In un contesto di militarizzazione dei media e di privatizzazione delle istituzioni
Sedici/B Techné Storie di media e società
Michele Mezza
Docente di Epidemiologia sociale dei dati e degli algoritmi, all’Università Federico II di Napoli
Michele Mezza nell’articolo su “L’autonomia della Rai nella guerra ibrida della comunicazione” propone una nuova “idea di servizio pubblico da agganciare alla guerra digitale in corso sulle piattaforme”. Secondo l’autore “i media sono gli arsenali della guerra ibrida in corso in cui inevitabilmente diventano dominio gerarchico dei centri di comando”. Alla loro militarizzazione si accompagna un contesto di privatizzazione delle istituzioni in cui “Il concetto stesso di spazio pubblico, come soggetto autonomo e distinto dal potere dell’esecutivo tende ad essere sostituito con l’accaparramento di ogni spazio da parte della fazione che vince”.
6 dicembre 2024
Il 20 novembre 2024, nel forum promosso da Articolo Quinto e Associazione Stampa Romana°1, abbiamo discusso della mission Rai nel contesto dell’azione dell’Associazione Articolo Quinto promossa da Stefano Balassone per ottenere anche in Italia l’applicazione dell’European Media Freedom Act con il quale la precedente Commissione Europea impone per i servizi pubblici la massima indipedenza dal potere politico e la stabilità nel sistema di finanziamento.
Nella discussione ho posto alcuni problemi che forse non sono riuscito a chiarire, e voglio, sinteticamente, riproporvi perché penso che riguardino molto della nostra discussione.
In sostanza ritengo che con questo mese di novembre 2024 – con le elezioni americane e il nuovo assetto politico della Commissione europea – siano mutate di molto le condizioni e i contesti in cui collocavamo il tema dell’autonomia del servizio pubblico.
Concretamente penso che l’intero sistema mediatico da qualche tempo – diciamo da almeno una dozzina di anni – sia diventato un apparato che è ormai integrato nel circuito della sicurezza nazionale. Una mediamorfosi che stravolge completamente valori, etica e deontologia della produzione di informazione.
Siamo ormai immersi in una guerra ibrida permanente, come l’ha definita il capo di stato maggiore russo Valerij Vasil’evič Gerassimov che ci ha spiegato gia dal 2013 che
“si combatte interferendo nella produzione di senso del paese avversario “.
Le diverse modalità di questa manipolazione ormai convergono tutte, ed è qui la differenza rispetto alle vecchie categorie della propaganda geopolitica del secolo scorso, in modelli semantici che si rivolgono individualmente ai singoli cittadini, clienti, utenti, elettori.
I media arsenali della guerra ibrida in corso
L’Informazione è diventata logistica militare attraverso il quale un potere – pubblico o privato – si costruisce il proprio popolo.
Perfino la guerra, come tragicamente stiamo osservando sia in Medio Oriente sia in Ucraina, è diventata un sistema di esecuzioni extragiuridiche di masse di individui, come spiega Grégoire Chamayou nel suo saggio Teoria del drone2. Un feroce sistema di pianificazione di infiniti profili di nemici, identificati, uno per uno, e colpiti implacabilmente.
Ogni missile ora ha un suo codice di avviamento postale e raggiunge quell’indirizzo, quel palazzo, quell’appartamento. E quando, invece, stermina moltitudini, vuol dire che si è scelto in quella occasione di produrre deliberatamente un eccidio e non un’esecuzione.
Tutto questo avviene sulla base della potenza di classificazione dei dati e del controllo dei flussi della comunicazione composti di informazioni più narrazioni.
I media sono oggi gli arsenali di questa guerra ibrida, in cui inevitabilmente diventano dominio gerarchico dei centri di comando. Si sta trasformando irrimediabilmente la fisionomia del sistema mediatico che da quarto potere viene assorbito e diretto dal primo. Non possiamo chiudere gli occhi dinanzi a questa evoluzione e dobbiamo capire quali siano le forze e gli interessi che possono contrastare questo processo di militarizzazione.
