Nel “giorno della memoria” la Claims Conference stima che gli ebrei sopravvissuti all’Olocausto e ancora in vita siano 245mila. Hanno un’età media di 86 anni e sono disseminati in 90 paesi.
Sarebbe il momento di invitare i negazionisti a cercare il reduce a loro più vicino per intervistarlo, prima che sia troppo tardi.
Invece, purtroppo, non esiste statistica che possa dimostrare come tra i no-holocaust sia impossibile trovarne uno in buona fede.
Sarebbero capaci di usare questi dati per sostenere la insussistenza della mostruosa strage.
Questi centenari erano bambini molto piccoli che per puro caso e per la legge dei grandi numeri sono sfuggiti alla perfetta macchina distruttrice tedesca.
Pensate che esistenza hanno vissuto: immediatamente senza famiglia e con quel ricordo per tutta la vita.
Per altro, si calcola che nei campi di concentramento siano morti un milione e mezzo di bambini.
Come si fa, quest’anno, a non associare questo ricordo con quanto sta succedendo in Israele e a Gaza.
E come non ritenere il tutto ancora più assurdo.
E’ evidente che lo slogan: “due popoli, due stati” e’ troppo semplicistico e che ci sono da superare mille difficoltà, a cominciare, per ciascuno, dal dissenso in casa propria.
Ma Israele deve convincersi che la propria sicurezza comincia dall’avere un “vicino” palestinese organizzato, con una guida autorevole e popolare.
Che si doti di istituzioni credibili, di poteri riconosciuti dentro e fuori il paese.
Dove nasca un’articolazione politica tra partiti di maggioranza e minoranza.
Per avviare un percorso che permetta la costruzione graduale di una convivenza democratica.
Invece in Italia non c’è presidente del consiglio a cui non venga la voglia di cambiare la Costituzione.
Sempre all’insegna della efficienza.
Bisogna sveltire le procedure, semplificare i controlli, centralizzare i poteri.
Non so se la nostra “carta fondativa” sia -come dicono alcuni- la più bella del mondo e credo sia difficile comparare principii che sono nati per regolare popoli, tradizioni e luoghi diversissimi.
Mi chiedo invece perché non applicarla integralmente, prima di cambiarla.
E’ il caso -per combinazione- dei partiti e dei sindacati dove il dettato costituzionale non è mai stato dotato delle norme conseguenti.
Un tempo i partiti erano “pesanti”, militarizzati, iper gerarchici, sotto l’attenta sorveglianza dei mitici “funzionari”.
C’era una fame di discussioni, dibattiti, litigi, votazioni. La carriera a livello locale cominciava pazientemente con la nomina a coordinatore della commissione sanità o cultura del partito, puntando poi a un posto nella segreteria cittadina, provinciale, regionale.
Tutto andava coniugato al plurale, tutto era collettivo: noi pensiamo che…, ci battiamo perché…
Il soggetto unico era “il partito”, degno di fede, dedizione e sacrificio.
Oggi sono dittature personali, con molti addetti al culto della personalità.
Il segretario può cambiare politica a capriccio, inseguendo il consenso di microscopiche lobby e interessi, senza rendere conto a nessuno.
Invece di premiare la militanza si punta sugli esterni, sulla società civile.
Una volta erano attori, campioni sportivi, giornalisti famosi.
Oggi sono innanzitutto donne; pensate alla “verticale” italiana: il capo della maggioranza parlamentare e il capo della minoranza, il presidente della Commissione europea, il presidente del Parlamento europeo.
Oggi in epoca di trasgressione generale, di scandali artificiali e costruiti a tavolino fanno notizia persone normalissime che però appaiono stupefacenti per una loro ordinarietà tendente alla banalità.
Ad esempio c’è un generale che deve tutta la sua gratitudine al giornale Repubblica per avere montato uno scandalo su un suo libro che altrimenti sarebbe passato del tutto inosservato.
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