L’AMERICA DI TRUMP SOTTO PRESSIONE

Trump ha dovuto iniziare un percorso inverso a quello che ha cominciato in questi primi mesi di mandato e soprattutto in questi ultimi giorni con il caos impresso a tutti i mercati mondiali. Però il rinvio di novanta giorni, i prevedibili contatti ed i possibili accordi che si registreranno in questo periodo non basteranno a cambiare nel profondo il clima di sfiducia che Trump ha causato agli Stati Uniti ed a se stesso.

Tutte le strane tattiche di questo ottantenne presuntuoso ed anche incompetente nella sostanza, resteranno ferite profonde nel club degli alleati occidentali ed anche -e questo è peggio- nei numerosi Paesi non affascinati dalla prospettiva Sino-Russa ma ancora incerti sulla possibile alleanza con gli USA ed in particolare con Trump. La destra USA non si sta dimostrando all’altezza della situazione da nessun punto di vista: non sui temi dell’economia, non sui temi della democrazia e dei diritti; non sui temi delle alleanze da salvaguardare ed implementare proprio per potersi dedicare prevalentemente alla potenziale crisi nel pacifico; non sui temi della pace (Trump in realtà non è assolutamente un pacifista); non sui temi più ampi e complicati di una evoluzione del complesso dei valori e della cultura occidentale.

Trump cerca di continuare la sua corsa esagerando nelle bugie, puntando su continui bluff, ma in sostanza accumulando errori su errori, e smentendo alcune delle principali promesse fatte in campagna elettorale: oltre ai dazi immediatamente profittevoli, la cessazione “veloce” della guerra di aggressione in Ucraina, soluzioni realistiche per la crisi palestinese. Trump vorrebbe restare il leader mondiale con modalità imperiali facendo pagare a tutto il resto del mondo costi e prebende che un imperatore, se fosse tale, avrebbe tutto il diritto di pretendere.

La verità che non si dice è che gli Stati Uniti sono in condizioni di difficoltà, in alcuni casi di grave difficoltà, sia a livello economico che sociale. Hanno ancora un discreto vantaggio su molte altre nazioni, Cina compresa. Ma è un vantaggio materiale ed immateriale che si erode giorno dopo giorno e che l’incompetenza presuntuosa di Trump ottantenne e megalomane non fa che accelerare. In tre mesi Trump ha dimostrato non solo al Congresso USA ma a tutto il mondo che non basta essere degli immobiliaristi furbi ed intrallazzoni, e che in realtà non sa proprio svolgere e concludere positivamente le trattative. In questo quadro molto complesso però per la EU si aprono nuove prospettive. La EU è più forte di quanto non si creda o di quanto si dica. Quando e se gioca unita può raggiungere i suoi obiettivi. Lo stesso Trump è costretto a smentire se stesso ed affermare che tratterà con la EU nel suo complesso, tratterà con Bruxelles e non (forse) con le singole capitali.

In fondo in fondo non lo vorrebbe, ma è costretto. E smentisce se stesso aprendo un nuovo percorso, e non attende nemmeno la visita della Meloni per comunicarlo, rafforzando almeno l’immagine della sua fan. Certo l’EU ha ancora molti punti deboli. Sicurezza e difesa, in primo luogo, modalità della governance e crescita insufficiente. Carenze alle quali dovrà mettere mano velocemente e coraggiosamente. Però la EU è un alleato essenziale ed insostituibile anche per Trump o per gli Stati Uniti necessariamente focalizzati sul confronto con la Cina -e poi con la Russia, l’Iran, Corea del Nord ed altri. Un alleato essenziale sul tema della difesa (ovviamente se la EU realizzerà quanto previsto) sul piano dei rapporti geopolitici in particolare nel Mediterraneo allargato, Africa, Balcani; su molte tematiche economiche ed industriali, su temi fondamentali di ricerca applicata nella farmaceutica come nel aerospazio. Un vero e proprio rilancio della crescita se la EU saprà valorizzare in primo luogo il rapporto con molti Paesi del Continente Africano. Da nord a sud e da sud a nord quei Paesi rappresentano il vero percorso delle “vie della seta” in salsa Europea, fatta di cooperazione, formazione, sviluppo sostenibile e diritti.

