La recente crisi energetica che ha investito l’Europa, la transizione energetica e il bisogno di produrre energia con sistemi a bassa intensità di carbonio. Hanno aperto delle nuove prospettive su quali siano le migliori fonti energetiche da poter utilizzare in questa direzione. Negli ultimi mesi infatti, diversi commentatori e addetti ai lavori hanno parlato in modo approfondito di diversi scenari che l’azione politica e il futuro potrebbero prospettarci. Si va da scenari con Nucleare e Rinnovabili, a scenari 100% rinnovabili con del gas naturale per rendere sostenibile economicamente la transizione. Eppure, pochissimi se non nessuno di questi esperti, hanno accennato a una particolare fonte energetica, forse la migliore, che può garantirci una vera indipendenza energetica, sia dai combustibili fossili che dall’import da paesi esteri: La Geotermia.
A differenza dell’energia nucleare, che richiede una quota di combustibile che va importato dall’estero (attualmente i maggiori paesi produttori sono: Kazakistan, Cina, Russia Nigeria). La Geotermia sfrutta il calore degli strati più superficiali del mantello terrestre, calore che proviene dal nucleo, che possiede una temperatura compresa fra i 5000-6000 gradi celsius e si propaga grazie all’irradiazione fino alla crosta, dove può fuoriuscire grazie ai fenomeni vulcanici e tettonici vari.
L’uomo sfrutta sin dalla notte dei tempi questa forma di energia, sappiamo infatti che già nel paleolitico i primi uomini usavano l’energia geotermica (sottoforma di sorgenti idrotermali) come fonte di guarigione e per tenersi al caldo nei periodi freddi. Facendo un salto di migliaia di anni nel futuro, i Romani, gli Etruschi arrivando fino all’impero Cinese, sfruttavano il calore delle sorgenti idrotermali per riscaldare le abitazioni, grazie a dei sistemi idraulici che convogliavano l’acqua calda sotto i pavimenti, oltre che usarla per le famose terme e quindi per scopi medici e curativi.
L’Italia in particolare, è una zona molto ricca di calore geotermico (secondo L’ENEL 116.000 Tw/h) a causa della sua conformazione geologica, che si sviluppa prevalentemente lungo il confine tra la placca africana e quella euroasiatica, creando una serie di fratture, dette faglie. Questa serie di fratture, permettono al magma, e quindi al calore, di risalire dal mantello alla crosta e di formare una serie di sacche molto calde a poche decine di chilometri di profondità. Alcune di queste “sacche” in passato sotto la spinta dei fenomeni litosferici, si sono trasformate in camere magmatiche, dando vita ad alcuni vulcani, tra i più famosi sicuramente ci sono il Vesuvio e l’Etna. Senza dimenticare altri vulcani, ora spenti come il Monte Amiata, il Vulcano Volsino (oggi collassato nel Lago di Bolsena), il Vulcano Vicano (oggi lago di Vico), La Caldera di Bracciano (Lago di Bracciano) e Sacrofano e infine il Plesso dei Colli Albani. Con sufficiente attenzione, è possibile notare che questi vulcani sono in fila tra loro, e si dispongono tutti a ridosso degli appennini, ovvero la zona di fagliazione, il “confine” vero e proprio tra la placca africana e quella Euroasiatica.
Proprio questa zona a ridosso dell’appennino, che comprende le regioni di Toscana, Lazio e Campania. è stata propedeutica per lo sviluppo industriale della tecnologia geotermica. Il primo generatore di corrente di questo tipo, infatti, fu sviluppato a Larderello, provincia di Siena, in una zona conosciuta per i soffioni boraciferi, e utilizzato sin dai tempi dei Romani come area termale. La presenza di questi soffioni ovvero dei piccoli geyser, spinse nella prima metà del XIX secolo il giovane ingegnere livornese Francesco Larderel (da cui deriva il nome della zona) ad avviare un’attività di estrazione dell’acido borico (H3BO3) dai fanghi vulcanici, sfruttando il vapore prodotto dai soffioni. Fondamentale in seguito, fu il contributo dell’erede dell’azienda di Larderel, il nobile ingegnere Piero Ginori Conti, che nel 1905 sviluppò un piccolo generatore che consisteva in una dinamo collegata ad una piccola turbina che veniva fatta ruotare dal passaggio del vapore in essa. Da li a poco nel 1911, fu sviluppata una centrale elettrica in grado di soddisfare il fabbisogno non solo della piccola Larderello ma anche della vicina Volterra, facendo diventare la zona un polo energetico rilevante.
