina delle città d’arte italiane, originalmente veneto-bizantina ha simpatia per l’Austria ancor che la Francia, essa è esteriormente mediterranea ma intimamente nordica con la sua specialità delle isole Lofoten, il baccalà.
E’ un sortilegio, un’operazione magica per determinare sulle persone un effetto voluto, fargli vivere il sogno di un luogo che è di una libertà inconsueta.
La possibilità di un turismo esistenziale, in cui l’individuo, cioè colui che non può essere diviso, viene invece separato, scisso nella sua vita in un’esperienza che lo trasferisce temporaneamente in un simulacro di territorio d’otremer.
Fenomeno di un contemporaneo che non trova più giustificazione nella maestosità bizantina, gotica, rinascimentale, settecentesca degli edifici, né nella visione pittoresca dei motoscafi. Ma giustifica la puzza portata dal vento, quell’inconfondibile olezzo di alghe e di umani; la città turistica è un ready-made in pietra bianca.
Una moltitudine di turisti colorati che arrancano incerti lungo le pietre di una ciclopica Strada Nuova, pensando, probabilmente come mille altri in quel medesimo luogo, a quanto senso avesse quella magnifica esperienza che stavano vivendo nell’essere a Venezia e visitare l’ennesima Biennale (ce ne è una praticamente ogni sei mesi!).
Marcel Duchamp, avvezzo alla storia dell’arte europea, orchestrò una provocazione con la sua opera a pissoir: un orinatoio di porcellana bianca, alto 60 centimetri, firmato “R. Mutt” che presentò nel 1917 alla Exhibition della Society for Indipendent Artists a New York. L’opera nota come Fontaine, in inglese Fountain, passa per il manufatto artistico più rappresentativo dell’arte del XX secolo.
L’artista conosceva bene Venezia e gli dedicò il Fountain, ma non come semplice omaggio ma come ritratto e nel selezionare l’orinatoio, il suo messaggio fu chiaro: arte è qualche cosa su cui potete pisciarci dentro. Fu così che l’artista sud africano Kendell Geers raggiunse una notorietà internazionale nel 1993 quando, in uno show a Venezia, orinò dentro al Fountain esposto.
Il Fountain rappresenta una rivoluzione nell’arte, come Venezia è un qualche cosa non creato dalle mani di un artista ma dovuto a un cambiamento radicale della funzione d’uso da porto mercantile e centro finanziario a città turistica per le orde del turismo globale. Venezia quindi, è oggi un ready-made come il Fountain, trascende la sua propria forma e diviene intellegibile su un altro piano, un luogo e un’opera d’arte che sostituisce la sua originale forma facendola affondare e risorgere.
L’orinatoio, da dispositivo di raccolta dei processi metabolici umani, diventa l’arte contemporanea, mentre una città costruita sui suoi canali di scarico diventa la destinazione dell’immaginario nell’epoca della cultura dell’arte per le masse.
Questa bellezza sussurra inviti, sotto i suoi mosaici si accanisce nella penombra della sua laguna, per scale intrecciate di lampi, di fili di pioggia e di raggi di luna, fra lo sciaguattare di piccole onde lagunari… Per qualche misteriosa motivazione questo luogo resta schiavo del passato, popolato di uscieri di una sala da museo della storia. I gondolieri, possono essere paragonati a dei figuranti di una cultura pàstiche.
Con le loro imbarcazioni che qualche d’uno ha elegantemente definito ‘sedie a dondolo per cretini’. E nulla può offenderli, poiché sono commercianti di cui è nota la smisurata umiltà.
La cui principale preoccupazione è quella di arricchire la Società dei Grandi Alberghi e Grandi Navi, così si fanno musei e porti assurdi mentre la laguna si guasta, le fogne non vengono realizzate, l’acqua viene sbarrata.
Eppure, un tempo fu uno stato di artisti geniali, pensatori audaci, ingegni industriali e mercanti… Ma qualcuno concentrandosi sul passato ha dimenticato di progettare il presente.
E c’è chi accusa gli effetti avvilenti del vento che qui chiamano garbino. Era proprio questo vento che gonfiava le vele dei commerci, e il cittadino veniva cresciuto all’estero, tra tante avventure. Oggi invece cresce in cattività, non ha più bisogno di viaggiare, poiché la società dell’industria e della tecnica collega alla terraferma, al continente, al mondo la città che abitano. Ma questa tecnica condanna questa città ad essere sommersa, il riscaldamento globale sarà la soluzione. Probabilmente morirà come un sorcio dentro all’immensa trappola dei condizionatori, refrigeratori e spray, che essa stessa, con le sue orde di turisti, ha contribuito a diffondere. Non c’è stanza, non c’è abitazione che non abbia un condizionatore e un frigobar.
Torcello, Burano, Mazzorbo, San Francesco del Deserto, l’isola dei Morti, è tutta una letteratura ammalata e una immensa fantasticheria romantica di cui le hanno velate i programmi turistici. Nel secolo scorso hanno definito quelle isole come mucchi di sterco che i mammouth lasciarono cadere qua e là nell’attraversare a guado delle preistoriche lagune. E i turisti le contemplano stupidamente.
Certo, non è cosa da poco l’eccitarli. Sia pure ospite un finanziere, bisogna che egli navighi lungamente nel barocco sudiciume di questo acquario di cocci, bisogna che i gondolieri zappino coi remi parecchi chilometri di escrementi liquefatti, in un divino odor di latrina passando accanto a bancarelle ricolme di camei kitsch, tra equivoci cartocci galleggianti, per poter essere contenti di sé e del long week end.
Nei giorni di Pasqua 2022 è stata raggiunta la cifra record di 120 mila turisti.
La quantità media di feci emessa giornalmente da un individuo è di circa 200 grammi. Parallelamente nell’arco delle 24 ore, un individuo adulto produce un volume urinario pari a circa 1.000 – 2.000 ml; per cui facendo una media per difetto a Pasqua Venezia ha galleggiato su 240 quintali di merda al giorno a cui si sono accompagnati 180.000 litri di orina al giorno, ovvero 180 metri cubi di piscio. Il tutto in una città senza fogne.
Prima di andare a visitare Venezia leggete due libri e precisamente Le Fondamenta degli incurabili di Joseph Brodskij e Contro Venezia di Regis Debray. Uno scritto da un russo e uno da un francese.
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