La EU può inserirsi nel “grande gioco” svolgendo un ruolo di mediazione, complesso ma probabilmente indispensabile, tra USA e Cina. E’ un ruolo che si addice alla EU se saprà valorizzare la propria affidabilità e coerenza. Non un tradimento del campo occidentale, anzi. Ma una occasione per riscrivere alcui punti del trattato immateriale ma culturalmente impegnativo che lega i Paesi del campo occidentale.

Il realismo ci dice che gli elettori americani ci hanno regalato Trump e che dobbiamo prenderne atto e discutere con lui dei vari problemi che quotidianamente tende a scaricarci. Ma lo stesso realismo ci dice che dobbiamo puntare a che le prossime elezioni di mid term puniscano le bizze di un ottantenne bolso e per molti aspetti incompetente. Con realismo non dobbiamo reagire di pancia alle offese che il presuntuoso Trump propina all’Europa quasi quotidianamente. Ma con analogo realismo dobbiamo far dire a chi può che Trump è un narcisista e soprattutto un bugiardo incallito che cerca di imporre tesi farlocche insistendo giorno dopo giorno nella speranza di convincerci che l’acqua è solida. Dopo tre mesi dal suo insediamento abbiamo dovuto prendere atto con realismo che Trump è pavido ma anche guerrafondaio, autoritario ed inaffidabile.

Nonostante le promesse sbandierate durante la fase elettorale, la crisi Israelo-Palestinese, così come la guerra avviata dalla Russia contro l’Ucraina e l’Occidente non sono state domate, anzi gli scontri ed il carico di morte e distruzione cresce giorno per giorno ed il Presidente Trump ha fatto tutto il possibile per non frenare la crudeltà di Netanyahu o la ferocia di Putin. Nemmeno l’adesione al comunicato del G7 che condannava l’ultimo massacro di civili e dei successivi aiuti. Contemporaneamente il Presidente punta ad “conquistare” il Canada, Panama e la Groenlandia. In questi mesi lo fa solo a parole ma promette che userà qualunque mezzo, anche militare, per raggiungere il risultato di appiccicare ai 50 stati americani anche questi nuovi tre possedimenti, che lo vogliano o meno. Ma chi ci governa in Italia ed in Europa con il necessario realismo dovrà prendere atto che è con questo campione di incontinenza narcisista che bisogna trattare.

Ma con analogo realismo gli stessi nostri Governanti non devono farsi trovare impreparati davanti ai bluff trumpiani e metter in campo tutte le potenzialità europee che, nonostante tutte le carenze ed i ritardi, costituiscono un patrimonio di capacità e competenza indispensabile anche per gli aiuti di cui gli USA hanno vitale bisogno se intendono seriamente impegnarsi nel confronto con la Cina. Certo sarà necessario più impegno, più determinazione, più inventiva ed intuizioni per portare ad un nuovo equilibrio il rapporto che da secoli vede nell’Europa e negli Stati Uniti due pilastri del mondo occidentale.

L’articolo di Polillo su Formiche a mio avviso spiega con sufficiente chiarezza come la gestione Trump sarà ricordata per gli effetti, alcuni probabilmente drammatici, che sta producendo e produrrà nel variegato ma importante mondo occidentale: nelle priorità dei valori, nelle strategie da perseguire per aggregare e non disgregare, nel miglioramento della qualità della vita, nello sviluppo democratico e nel suo avanzamento anche in altri Paesi. E di conseguenza nelle alleanze.