L’Italia rimase il più importante produttore di energia geotermica fino agli anni 60, quando fu sorpassata dalla Nuova Zelanda, da allora rimane stabile al sesto posto. Oggi il primo paese produttore sono gli Stati Uniti con 3450 Mw elettrici installati, che per un paese delle dimensioni degli USA sono veramente un’inezia. In Italia invece ne abbiamo 916, e sono tutti quasi esclusivamente rappresentati dalla centrale di Larderello, che rimane a distanza di quasi due secoli, una delle centrali geotermiche più grandi del mondo. Ma nonostante questo, 916 Mw di potenza installati rappresenta il 2% mal contato della produzione nazionale di energia, il nulla, se confrontato con la colossale montagna di gas e la più piccola di carbone.
Lo scarso utilizzo di questa fonte di energia, è dovuto principalmente alla difficoltà nel reperirla, si parla comunque di scavare pozzi profondi dai due ai quattro chilometri di profondità, senza avere la certezza matematica che nel punto prefissato ci sia calore a sufficienza per portare a ebollizione l’acqua.
Questo fa di conseguenza levitare i costi, e i possibili investitori rimangono restii a investirci capitali sopra, ma il vero problema rimane ancora la trivellazione, per renderla veramente conveniente economicamente, le rocce che si vanno a sfruttare devono possedere un alto grado di entalpia e quindi avere una temperatura elevata, detta in soldoni, nei processi termodinamici, più la temperatura del fluido è elevata e maggiore sarà l’efficienza del sistema. Sfruttare dell’acqua a 80 gradi è diverso che sfruttarla a 200 o 300 (stadio supercritico) e per raggiungere queste temperature c’è bisogno di trivellare molto in profondità anche oltre i 10 chilometri, le tradizionali trivelle meccaniche sono inadeguate a sopportare un lavoro e delle temperature così intense.
Per Questo motivo una seconda rivoluzione della geotermia, potrebbe arrivare dagli Stati Uniti, dove negli ultimi anni, si stanno sperimentando delle nuove tecniche di trivellazione, che non usino più le tradizionali trivelle meccaniche, ma magnetiche. Si parla di “Girotroni” dei particolari generatori di onde elettromagnetiche millimetriche capaci di creare frequenze che vanno dai 20 ai 500 GHz (miliardi di Hertz) e che sono in grado di vaporizzare la roccia colpita, abbattendo considerevolmente i tempi e i costi.
Ad oggi i Girotroni vengono utilizzati nei prototipi di reattori a fusione nucleare per riscaldare il plasma e portarlo a temperature nell’ordine di milioni di gradi, parliamo di una tecnologia conosciuta e che aspetta solo di essere messa in pratica nel settore geotermico. A tal proposito, ci sta lavorando Quaise Energy, il cui obbiettivo è quello di scavare pozzi che possano arrivare ad una profondità di ben 20 chilometri. Si tenga presente che il pozzo più profondo mai scavato dall’uomo si trova in Russia, si chiama Kola Superdeep Borehole o super pozzo di Kola ed è profondo 12 chilometri, fu scavato in epoca sovietica per studiare la composizione geologica della crosta terrestre, per scavarlo ci sono voluti 13 anni di lavori ininterrotti, con una penetrazione di 0,4 metri l’ora.
Oggi invece, Quaise Energy grazie alla tecnologia del girotrone, assicura di poter scavare ben 9 metri di roccia l’ora, potendo raggiungere la profondità di 20 chilometri in circa 100 giorni. Questo risolverebbe anche il problema dell’incertezza, visto che a quella profondità la certezza di trovare temperature elevate c’è, parliamo di circa 500 gradi, praticamente la temperatura di un fuoco, sempre accesso, raggirando anche il problema dell’intermittenza legato alle altre energie rinnovabili.
La roadmap di Quaise, è di lanciare i macchinari dimostrativi nel 2024 e far partire le operazioni commerciali nel 2026, con l’obiettivo di creare la prima centrale geotermica di nuova generazione nel 2028. Fermo restando che, come spesso accade con progetti così ambiziosi, non ci siano intoppi in itinere.
E pensare che basterebbe lo 0,1% di tutta l’energia geotermica del sottosuolo per alimentare le attività umane per miliardi di anni. In Italia siamo fortunati, visto che dovremmo scavare anche di meno, parliamo al massimo di 10-12 chilometri invece che 20, vista la grande quantità di calore presente in superficie, come accennavo sopra. Un altro plus di questa nuova geotermia, è che non ci sarebbe bisogno di costruire delle nuove turbine o alternatori, bastano quelli già esistenti che si trovano nelle centrali termoelettriche, si parla quindi di perforare il terreno nelle vicinanze delle centrali termoelettriche già esistenti, e collegarle al circuito chiuso geotermico sostituendolo alla caldaia gas/carbone, riducendo ancora i costi.
L’energia geotermica può essere il vero game-changer della transizione energetica.
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