L’ARTE AI TEMPI DEL POST (UMANESIMO)

L’uomo è obsoleto, deve modificare il suo modus vivendi, diventare altro questo è quanto affermano filosofi e antropologi. L’immaginazione non supera certi limiti per cui è difficile comprendere quale sarà il futuro. E L’arte? Come sarà il prodotto di un avatar?

L’epoca è questa la tecnologia ha ormai influenzato ogni aspetto della vita e il metaverso già sostituisce la realtà.
Oggi non ci si accontenta più di visitare una mostra e provare le emozioni che le opere esposte possono suscitare, infatti grazie ai mezzi tecnologici ora riusciamo ad entrare nel quadro e a farne parte.

Ma è solo l’illusione di un momento perché tutto è prepotentemente virtuale. Ecco la parola chiave: Virtuale ossia rispondente ad una volontà o ad un progetto ma privo di riscontro reale. Ciò accade anche con opere di diverso genere; prendiamo ad esempio la DOMUS AUREA, scendendo in quell’antro sotterraneo che conduce alle stanze si provano sensazioni incredibili, pareti scoscese, rovine accumulate in angoli sperduti, affreschi erosi dal tempo ormai quasi scomparsi.

C’è poco da vedere! Ma l’incanto di quel posto con tutta la storia a cui esso ci rimanda sollecita l’immaginazione e ci riporta ad un tempo passato della nostra storia. Ad un certo punto, nel mezzo di questa situazione di piacevole smarrimento si è invitati a sedersi su sgabelli e, fatta indossare una maschera, come per magia, ci si ritrova immersi nella falsa realtà di quella che, forse, fu la dimora di un imperatore maledetto.

Ciò che conta davvero in arte è la forma, il nachleben warburghiano, risultato di un intimo colloquio con sé stessi, un ascoltarsi e lasciarsi andare senza rete per cogliere appieno le sensazioni più inconsce e catturare l’’essenza delle cose passate, che un a volta ripescate risorgono a nuova forma e vita.

Alberto Burri, esponente dell’arte povera, bruciava tele e cellox lasciando che il fuoco rilasciasse la sua casualità, però di tanto in tanto, tra quelle bruciature sbuca un rivolo di foglia di oro forse un richiamo allo splendore trecentesco di un Simone Martini?
Ed ancora a Napoli, passeggiando nei vicoli scuri e stretti osservando il fluttuare dei panni stesi spinti dal vento su di un filo da un balcone all’altro non ci rammentano con tale immagine dialettica il movimento dei pepli delle dee pagane o addirittura il ‘400 caratterizzato da quel movimento e da quel clinamen lucreziano generatore di ogni cosa come dimostrano i bei quadri del Botticelli?


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