L’alberello di Pantelleria patrimonio immateriale dell’umanità

Perché l’UNESCO ha posto l’attenzione proprio su Pantelleria per una pratica colturale diffusa anche in altri siti?

La pratica tradizionale della coltivazione della vite ad alberello dal 2014 è iscritta nella lista rappresentativa del patrimonio culturale dell’umanità con una motivazione che evidenzia l’attaccamento della popolazione pantesca a un’attività agricola millenaria ma che solo nell’ultimo secolo si è evoluta con l’assoluta eccellenza vinicola che oggi conosciamo.

La pratica tradizionale della coltivazione della vite ad alberello – traduciamo dal portale dell’UNESCO (dove lo leggiamo in francese) – è tramandata da generazioni nelle famiglie di viticoltori e agricoltori dell’isola mediterranea di Pantelleria. Circa 5.000 residenti possiedono un appezzamento di terreno che coltivano con metodi sostenibili. La tecnica prevede diversi passaggi. Il terreno viene preparato livellando il terreno e scavando una buca dove verrà piantata la vite. Il ramo principale della vite viene poi accuratamente tagliato per produrre sei rami e formare un cespuglio organizzato radialmente. La buca viene costantemente mantenuta per garantire che la pianta cresca in un microclima adatto. Le uve vengono poi raccolte a mano durante una tradizionale manifestazione che inizia a fine luglio. I viticoltori e gli agricoltori di Pantelleria, uomini e donne, praticano la vite ad alberello in condizioni climatiche difficili. Le conoscenze e le competenze dei portatori e dei praticanti vengono trasmesse all’interno delle famiglie, oralmente nel dialetto locale e attraverso la pratica. I riti e le feste organizzate tra luglio e settembre permettono anche alla comunità locale di condividere questa pratica sociale. Gli abitanti di Pantelleria continuano a identificarsi con la viticoltura e lottano per preservare questa pratica.”

Indubbiamente i vigneti dell’Isola hanno un’attrattiva del tutto particolare, indubbiamente sono un patrimonio storico, perlappunto culturale e, perché no, edonistico di straordinario fascino, indubbiamente ci regalano un’uva unica al mondo con una sinergia tra uomo e natura immutata nel tempo e un vino che ha invece una storia più breve imposta un po’ da vicende economiche un po’ dalla creatività di uomini che hanno fatto di necessità virtù valorizzando l’eccellenza in un modo nuovo, quando la superiore fragranza e le maggiori dimensioni dell’uva Zibibbo secca non bastarono più per imporsi sul mercato alla comodità dell’uva sultanina senza semi, oltretutto con un prezzo molto più basso.

Tuttavia che c’è di diverso nella pratica pantesca perché l’alberello di Pantelleria e solo quello di Pantelleria si è meritato il riconoscimento dell’UNESCO? Ritroviamo distese di viti ad alberello anche in altri siti, in Italia per esempio in Salento.

Il dubbio si fa ancora più strada dopo ciò che racconta il number one degli studiosi di storia della vite e del vino, Attilio Scienza: “l’alberello nella viticoltura mediterranea fino alla ricostruzione post fillosserica à stata l’esclusiva forma d’allevamento della vite. Le sue versioni erano peraltro diverse a seconda della fertilità dei suoli e dei vitigni. Le tipologie più antiche delle zone del Mediterraneo orientale prevedevano alberelli striscianti. Le forme con sostegno (cosiddetto a palo secco) si distinguevano per il substrato culturale che le aveva diffuse, i Focesi di Massalia con il karax e gli Enotri della Basilicata con l’oinotron (dal quale deriva Enotria). In Sicilia e in Puglia gli alberelli avevano maggiori dimensioni, avevano una struttura più ampia ed erano di norma liberi, senza sostegno. Quelli della Francia mediterranea e della Spagna, costituiti in gran parte da Grenache, utilizzavano il portamento assurgente del vitigno per formare degli alberelli di buone dimensioni, senza dei sostegni. Gli alberelli di Pantelleria e delle isole Azzorre sono senza sostegno e collocati nel fondo di fosse più o meno profonde per sfuggire all’azione di venti salati.”

Ma bastano la fossa scavata per proteggere la vite e basta l’assoluta eccellenza del Passito di Zibibbo, figlio del sole e un tantino anche del nemico giurato dei contadini e dei pescatori, il vento, perché l’alberello di Pantelleria acquisisca questa superiore nobiltà culturale e colturale? Sicuramente bastano migliaia di anni di storia e preistoria, di passaggi di popoli di tre continenti, veicoli di specie, razze, varietà riinterpretate dalla natura e dal paesaggio disegnato dal vulcano e dal vento, scultori creativi di nere rocce, a volte figure inquietanti ma immerse in scorci di imponente e nel contempo intima bellezza: un’isola in cui si ha l’impressione di immergersi nella quiete dopo la tempesta, una quiete coinvolgente.

Forse ci offre una spiegazione ancora più affascinante – tra la poesia e il razionale – il personaggio simbolo, per carisma e per il valore dei suoi vini, dell’oro giallo di Pantelleria, Salvatore Murana: “il riconoscimento non va all’alberello in sé ma alla fatica dell’uomo che china la testa così bassa per coltivare e curare la pianta nella sua fossa tanto che affluisce più sangue al cervello creando un altro uomo, un uomo che modifica la sua maniera di pensare…”. Già l’uomo crea un microclima particolare con l’alberello basso e la fossa che non solo contribuisce alla difesa dal vento ma mantiene anche i grappoli abbastanza distanti dal terreno da non rischiare, toccando per terra, di marcire… Ma questo particolare minuscolo ambiente protettivo per la pianta e il suo prezioso frutto creato dall’uomo a sua volta crea un uomo diverso, un uomo pensante, il contadino pantesco.


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