Non ho la competenza per commentare tutti i dati economico-finanziari che Polillo ha squadernato per spiegare alcuni dei motivi della crisi americana. Ma non è importante perché mi fido della sua competenza. Ma credo utile sottolineare quello che a me pare molto chiaro a latere di questa crisi che si sta espandendo. C’è l’inerzia colpevole nell’implementare l’Unione Europea con conseguente sottovalutazione di numerose questioni a partire dalla sicurezza e dalla difesa, per proseguire sui temi ambientali e sulle politiche di sviluppo, e poi altro ancora. Dall’altro l’incapacità dei governanti USA di sviluppare un serio confronto con gli alleati del mondo occidentale per determinare un diverso equilibrio di doveri ma anche di competenze e di ruolo sotto la fino ad ora incontestata guida degli Stati Uniti.

Oggi Trump ha levato le ancore verso destini che lui stesso non conosce ma fa finta di immaginare e soprattutto di comprendere e governare. Quindi non basta auspicare che gli USA riprendano il controllo del proprio ciclo economico, cosa assolutamente auspicabile ma impossibile se Trump proseguirà nella attuale gestione dei processi. E non basta che la EU riceva una adeguata delega dagli Stati che la formano per correggere, non eliminare il green deal, per attivare politiche di sviluppo, per affrontare non come permanente emergenza ma come occasione strategica per progettare e governare, il tema delle migrazioni, immigrazioni ed emigrazioni, fenomeni non geograficamente limitati e non eliminabili.

E poi rilanciare ricerca e le sue applicazioni, premessa per una concreta e competitiva crescita economica e sociale. Ed infine una adeguata crescita politica per riassumere un ruolo non occasionale o illusorio di coprotagonista sia nel contesto europeo che a livello internazionale. Per quanto riguarda l’Italia credo che la molto sperata e sofferta trasferta di Meloni alla corte di Trump potrà rappresentare l’inizio della sua fine come leader della nuova destra italiana ed europea. Fd’I è senza contenuti politico-culturali ed anche il richiamo alla storia non aiuta. Contemporaneamente il percorso obbligato di Meloni per far sempre maggior riferimento alla EU sgretola passo dopo passo alcuni assunti basilari che hanno presieduto alla costituzione del Partito in Italia e del. Gruppo dei Conservatori Europei. Credo non sia sfuggito a molti come la visita all’insediamento di Trump ed i contatti frequenti con quei mondi rappresentati in prima fila da Musk e precedentemente da Bannon, abbiano dato alla Meloni l’opportunità di verificare l’esistenza di nuovi contenuti e strategie da condividere e magari esportare in Italia da quella parte di mondo che si è candidata a rappresentare con maggior forza e determinazione assumendo la leadership della nuova destra internazionale. Io credo che Giorgia Meloni rientrerà dalla trasferta a mani vuote o quasi.

Nessun dono espressamente dedicato a lei da parte di Trump. Il Presidente non ha nemmeno atteso la visita per annunciare la sospensione dell’esecutività di molti dazi verso l’EU. Non ha nemmeno avvisato in anticipo la sua fan consentendogli almeno un risultato di immagine. E tornerà a mani vuote anche dal confronto con il mondo di Musk o della MAGA in cui sembra ancora prevalere l’opinione di Bannon. Non c’è concetto o valore o strategia da condividere e trasferire in Italia o in Europa. L’affermarsi delle teorie MAGA o delle intuizioni di Musk sono l’antitesi di quanto può servire alla EU ed all’Italia. Il nazionalismo ed il sovranismo in Europa ed in Italia li conosciamo bene, abbiamo subito le conseguenze e tutti i danni prodotti, stiamo assistendo al loro declino per constatata ed irrimediabile inefficienza e non esiste iniezione vitaminica esportabile dagli USA per rivitalizzarli.

