LA SPECIALIZZAZIONE SUL SOSTEGNO È REALMENTE SUFFICIENTE?

Vorrei intervenire sul caso ben noto della studentessa ipovedente di Cariati, Alisea, che tanto scalpore sta suscitando da alcune settimane. Non intendo discutere affatto del suo diritto allo studio (principio primo inderogabile, indefettibile e inalienabile della scuola italiana) né tanto meno delle procedure alternative previste per le scuole allorquando si riscontrino problematiche nell’individuazione di insegnanti privi di quelle competenze necessarie per far fronte alle specifiche disabilità.

Ogni istituzione scolastica, infatti, ha l’obbligo di ricorrere a strategie di reclutamento alternative (e immediate) qualora nelle graduatorie non siano presenti insegnanti con dichiarate e consolidate competenze per la specifica disabilità che richiede assistenza educativa. La domanda che invece vorrei porre è di natura diversa e concerne le competenze effettive che oggi l’insegnante di sostegno difatti possiede al netto di tutti gli insegnamenti e di tutti i laboratori previsti nell’ambito del corso di specializzazione in attività di sostegno didattico. Se infatti si analizza con attenzione e obiettività il piano di studi dei corsi di specializzazione si comprenderà che le conoscenze dei futuri insegnanti di sostegno sono in effetti eccessive e deficitarie, sebbene sotto profili differenti. Sono eccessive se si considera quantitativamente l’enorme mole di corsi (con un numero elevatissimo di ore dedicate alle lezioni frontali) e l’imponente carico di studio a cui i corsisti difatti sono sottoposti nel periodo di formazione. Dalla neuropsichiatria infantile, alla didattica ai modelli di intervento psicoeducativi e didattici per i disturbi dello sviluppo, alla legislazione primaria e secondaria riferita all’integrazione scolastica, fino alla psicologia dello sviluppo, ecc.

Questo enorme bagaglio di conoscenze è difatti paragonabile, seppur nei limiti dell’analogia che sto proponendo, alle conoscenze maturate dagli studenti nell’ambito dei vari corsi di laurea triennale. Si tratta infatti di conoscenze di base (integrate peraltro da un, seppur troppo breve, tirocinio realizzato nelle scuole) assolutamente necessarie per la corretta formazione culturale degli insegnanti ma inesorabilmente insufficienti per un adeguato consolidamento delle competenze reali dell’insegnante sui vari versanti delle possibili disabilità con cui lo stesso insegnante si troverà a confrontarsi nel corso della sua carriera. Al pari di ciò che accade nei percorsi di laurea ci sarebbe bisogno di una ulteriore specializzazione, decisamente più orientata e settoriale, per meglio consolidare le competenze dell’insegnante verso un ambito più ristretto di problematiche e disabilità. In via del tutto ipotetica, quasi come a voler disegnare uno schizzo generale di un disegno che ha poi da essere definito nei dettagli, si potrebbe pensare a percorsi ulteriori di specializzazione (di secondo livello) maggiormente definiti: uno magari dedicati alla disabilità intellettiva, uno incentrato sull’autismo, uno sulle disabilità sensoriali, e così via.

In questo secondo livello di specializzazione l’attenzione potrebbe essere posta sulle tecniche e gli interventi specialistici (psicoeducativi e didattici) riferiti alle specifiche disabilità che si è deciso di approfondire. Si potrebbe infine pensare un terzo ed ultimo livello, dato da un tirocinio annuale (dall’inizio alla fine dell’anno scolastico), adeguatamente supervisionato da personale esperto. Il tirocinio in questione dovrebbe però essere adeguato alla specializzazione di secondo livello che si è scelto di conseguire. Ad esempio il corsista che ha scelto di specializzarsi ulteriormente nell’ambito delle disabilità sensoriali seguirà un percorso di tirocinio coerente con questa specializzazione, e affiancherà quindi studenti e studentesse affetti da questo genere di disabilità. Il quadro formativo così rivisto potrebbe quindi avere questa struttura generale:

  1. Specializzazione di primo livello: conoscenze generali relative alla neuropsichiatria infantile (eziologia, classificazione diagnostica delle varie disabilità), alla legislazione scolastica, alla psicologia dello sviluppo, ai principali modelli di intervento psico-educativi e didattici, alla psicologia dell’educazione, ecc.
  2. Specializzazione di secondo livello: in questo ulteriore segmento formativo il futuro insegnante conseguirebbe una conoscenza estremamente approfondita di un ambito maggiormente definito del vasto quadro delle disabilità, che pure conoscerebbe nella sua interezza grazie agli studi condotti durante la specializzazione di primo livello.
  3. Specializzazione sul campo: tirocinio annuale dall’inizio alla fine delle attività didattiche realizzato affiancando uno studente o una studentessa la cui disabilità è ricompresa nell’ambito di studi della specializzazione di secondo livello. Se avrò approfondito la disabilità intellettiva o, sarebbe meglio dire, le disabilità intellettive allora sarò assegnato ad uno studente con questa forma di disabilità, e così via.

In questo nuovo ipotetico scenario a cambiare, come ho già detto, dovrebbe essere anche la modalità di reclutamento degli insegnanti. Essa dovrebbe cioè assomigliare a quanto analogicamente accade in ambito medico-specialistico. Le famiglie degli studenti con disabilità dovrebbero cioè essere sicure il proprio figlio sia affidato ad un insegnante altamente specializzato proprio nel campo della disabilità di pertinenza. C’è di più: persino gli specialisti dell’ASL potrebbero, su queste nuove basi, interloquire con l’insegnante specializzato durante i GLO in modo decisamente più approfondito rispetto a quanto accade oggi. Questo perché l’insegnante, sulla base di questa approfondita specializzazione non avrebbe semplicemente “un’infarinatura” generale ma possiederebbe invece gli strumenti adeguati non per sostituire i clinici ma per porsi davanti a loro come specialista dei modelli di intervento psico educativi e didattici di quella specifica disabilità (o di quell’insieme ristretto di disabilità). Nello spazio ristretto di questo articolo ciò che ho potuto fare è stato soltanto un abbozzo di una proposta che meriterebbe senz’altro ulteriori approfondimenti.

Ci sono evidentemente anche aspetti evidentemente problematici sotto il profilo del reclutamento degli insegnanti. Bisognerebbe infatti calcolare quanti studenti con disabilità sensoriali ci sono, quanti con disturbi dello spettro dell’autismo, quanti invece con disabilità intellettiva. Bisognerebbe poi capire se c’è un’equa distribuzione delle varie disabilità nelle province delle varie regioni per evitare che, ad esempio, gli insegnanti ultra specializzati in un certo settore (disabilità intellettiva ad esempio) siano più facilmente reclutati rispetto ad altri (disabilità sensoriali). Questi e ancora altri problemi potrebbero giustamente far apparire come impraticabile una strada simile che però conserva, oltre ogni perplessità, il vantaggio di dare veramente agli studenti con difficoltà insegnanti realmente preparati ad affrontare le sfide che queste complesse difficoltà ogni giorno pongono fuori e soprattutto dentro la scuola.


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