Io non so se nella richiesta di dimissioni del Presidente Toti avanzata dalle forze di quella che si è soliti definire sinistra c’è una ragione politica così forte da superare quella del garantismo, che dovrebbe invece sempre prevalere se per garantismo dobbiamo intendere cultura democratica e stato di diritto per cui il cittadino è colpevole e deve espiare la pena solo al termine di un percorso giudiziario in cui sia stato condannato “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
È però un dato di fatto che a sinistra ben poche voci si sono sollevate per sostenere il diritto alla libertà di un indagato che i giudici tengono recluso da oltre due mesi senza essere riusciti a trovare con quattro anni di indagini uno straccio di prova tale da poter portare l’imputato a processo e avendo però nel frattempo consentito di fatto un processo mediatico devastante con la faccia dell’indagato che viene esposta a tutte le ore della giornata in tutte le possibili pose in tutti i telegiornali e da indagato si trasforma automaticamente in condannato.
La reazione popolare non può che essere: se ne deve andare!
E naturalmente c’è chi se ne fa interprete. Sono lontano da Toti, e per questo penso di poterne parlare con totale libertà.
La sua vicenda sta diventando l’ennesimo esempio di quel fenomeno purtroppo ultranoto che si chiama malagiustizia e che si esprime più compiutamente nelle danze del circo mediatico-giudiziario, fenomeno tutto italiano, fenomeno pericoloso che rischia ogni volta di minare la credibilità di tutti gli attori del processo e soprattutto quella del sistema delle garanzie dello stato di diritto. Ciò che oggettivamente indebolisce la democrazia.
Ci voleva Netflix a ricordarci che esiste ancora l’art. 533, comma 1, del Codice di procedura penale, che testualmente recita: “Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio …”.
Bisognerebbe che ce lo ricordassimo tutti quando prendiamo posizione sulla giustizia, anche senza essere né professionisti né cultori della materia.
Chissà se lo avevano presente quegli esponenti della sinistra che giovedì hanno manifestato a Genova per chiedere non la scarcerazione di Toti ma le sue dimissioni?! Se ne deve per forza dubitare giacché, per le condizioni e il momento in cui quell’iniziativa si è svolta, il suo senso, se non è quello della gogna che diventa linciaggio di cui parla Filippo Facci, è certamente quello delle dimissioni a causa di indagini giudiziarie che è un chiaro segno di giustizialismo.
Va bene, magari avranno pensato che loro dovere è porre il problema politico del funzionamento delle istituzioni e non occuparsi di giustizia, perché comunque “la giustizia farà il suo corso”, frase magica che consente a tutti di evitare di assumersi una responsabilità. Ma non occupandosene se ne occupano. Infatti, la domanda da farsi è: Quale giustizia? Si ha ancora negli ambienti democratici e di sinistra un’idea di che cosa debba intendersi per giustizia?
Mi viene da domandarmelo quando leggo certe reazioni scomposte, addirittura feroci, proprio in ambienti che si ritengono di sinistra o comunque progressisti, al ddl Nordio ora legge, ciò che spiega poi anche l’atteggiamento di fronte al caso Toti. Che cosa prevede questo primo provvedimento di riforma della giustizia che fa capo al ministro Nordio? È un provvedimento composito che affronta cinque temi: l’abuso d’ufficio, il traffico di influenze, le intercettazioni, le misure cautelari, le informazioni di garanzia. Vediamone una breve sintesi, tanto per metterne a fuoco il senso.
- Viene abrogato il reato di abuso d’ufficio, reato evanescente moltiplicatore di cause senza esito. Non c’è bisogno di riferire i dati che ne testimoniano indirettamente l’inutilità e direttamente i danni. Chi ha fatto il sindaco o il funzionario pubblico ne conosce le distorsioni e gli effetti perversi.
- Si precisano poi i contorni del traffico di influenze: “le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono essere esistenti (non solo asserite) ed effettivamente utilizzate (non solo vantate)”, ecc.
