Grande discorso in un grande partito.
Dopo la Francia, anche negli Usa la classe dirigente “adulta” (cit Glucksmann) si ferma un passo prima del baratro della sconfitta annunciata, si fa piacere la candidata che fino a poche settimane prima era considerata impresentabile e le fa interpretare una politica e una scelta di campo e di civiltà con un bellissimo discorso di investitura e la contorna con tutte le correnti, dai socialisti di Sanders alla nuova sinistra di Ocasio Cortez , dai Clinton agli Obama, passando per tutti i governatori e senatori middle-class in questi anni disprezzati dalle dirigenze newyorkesi e californiane, archiviando le divisioni che ne hanno oscurato la leadership mondiale e candidandosi così a riprendersi la leadership di uno schieramento di libertà, progresso e diritti che si contrappone a quello della paura e del rimpianto di un passato idealizzato e antiglobalista interpretato dalla destra di Trump e Netanhiau (il vero capo dell’ondata populista di questo millennio ) e degli epigoni europei.
Forse non casualmente nell’altra patria della nostra civiltà illuminista, poche settimane prima anche una classe politica messa con le spalle al muro dai propri errori aveva trovato il modo di rimettere in ordine le priorità di pericolo politico e, superando divisioni che fino ad un attimo prima sembravano insanabili, ha fermato la spallata della destra lepenista in nome della libertà e dei diritti universali.
Pochi mesi prima era stata “Concentrazione civica” guidata dal liberale di centro-destra Donald Tusk a vincere una sfida dello stesso valore contro gli oscurantisti polacchi Kaczinkij, mettendo assieme uno schieramento composto da vecchi irriducibili antagonisti, dagli ex comunisti e socialisti fino ai liberali, in difesa soprattutto dei diritti delle donne e delle minoranze. E nella vittoria del laburismo “fabiano” di Starmer la cancellazione della deportazione in Ruanda degli immigrati “clandestini” e il welfare negato dalla finanziarizzazione totale dell’economia inglese sono stati gli elementi forse determinanti.
Il filo rosso che tiene insieme queste scelte è quello della difesa delle libertà e dei diritti individuali e civili: di fronte a una scelta della destra mondiale occidentale che propone lo scambio sicurezza contro libertà, non è un caso che le scelte reazionarie sull’ aborto siano quelle che hanno causato le prime sconfitte di Trump e di Kaczinski, così come quelle sui diritti civili delle minoranze siano state il primo livello di contraddizione per Le Pen e Meloni.
Certo, i problemi sono tutt’altro che risolti – in Francia non si riesce ancora nemmeno a fare un governo e la voce del settarismo della sinistra come quella dell’opportunismo centrista alimentano ancora una situazione confusa – e la destra reazionaria, nazionalista e provinciale ha perso finora solo una battaglia ed è ancora molto forte e in grado di tornare ad essere minacciosa e vincente subito.
Certo, Kamala Harris a Chicago ha vinto solo la sua prima partita, quella di ridare entusiasmo e compattezza ad un partito che è stato capace di un cambio improvviso a trazione femminile, ma che deve affrontare la partita più dura e più insidiosa: conquistare i voti del centro, della parte del paese che chiede protezione e sicurezza.
Gli Stati Uniti sono una realtà complessa, attraversata da tensioni e sentimenti opposti, di cui troppo spesso dimentichiamo le dimensioni, l’essere un continente che ha al suo interno tutti o quasi i colori del mondo: il sogno americano, che Trump cerca di trasformare in incubo, resta ancora e sempre il riferimento dell’Occidente in un tempo nel quale la storia non è finita e nel quale il cambiamento avviene ancora andando velocemente in avanti e non uniformandosi al passato dei (presunti) vincitori. Nella sfida di Kamala c’è tutta la grande transizione che stiamo vivendo, da un lato chi sta dentro il cambiamento dall’altra chi lo subisce e lo teme: la transizione non è a costo zero, anzi apre scenari nuovi e richiede visioni di futuro e politiche che uniscono.
La Harris vince se dà senso al cambiamento e ne fa una opportunità per tutti. Se riesce a costruire un racconto che tiene assieme e guarda al domani Questa è la vera grande partita, che oggi si gioca in America ma che è in corso in tutto il mondo.
E in Italia cosa dobbiamo apprendere dunque dalle “Lezioni americane” ? Innanzitutto quello che seppure ancora timidamente sembrano aver capito solo Ely Schlein e Matteo Renzi, che le divisioni e il prevalere del settarismo a sinistra e del dirigismo professorale degli autonominati “più bravi di tutti “ lascia il campo libero a una Meloni pure ritornata ad essere statista solo nei Colli romani dopo che l’”amica” Von der Leyen ha smesso di risponderle pure al telefono.
Pietro Nenni diceva che non si fa politica con i sentimenti, ma nemmeno con i risentimenti: aggiungo nemmeno con i settarismi e lo scagliare l le prime pietre ignorando il significato delle parole del Vangelo..
La seconda lezione è che i diritti e la libertà civili non sono materia del contendere fra “wokesti” nostrani ed il generale Vannacci, ma riguardano l’etica e la natura stessa della nostra società e soprattutto da parte di chi ne ha avuto accesso da poco e parzialmente, come le donne, se ne ha piena coscienza in largo anticipo sulla politica: consiglierei a tutti coloro i quali dicono “i diritti civili senza quelli sociali non fanno politica progressista” di ripassarsi la lezione dimenticata del referendum sul divorzio del 1974 , con il Pci preoccupato del “quadro politico” di rapporto con La Dc, costretto a una svolta repentina- peraltro perfettamente riuscita all’epoca, ma questo è un altro discorso – per riprendere la testa del movimento di rinnovamento bollato come dedito alle “libertà borghesi”. L’importanza di quella battaglia fu folgorata, ancora una volta, dalle parole del vecchio Nenni al comizio della vittoria in piazza Duomo a Milano . “Hanno voluto contarsi ( la Dc proponente il referendum abrogativo ) : si sono contati”.
Certo, non basta a fare una politica accusare la Meloni di essere giustizialista e manettara, per dire, per aver introdotto un incomprensibile reato di rave, ricordate?, per decreto legge o di avere letteralmente inventato a freddo una emergenza anarchici per tenere al 41bis come un pericoloso terrorista internazionale l’anarchico Cospito, non esattamente il successore di Carlos o del suo almeno conoscente Giusva Fioravanti : ma direi che nemmeno ripetere costantemente che i “problemi della gente sono altri” abbia fatto qualcosa di diverso dal dare indebito credito alle tante parole e pochi fatti della destra al Governo.
La Destra ha un disegno, lo stesso di Trump e di Netanhiau, degli antieuropeisti e sovranisti, dei nazionalisti come Meloni e Le Pen, dei reazionari come Farage e Abascal, come sempre semplice e terribile, esplicitamente dichiarato e incredibilmente sottovalutato o non preso sul serio. I democratici americani, i tecnocrati europei, il fronte repubblicano francese, la “working class” inglese se ne sono resi conto e stanno dando battaglia, una battaglia dall’esito mai scontato e tuttora potenzialmente perdente.
Se si comincia a prenderne coscienza anche in Italia, dalle elezioni liguri al riconoscimento dei diritti agli italiani che ormai nemmeno possono essere etichettati come nuovi, non è cattiva medicina.
Se Kamala lo sta facendo in Usa, perché Elly non dovrebbe farlo in Italia?
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