LA SOVRABBONDANZA DI FUFFA

La questione non è se oggi se ne produca più di ieri.

La capacità umana di produrre inutile fuffa (di cui questi disgraziati articoletti sono un ottimo esempio) è accertata da millenni, anzi da sempre.

Avere e successivamente emettere delle opinioni in merito a qualunque cosa appare come la vera caratteristica della specie umana.

Chi non sarebbe immediatamente in grado di guidare alla vittoria la Nazionale di calcio?

E, soprattutto, chi non sarebbe immediatamente pronto a spiegare tutti i trucchi che userebbe e chi davvero convocherebbe?

La sovrapproduzione di fuffa domina felicemente tutta la nostra Storia.

Caporetto non sarebbe stata quella disastrosa ritirata e sconfitta, se qualcuno fosse stato ascoltato.

La soluzione in Medio Oriente sarebbe facile e pronta, se mi fosse concesso applicarla.

Il COVID non esiste ed io, purtroppo inascoltato, lo avevo detto.

E così via, a spiovere.

Una assoluta infinità di parole scorre da sempre attorno a noi, collocandosi nei bar, riempiendo le riunioni famigliari, animando le manifestazioni politiche (sino a che c’erano, naturalmente), costituendo il vero sottofondo delle nostre vite.

La normalità di questa presenza spiega, tra l’altro, la rispettosa ammirazione che circondava il mistico che, issato su una colonna, decideva di non produrre mai più parole.

Egli era considerato come superiore agli altri, e non solo per l’altezza da cui non parlava.

E per questo che le persone furbe cercano di far credere di parlar poco.

Come se l’aggiungere soltanto qualche goccia al mare infinito conferisse automaticamente maggior valore e significato alle loro parole.

Ma diciamolo, diciamolo senza vergogna.

Oggi la fuffa va rivalutata come caratteristica fondante della nostra specie e come vero terreno unificante della comune appartenenza umana.

Orizzonti lontanissimi di incontrano in essa.

Oggi il problema è molto diverso dalla sua esistenza.

Esso si colloca nella sua (sinora sconosciuta) capacità di persistenza.

La non dannosità, o meglio la natura innocua, della dominante fuffa stava nella sua stessa immediata labilità.

Chi ne veniva toccato, ed insieme ne produceva, era in grado di liberarsene facilmente, praticamente senza fatica.

Ciò avveniva anche perché ve ne era dell’altra pronta in arrivo, ma anche la prossima era altrettanto destinata ad essere superata.

Che la fuffa non fosse un problema era ben noto a tutti.

“Chiacchiere da bar”, si diceva. “Dibattito parlamentare”, si catalogava sospirando.

“Non ce la fa proprio a stare zitto” si pensava silenziosamente di fronte agli sproloqui dell’amico professionista in fuffa.

Liberarsene, però, era più facile che lavarsi le mani.

Ma oggi la fuffa, la parola inutile o immotivata, ha assunto natura corporale e ha iniziato a viaggiare ben oltre la immediata risonanza dell’aria oltre alla quale si estingueva.

Naturalmente è chiaro che ciò è avvenuto in seguito alla nascita della società iperdocumentale in cui oggi ci tocca vivere.

Con il passaggio dalla “comunicazione di pochi verso molti” alla “comunicazione di molti verso molti” abbiamo conferito sostanzialmente a tutti di produrre e diffondere documenti esattamente nella stessa maniera in cui sinora era, giustamente, permesso a tutti di produrre fuffa leggera e facilmente amovibile.

Si tratta di un percorso inevitabile.

La possibilità di partecipare alla produzione di fuffa è stata sinora l’unica vera dimostrazione di esistenza di cui si poteva disporre.

Ora, nel momento in cui tutti apparentemente dialogano con tutti, impedire a qualcuno di partecipare equivarrebbe a negargli il diritto alla vita.

Ma, per di più, non soltanto la fuffa ha assunto anche una dimensione visiva ma, soprattutto, è diventata condivisibile all’infinito.

Dobbiamo abituarci a tarare nuovamente alcuni concetti su questa inaspettata base.

Pensiamo alla avanzata del concetto di accesso, termine che sinora sembrava riservato a divieti legati alla sicurezza o alla privacy personale.

Per tutti noi l’accesso ha preso lo stesso significato che aveva l’entrare sorridendo nel bar di quartiere alla ricerca di qualcuno con cui parlare (e produrre fuffa).

Non saremmo stati felici se gli altri avventori avessero girato le spalle, fingendo di non vederci.

Probabilmente avremmo tossicchiato con insistenza per poi arrivare magari anche al litigio.

Oggi l’accesso a una chat ha un significato persino maggiore (e chiede meno fatica fisica) del semplice ingresso nel locale.

Nessuno sopporterebbe di non venire preso in considerazione o, addirittura, respinto.

Ti potresti cancellare, è vero ma ciò equivarrebbe a sancire che non esisti.

E dunque entri (o accedi, che dir si voglia) e inizi a produrre la tua fuffa in cambio di quella degli altri.

Questa, però, non si dissolverà rapidamente ed anzi continuerà ad esistere. Forse, per sempre.

Potrà passare di mano in mano, essere rilanciata, corrotta e inquinata da altre volontà.

Potrà parlare di te quando sarai lontano e, magari, quando avrai completamente cambiato opinione e natura.

Ci siamo talvolta illusi che sarebbe stata una risata a sommergere la nostra ingiusta società.

Credo che dobbiamo iniziare a preoccuparci non di quella risata (di cui non si vede alcun segnale) ma piuttosto una terribile alluvione di fuffa.

E credo che sarebbe peggio.