Il 24 giugno del 2014 Fortuna “Chicca” Loffredo viene lanciata dal balcone di casa dopo anni di abusi dal convivente della mamma dell’amica del cuore della bambina e madre di Antonio Giglio, un bambino morto in circostanze analoghe un anno prima di Chicca. L’orrore accade in una palazzina del Parco Verde di Caivano, già allora la centrale di spaccio più grande d’Europa. Rileggendo le cronache di quegli anni ho trovato una dichiarazione di Rosaria Capacchione, napoletana, allora senatrice membro della Commissione parlamentare antimafia, per anni cronista giudiziaria del Mattino e autrice del libro “L’oro della camorra”: «Quello che ha colpito anche me, pure abituata a raccontare fatti di violenza estrema, è stata la condizione di estremo degrado in cui si è svolta questa storia.
Un palazzo degli orrori, dove una rete di pedofili agiva indisturbata da anni, dentro le case popolari del Parco Verde di Caivano”.
Il degrado che fa paura è quello umano, non solo quello architettonico che si vede per la strada o sulle facciate dei palazzi, o quello sociale restituito dai numeri e dagli indicatori della statistiche nell’Italia, dove aumentano le disuguaglianze e le povertà di tutti i tipi.
“Ci sono periferie in cui di umano non è rimasto più nulla e le persone sono abbruttite dal contesto. La stessa percezione del male è differente, o non c’è più. Il male resta in una bolla di violenza totale. Qui tutto assume un’altra dimensione.” Oggi, dopo 9 anni si ritorna a parlare di degrado a Caivano. Del “male” chiuso nella sua “bolla di violenza”.
Caivano è un paese di 37 mila abitanti, ex paese agricolo un tempo noto per la coltivazione di pomodori e cavolfiori, poi ex area industriale, Algida, Unilever, Knorr tra gli altri, oggi zero prospettive di crescita. E come se non bastasse è anche uno dei comuni della terra dei fuochi, un’area inquinata da una serie di discariche abusive lungo le strade e in aperta campagna dove negli anni si è sversato di tutto, compresi i fanghi di Marghera e quelli dell’ACNA di Cengio. La terra dei fuochi, come è noto, si chiama così perché quando le discariche si riempivano venivano appiccati falò che bruciavano i rifiuti ed inquinavano l’aria, le falde acquifere ed i terreni, che infatti oggi sono praticamente abbandonati.
La periferia del comune di Caivano è nata in seguito alla legge 219 del 1981, che stanziò mille e cinquecento miliardi di lire per la costruzione di alloggi per i 280 mila sfollati del terremoto dell’Irpinia. Con una parte di quei soldi nasce il Parco Verde, all’inizio sistemazione provvisoria, poi rione residenziale permanente, fisicamente separato dal resto della cittadina, oggi un ghetto senza identità. Dentro al Parco Verde, che non si chiama così per gli alberi ma per il colore degli intonaci delle case previsti nel progetto originale, c’è il Delphinia Sporting Club, un complesso polisportivo che occupa un area di 25 mila metri quadrati, con dentro piscine, campi da calcetto e da tennis, varie palestre ed un teatro. Il Delphinia, o meglio quello che ne resta dopo l’incuria e la vandalizzazione degli spazi, è il luogo dove si sono consumati gli stupri che hanno scosso l’opinione pubblica nazionale. Nove anni fa nessuno parlò e nonostante fosse morta una bambina la magistratura fece una gran fatica a vincere l’omertà. Stavolta l’orrore è stato fermato da una denuncia, le due bambine allontanate dal nucleo familiare e gli stupratori arrestati. La storia inoltre ha riacceso un faro sullo stato di degrado del ghetto, intollerabile per un paese “normale”
La violenza e l’abiezione umana, che spesso deriva della povertà e dell’emarginazione sociale esistono e esisteranno sempre, sta allo stato di diritto garantire la “sicurezza” delle persone, sociale individuale e personale. I fatti di Caivano ed il degrado del Parco Verde sono responsabilità di tutti, governo, società civile, cittadini e famiglie. La Presidente del Consiglio fa quello che deve e ci mette la faccia, soprattutto per tappare i buchi e le gaffe, odiose, del suo entourage, familiari e congiunti compresi.
A Caivano ad accogliere la Presidente del Consiglio c’è il parroco del paese, uno dei simboli della locale resistenza civile, e molte forze dell’ordine. I cittadini di Caivano non ci sono, esattamente come alla fiaccolata di due giorni prima, poche persone e provenienti da fuori.
La Presidente del Consiglio annuncia l’intenzione di finanziare una serie di interventi, tra cui la riapertura del Delphinia, con l’intervento del genio militare e delle fiamme oro della polizia, una biblioteca ed un centro polifunzionale, 20 nuove maestre per le scuole, da tenere aperte anche il pomeriggio. Glissa amabilmente sulla gaffe del di lei marito, quello di Rete 4, dell’alcool e dei lupi da discoteca, e schiva le domande dei giornalisti. Promette una “bonifica radicale”, con l’obiettivo di “fare di un monumento al degrado un luogo dove respirare sicurezza”.
Lo Stato ha fallito, ma non solo a Caivano, e non solo al sud. Non basta più ri-“portare le istituzioni” e “bonificare”. Il punto è semmai come si fa a “contrastare la sotto cultura del degrado”. La riqualificazione e la rigenerazione urbana sono una cosa seria e complicata, e con le dovute eccezioni, ormai poco congeniale alla politica di questi ultimi anni. Giusto ripristinare uno stato di diritto, e ci mancherebbe, ma tenendo presente che il degrado da “bonificare” è innanzitutto quello culturale e la povertà più difficile da contrastare è quella educativa.
L’aumento di povertà e disuguaglianze varie è la costante che ha accompagnato il declino del nostro paese. Non esiste una ricetta magica per ridurre le disuguaglianze, ma si può essere almeno d’accordo sul fatto che si deve ragionare di sviluppo di un sistema paese, che tiene assieme l’economia, la cultura l’istruzione e quel minimo di qualità della vita che rende possibile la convivenza civile, non solo a Caivano, ma in tutte le “banlieues” d’Italia. Il male, la violenza e il degrado si sconfiggono ridando futuro a chi pensa di non averne più.
PS La notizia è che a Caivano c’era pochissima gente, e di questo la politica, soprattutto oggi, dovrebbe riflettere perché senza la partecipazione e l’attivazione delle energie che ci sono nelle comunità sul territorio si può fare poco o nulla.
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