Alien è un franchising inesauribile, che dalla sua origine mediatica, il film di Ridley Scott del 1979, dilaga da decenni nel fumetto, nelle playstation e in una serie di romanzi dove trovano protagonismo via via tutti i personaggi secondari dell’episodio iniziale. L’ultimo trionfa sugli schermi di un’estate che farebbe venire voglia di terraformare ex novo un pianeta, questo, sconvolto dalla catastrofe climatica. Peraltro “Alien: Romulus”, diretto da Fede Alvarez, pur collocandosi cronologicamente fra il disastro dell’astronave “Nostromo” e il risveglio di Elen Ripley in “Scontro finale”, apre di suo una nuova continuity che promette sviluppi inediti.
Ma finora le acclamazioni degli appassionati hanno di fatto escluso ogni dibattito scientifico sul tema esobiologico, che risale alla “Storia vera”, di Luciano di Samosata. Ovvero le diversità delle specie non terrestri, l’esobiologia dell’orrore. L’alieno in quanto brutto, sporco e cattivo.
Il soggetto di partenza riprende un racconto di Alfred E. Van Vogt del 1939, “Discord in Scarlet”, le cui attinenze con la trama e gli sviluppi della pellicola sono tali da avere indotto lo scrittore a minacciare una causa per plagio contro la produzione. Se è per questo, comunque, la concezione dell’extraterrestre come minaccia e non apporta arricchimento conoscitivo all’umanità ricorre nell’insieme della letteratura e del cinema di fantascienza. Si pensi agli orribili marziani di Herbert George Wells che tentano di invadere e conquistare la Terra in “La guerra dei mondi”.
Quanto sono diversi da Thomas Jerome Newton, il mite e fragile antierore de “L’uomo che cadde sulla Terra”, di Walter Tevis, meravigliosamente incarnato da David Bowie nell’omonimo film di Nicolas Roeg del 1976. Ancora di più del natalizio E.T. di Steven Spielberg. Ed è qui che si trova il nucleo della questione.
Stephen Hawking dichiarò: «Immagino che possano vivere in navi enormi, avendo esaurito tutte le risorse del loro pianeta natale. Il risultato per noi sarebbe come quando Cristoforo Colombo sbarcò in America: le cose non andarono molto bene per i nativi americani».
Un grande scienziato non nascondeva di credere che “l’alieno”, diverso in tutto e per tutto, possa costituire un pericolo per la razza umana. Il che porta ad allargare il discorso su una vastissima portata. L’Alien del franchising rappresenta l’impossibilità dell’intercomunicazione. L’intelligenza superiore combinata a un metabolismo letale per l’uomo – l’acido al posto del sangue – non lasciano alcuno spazio alla mediazione.
Allora non vale la pena inarcare le sopracciglia dinanzi agli sconvolgenti comunicati del governo di Tokyo. Nobutaka Machimura, a suo tempo capo di gabinetto del governo di Tokio, disse in pubblico: «Personalmente, credo che gli Ufo in definitiva esistano». Gli teneva dietro il capo di Stato maggiore delle Forze di Autodifesa giapponesi, il ministro Shigeru Ishiba, che va sull’incredibile. Secondo lui, bisognava «prepararsi preventivamente ad un possibile attacco da parte degli alieni.» In particolare, riportava il “Kyodo News”: «Non c’è nessun motivo per negare ulteriormente che oggetti non identificati esistono, e che questi vengono controllati da un’altra forma di vita. Verificherò se l’esercito del Giappone sia in grado di affrontare un attacco alieno – del resto, anche nei film di Godzilla sono di fatto le truppe giapponesi ad entrare in azione. Non si capisce come mai la nostra legislazione non dispone ancora di alcuna direttiva nel caso di un’invasione extraterrestre».
«Dove sono?» chiese polemicamente Enrico Fermi riferendosi agli extraterrestri nel 1950, durante un pranzo a Los Alamos con illustri colleghi tra i quali Edward Teller. Era l’epoca dell’ondata di avvistamenti cominciata tre anni prima, con i dischi volanti segnalati da Kenneth Arnold presso Mount Ranier il 24 giugno 1947 e proseguita con l’impatto di Roswell, il successivo 4 luglio. Su un giornale, c’era una vignetta satirica in materia di UFO e Fermi obiettò ad ogni possibile dubbio sugli alieni con quella domanda secca: «Where are they?»Sottinteso, se esistono, perché non si fanno vedere.
Molti anni dopo, rasserenava la competenza di Margherita Hack, che spiegava come le distanze interstellari siano tali da vanificare il contatto tra forme di vita differenti. E la cosa pareva liquidare il problema, o meglio rimandarlo ad libitum.
Non per l’ONU. Gli alieni stanno arrivando? In attesa di una risposta, al Palazzo di Vetro di New York se ne prepara l’eventuale accoglienza. La dottoressa Mazlan Othman, un’astrofisica malese, ha infatti l’incarico di rappresentare l’umanità nel caso di uno sbarco extraterrestre sul pianeta Terra. Non è una notizia di quelle sparate sulla prima pagina di giornali dai titoli eclatanti, come “The National Enquirer”. Si tratta, al contrario, dell’annuncio riportato dal serissimo ed accreditato quotidiano britannico “Telegraph”. Dietro tanto clamore, il Ministero degli Affari Spaziali che fa capo alle Nazioni Unite (UNOOSA), frutto di un Trattato sullo spazio risalente al 1967. Nel protocollo, i Paesi aderenti stabilivano di proteggere la Terra dalla contaminazione di specie aliene, con la loro sterilizzazione. Oggi, alla testa dell’organismo giunge la cinquantottenne Othman, con un approccio più morbido. E lo presentò in occasione della sua nomina ufficiale durante la conferenza della Royal Society Kavli Foundation nel Buckinghamshire. Intanto, la Othman dichiarava: «La continua ricerca di comunicazioni extraterrestri ci permette di sperare che un giorno l’umanità riceverà segnali dagli alieni. Quando questo succederà dovremo avere in piedi una risposta coordinata che tenga conto della delicatezza del soggetto: l’ONU è una struttura già pronta per mettere in piedi questo meccanismo».
Parole che derivano dall’esperienza della Othman alla guida dell’agenzia spaziale malesiana, per la quale ha diretto il primo lancio nello spazio. Per la donna, il nuovo e serio approccio alla possibilità di vita intelligente non umana si rende necessario con la scoperta di tantissimi altri mondi che potrebbero ospitarla. A sostenerne la competenza, il professor Richard Crowther, esperto in diritto spaziale del gruppo di lavoro dell’apposito ente britannico distaccato alle Nazioni Unite. Secondo lui, la Othman è «la persona più adatta se un alieno dovesse chiedere di portarlo dal nostro leader». Fulcro della linea che l’esperta vorrebbe seguire con gli alieni è un rapporto di tollerante cautela.
Invece Alien, lo xenomorfo, ricorda a tutti che l’incontro sarà quasi certamente uno scontro, con poche chances per esseri a sangue caldo, una struttura ossea molto cedevole e principi morali che si basano sul rispetto ad ogni costo dell’“altro”.
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