Tre figure di grandi scrittori si impongono nel panorama italiano post-risorgimentale: Edmondo De Amicis, Carlo Collodi, Emilio Salgari.
Giovanni Spadolini che, oltre ad essere stato un importante uomo politico, è stato anche uno scrittore di storia, li annoverava tra gli uomini che hanno fatto l’Italia e gli italiani, per il grande contributo che hanno dato alla loro formazione culturale ma anche al loro immaginario collettivo.
I lettori delle vecchio generazioni lo hanno chiamato sempre Sàlgari (con l’accento sulla prima a) e Sàlgari sarebbe rimasto. Certo, avevano smesso di chiamare Gianez il portoghese Yanez ma Sàlgari no, non poteva diventare da un giorno all’altro Salgàri: sarebbe stato come rinnegare un mito che aveva occupato tutta la loro fanciullezza e adolescenza.
Perché Emilio Salgari e i suoi personaggi – primo fra tutti Sandokan – fu un vero e proprio mito di massa imposto senza l’ausilio dei moderni mezzi di comunicazione e senza le tecniche di persuasione proprie di quella che qualche decennio più tardi sarà chiamata «civiltà dei consumi». Salgari arrivò al cuore di decine di generazioni, senza le campagne pubblicitarie che si usano per imporre i personaggi di oggi, vincendo spesso le resistenze dei genitori e degli insegnanti che lo accusavano di confondere le menti dei giovinetti, che si volevano rivolte verso ideali che poi si sarebbero rivelati fragili e pericolosi, e non verso gli inarrestabili giochi fantastici che venivano suggeriti da Sandokan e dal Corsaro Nero.
I suoi romanzi oggi si possono leggere soltanto per gioco, come li leggono i ragazzi, senza cioè un fine utilitaristico. Bisogna lasciarsi coinvolgere nel gioco dell’avventura, bisogna lasciarsi prendere dalle stesse passioni che travolgono i suoi personaggi, bisogna lasciarsi trasportare nei mille e mille luoghi esotici descritti con tanta meticolosità (da lui, Salgari, che non si spinse mai al di là di Brindisi e che attingeva tutte le nozioni dai manuali e dalle enciclopedie), bisogna lasciarsi cullare dalle parole che popolarono i discorsi da adolescenti, spesso senza neppure la preoccupazione di domandarsi il significato, come prahos, dayachi, kriss, maharatto, babirussa, ramsinga… se ci si accosta a Sàlgari con questo spirito non si bada, come pure sarebbe giusto, agli intrecci troppo tirati, alla prosa approssimativa, all’aggettivazione elementare e non si rischia di dimenticare che Salgari è stato, ed è, un grande scrittore popolare, forse il più grande che abbia avuto la nostra letteratura.
Ma ciò che ancora sorprende anche un lettore disincantato è la palese identificazione dell’autore con i suoi personaggi, soprattutto con Sandokan: lui, Salgari, il forzato della penna a un tanto a pagina, che si riflette nella Tigre della Malesia, che invece passa da un’avventura all’altra, che vive negli agi e nelle ricchezze, che dona ai suoi amici splendidi gioielli senza pensarci un attimo.
Anche nella morte Salgari volle identificarsi con i suoi personaggi: si uccise, divorato dai debiti e dalle nevrosi provocategli da un lavoro snervante e convulso, alla maniera orientale, gettandosi su un pugnale piantato per terra, in un bosco vicino casa che tante volte la sua fantasia avrà trasformato nella jungla nera di Tremal Naik, di Kammamuri e dei terribili thugs.
Ma la messa in scena di morte degna dei suoi romanzi non gli impedì di rivolgersi con molta lucidità e con molta impietosità ai suoi editori: «A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dato pensiate ai miei funerali.Vi saluto spezzando la penna.» Un addio terribile ma coerente, quasi una presa di coscienza improvvisa di un uomo che guardò sempre altrove, che contro una società misera e meschina volle costruire il suo mondo di giustizia, trasportando i suoi sogni e le sue fantasie in terre e mondi lontani.
Emilio Salgàri fa invece conoscere agli italiani il mondo con una serie di romanzi e di personaggi esotici. Se Diderot ci darà l’Enciclopedia, Salgàri ci porterà per mano verso paesi sconosciuti, educandoci alla scoperta, al viaggio, a popoli nuovi, a terre lontane. Non li ha mai visti, ma li ha letti nella biblioteca di Torino e li ha descritti con tale precisione che – dirà l’onorevole Andreotti – «quando sono andato in questi posti per esigenze di stato, li ho trovati come li aveva raccontato Salgàri»
Salgari deve la sua popolarità a un’impressionante produzione romanzesca, con ottanta opere (più di 200, considerando anche i racconti) distinte in vari cicli avventurosi, che vanno a costruire svariati universi narrativi e innumerevoli personaggi (tra cui alcuni di grande successo, come Sandokan, Yanez de Gomera e il Corsaro Nero), tutti di originale creazione dello scrittore.. Generalmente i personaggi salgariani risultano inseriti in un accurato e preciso contesto storico, che lui ricavava dai libri della biblioteca civica, come la descrizione dei luoghi.
A chi lo paragonava a Jules Verne diceva: “Verne ama gli ingegneri, io amo gli eroi”.
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