- Si interviene in tema di intercettazioni allo scopo evidente di assicurare una maggiore tutela al soggetto terzo, estraneo al procedimento, con il divieto di pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni in tutti i casi in cui il terzo non sia riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento. Viene inoltre stabilito il divieto di riportare nei verbali di trascrizione delle intercettazioni espressioni che consentano di identificare soggetti diversi dalle parti in causa.
- Vengono introdotte due importanti novità per le misure cautelari: l’istituto dell’interrogatorio preventivo della persona sottoposta alle indagini preliminari rispetto all’eventuale applicazione della misura cautelare; la composizione collegiale del giudice chiamato a decidere la misura della custodia cautelare in carcere.
- Infine, per l’informazione di garanzia, si stabilisce che questa deve essere trasmessa “a tutela del diritto di difesa”, deve contenere obbligatoriamente una “descrizione sommaria del fatto”, mentre la notificazione deve avvenire con modalità che tutelino l’indagato.
Se si va a fondo si scopre che abbondano le eccezioni, che ci sono i ma e i però, che il giudice collegiale ci sarà tra due anni, insomma cautele e limiti evidentemente frutto di problemi attuativi e di compromessi faticosamente raggiunti dopo due anni di lavoro in parte sotterraneo e in parte trasparente in cdm, in commissione e in aula.
Ma il senso è la maggiore tutela del diritto del cittadino ad essere ritenuto e trattato da innocente fino alla prova della sua colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio o il suo contrario? È presente il principio che è meglio un colpevole in circolazione che un innocente in galera o il suo contrario? È al centro l’idea di libertà o il suo contrario?
Insomma, è finalmente il messaggio che lo stato non è lo stato delle procure ma lo stato del cittadino libero e responsabile, rispettoso della legge e soggetto alla legge ma non assoggettato all’arbitrio di un giudice ed esposto alla gogna di chi lucra sulle sue disgrazie, o il suo contrario? Questa mi pare la questione culturale e politica dirimente. Quella parte della cultura democratica che si schiera contro un insieme di provvedimenti che recitano maggiore tutela del cittadino e ne valorizzano libertà e responsabilità, non cade forse (consapevolmente o meno) nella stessa trappola giustizialista in cui cade una sinistra che invece di chiedere la libertà di un indagato privato della libertà senza prove e senza processo manifesta in piazza, addirittura incurante della canicola, per chiederne le dimissioni dalla sua carica perché indagato nell’esercizio di quella carica?
Si ha davvero l’impressione di una crisi verticale della cultura democratica e della sinistra politica in un punto cruciale della vita della Repubblica, l’esercizio del potere di giustizia, in particolare della giustizia penale.
Ed assumono così inquietante rilievo le riflessioni dell’avvocato prof. Filippo Sgubbi contenute nel suo “Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpa. Venti tesi”, riproposte a proposito del caso Toti, su Il Dubbio di giovedì, da Giuliano Cazzola.
Il penalista bolognese vedeva la giustizia penale allontanarsi dalle sue intrinseche finalità, con la conseguenza che si staglia all’orizzonte una nuova fattispecie, quella della responsabilità penale senza colpa, a causa del passaggio dal binomio innocente/colpevole al binomio puro/impuro. Il reato non è più un fatto commesso e accertato da un soggetto dotato di libera responsabilità ma un male connaturato ad una tipologia di persone per il ruolo che svolgono nella società (ad esempio la politica). Ci sono perciò i puri e gli impuri. I puri sono per definizione privi di colpa e possono anche trasformare un reato in diritto (ad esempio quello di occupare case); gli impuri, al contrario, hanno la predisposizione naturale, come una vocazione, al reato, per cui devono continuamente dimostrare la loro innocenza che resta comunque temporanea. Emblematico Piercamillo Davigo: non ci sono innocenti, ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca.
Una situazione assurda?
Le esperienze che viviamo in questo tempo duro non ci rendono per nulla tranquilli che lo sia. Mi pare comunque del tutto evidente, che nella cultura politica della sinistra sia montante se non la fine almeno la crisi del garantismo, fondamento della cultura delle democrazie liberali.
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