Non so quanto avrà inciso sul sereno rientro in Italia di Meloni l’esito del suo incontro con Trump. Certo non avrà fatto salti di gioia. Dopo tanta fatica, dopo una così lunga attesa cercando un invito, poi ridotto a disponibilità ad incontrarsi alla Casa Bianca, l’esito dell’incontro stesso, almeno per quel che abbiamo visto nella sua parte pubblica, non ha offerto molto. Sui dazi non poteva esserci nulla di più che uno stimolo ad ascoltare le proposte e rispettare le procedure europee, stimolo bonariamente accettato. Ma nulla sulla questione di fondo del rapporto tra i Paesi occidentali, USA e EU in primo luogo. In sostanza il ponte tanto auspicato e tanto cercato è ancora in costruzione e per completarlo ci sarà bisogno di ancora altro tempo e tanto lavorio, anche, tra l’altro, per mettere un po’ a tacere Salvini che intanto si accontenta di un incontro con Vance. Trump ha certamente valorizzato il ruolo di Presidente del Consiglio ma non quello tra Usa ed Italia. Anzi ha rimarcato che il buon rapporto tra i due Paesi ha un limite di scadenza come il latte. Terminata l’esperienza di Meloni il rapporto sarà scaduto. E così, giocoforza, Meloni dovrà riprendere l’avvicinamento a UvdL ed all’Europa. Sarà un percorso necessitato ma avverrà lentamente, molto lentamente, anche per poter approfittare di una eventuale occasione, scivolata, errore, della EU per riappropriarsi del ruolo di scompaginatore della EU, affondando un chiodo tra le scapole della struttura europea ed in questo modo rilanciare la propria immagine alla corte di Trump.

Grandi sorrisi, grandi giri di parole, grandi perifrasi hanno segnato tutto l’incontro ma nulla di più, nemmeno sul tema Ucraina attorno al quale l’esercizio verbale della Meloni è stato ammirevole. E Trump ha voluto rimarcare la delicatezza della Presidente cercando sostantivi ed aggettivi più consoni nel definire la guerra di aggressione Russa e lo stesso Zelensky in presenza di una sua sostenitrice come Meloni.

Forse uno spazio diverso si aprirà con Vance. Non credo ci si debbano aspettare altre notizie rispetto all’incontro di W.. Vance potrà forse offrire a Giorgia Meloni qualche risposta oggettivamente interessante rispetto all’altro obiettivo della nostra Presidente. Trovare nuovi contenuti, para culturali, paraideologici, strategici in qualche modo, per irrorare il deserto di idee e contenuti che è il suo partito, la sua parte politica, la destra italiana ed europea. Vance ha una storia personale e politica che offre numerosi elementi di riflessione e di condivisione per un esponente di una destra occidentale. Intrecciare un rapporto più solido e costante con il Vicepresidente che vorrebbe/potrebbe diventare Presidente è certamente una strategia che vale la pena di perseguire. Non è detto assolutamente che Vance nel 2029 diventi Presidente. Trump studia da tempo come raggiungere l’obiettivo di non porre limiti alla sua Presidenza, come riproporre la sua candidatura dopo questi quattro anni. E’ un obiettivo che solo a citarlo ci spinge verso un burrone. Un ultraottantenne ipernarcisista, strutturalmente imbroglione e con manie imperiali a capo del più importante Paese del mondo può spingere i più deboli al suicidio. Contrastarlo per Vance non sarà facile. Ma Vance a differenza di Trump ha alle spalle una sua cultura, obiettivi politicamente rilevanti anche se difficili da raggiungere, strategie meno occasionali per costruire il suo MAGA. 

Non mi è ancora assolutamente chiaro come questi suoi contenuti si integrino e concilino con gli obiettivi e la filosofia del business che ha in Musk il suo attuale portabandiera o come intenda integrare il rinoceronte Bannon. Ma per Meloni affrontare, sondare e raccogliere spunti e potenziali più strutturate alleanze e una strada da continuare a percorrere. Probabilmente qualche risultato potrà arrivare e sarà più concreto di quanto oggi possa sembrare.