Sull’altro versante, quello istituzionale, con la vittoria dell’accoppiata Trump/Musk negli Stati Uniti e lo scolorimento in Europa della maggioranza precedente che sosteneva Ursula von der Leyen, viene a mancare la stampella istituzionale che doveva sorreggere la rivendicazione dell’European Media Freedom Act. Il concetto stesso di spazio pubblico, come soggetto autonomo e distinto dal potere dell’esecutivo tende ad essere sostituito con l’accaparramento di ogni spazio da parte della fazione che vince. Come spiega senza ipocrisia lo stesso Elon Musk, incaricato da Trump di semplificare le forme del governo
“dobbiamo sostituire le regole con i dati”.
In questo contesto – militarizzazione dei media e privatizzazione delle istituzioni – la nostra battaglia non può rimanere identica a prima.
Un’idea di servizio pubblico da agganciare alla guerra digitale in corso sulle piattaforme
Penso che proprio se vogliamo far valere in questa corrente avversa il valore di un’informazione libera e autonoma, dobbiamo capire quale siano i percorsi e le alleanze che possano ridurre la nostra solitudine. Ritengo che solo lavorando sul tema della mission, ossia di un sistema mediatico pubblico che diventa garante della competitività e autonomia dell’intero sistema paese, proprio diventandone testimonial della sua sicurezza, si possa arrivare a garantire la governance. Ovviamente, questo non potrà avvenire a perimetro costante dell’azienda e tanto meno salvaguardandone quantità e qualità del modello produttivo. Bisogna elaborare un’idea che agganci il servizio pubblico alla guerra digitale basata sul controllo di memorie e dati, riorganizzando il suo sistema industriale attraverso la sostituzione delle reti con piattaforme.
Lo slogan ripetuto ma non praticato della Digital Company è la via maestra.
- La Rai deve essere padrona delle sue memorie e delle sue intelligenze, assicurando al paese almeno un centro di competenza nella transizione ai nuovi linguaggi generativi.
- La Rai deve essere certificatore e notaio della trasparenza e condivisibilità dell’uso dei dati per le comunità sociali e culturali.
- La Rai deve essere una grande agenzia che faccia lavorare i talenti del paese nella produzione di contenuti multimediali declinabili nei diversi paradigmi e linguaggi che la rete propone.
- La Rai deve essere un broker di archivi per l’addestramento in italiano delle intelligenze artificiali di pubblico utilizzo.
- In questa logica la Rai deve essere formatore e divulgatore delle culture digitali innanzitutto con l’esempio della sua produzione e pratica. Sarebbe assurdo immaginare una Rai analogica che insegni il digitale.
- Infine, nella sua mission che dobbiamo meticolosamente dettagliare per assicurare la base di quei saperi che possono rivendicare autonomia e indipendenza perfino in un clima bellico, la Rai deve essere capo fila di un processo industriale che metta in campo i saperi della narrazione per organizzare le competenze della produzione. Penso a quanto sta accadendo a Rai Way, dove nell’indifferenza generale, la controllata del servizio pubblico si è lanciata nel mercato dei data center, senza una strategia che sia elaborata e condivisa dalla capogruppo. E senza che la stessa capogruppo possa essere il primo cliente della sua consociata perché non saprebbe come riempire i suoi eventuali data center.
Ecco queste sono le cose che ho provato ad aggiungere alle elaborazioni che sono già accumulate nell’esperienza di Articolo 5° e spero che possano essere utili per il continuo e inevitabile adeguamento della nostra attività.
- Titolo del convegno: “Missione e governance del Servizio Pubblico dopo il Media Freedom Act” ↩︎
- Grégoire Chamayou, Théorie du drone, Paris, La fabrique édition, 2023, 368 p. Traduzione italiana: Teoria del drone. Principi filosofici del diritto di uccidere, DeriveApprodi, Roma 2014, 224 p. ↩︎
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