L’IDEOLOGIA DI MILEI

Il neo presidente argentino è stato riconosciuto dalla maggior parte degli analisti come un politico di estrema destra, con posizioni minarchiste e libertarie in economia, ma da qualche tempo alcuni commentatori italiani, stranamente provenienti dall’ala liberale hanno messo in discussione questa versione ufficiale, sostenendo che in fondo in economia le sue decisioni sono di “buon senso”, meritorie di contrapporsi a un certo populismo ignorante delle dinamiche economiche.

Uno dei commentatori in questione, tale Marattin in un lungo articolo su “Il Riformista” faceva intendere che ci vorrebbe un Milei anche in Italia e “chi si dichiara liberale, non può non guardare con un certa curiosità quello che sta accadendo in Argentina”, dove, seguendo la ricostruzione politica degli ultimi mesi, il discorso del neo presidente si sarebbe tenuto difronte a una folla di migliaia di persone, che lo applaudivano al solo menzionare i tagli al bilancio e i piani di estrema privatizzazione.

Un’altra persona che ha espresso seppur indirettamente un certo compiacimento alle politiche del “Trump argentino” è Giulia Pastorella, che con un post su Twitter sfotte Giuseppe Conte, che negli scorsi anni per promuovere il Super bonus in campagna elettorale girò per diverse piazze ripetendo a macchinetta lo slogan “Potrete ristrutturare le vostre case gratuitamente”, che con la voce nasale dell’ex-premier diventa un “graduidamente”.

Questo sfottò faceva riferimento ad un decreto (ora annullato dalla corte suprema argentina), dove si vieta di usare la parola “gratis” riferendosi ai servizi erogati dallo stato. Insomma, la solita bagarre social-politica, se non fosse che il presidente argentino in questione, stia avviando una pericolosa deriva di accentramento di potere sulla sua persona, tagliando più della metà dei ministeri precedenti e creando una struttura ancor più piramidale ed eccentrica, il rischio di una deriva Pinochetista non è poi così improbabile.

In effetti l’ideologia in ambito economico di Milei, per quanto riguarda i mezzi e i fini, non differisce molto da quella di Augusto Pinochet.

Entrambi i leader si sono ispirati e fatti ispirare da pensatori di quel filone di pensiero liberal-libertario, che pone l’accento sull’estrema libertà di commercio, individuale e che vede abbastanza di mal occhio ricette welfariste di supporto a chi si ritrova in condizioni di disagio sociale.

A ben vedere, l’ex dittatore cileno grazie a tramiti statunitensi ebbe la “fortuna” di farsi consigliare proprio da Milton Friedman, allora indicato come massimo esponente della scuola economica di Chicago, erede in un certo senso della scuola austriaca di Hayek e Mises, distinguibili per il loro fortissimo Anticomunismo e fiducia nelle dinamiche di mercato, tanto che in tempi moderni questo aspetto prenderà il nome di “fondamentalismo di mercato”.

Aspetto a cui Milei si richiama spesso tanto da chiamare i suoi cinque cani come i più eminenti economisti di quella scuola economica (Milton, Murray, Ludwig ecc).

Contemporaneo di Pinochet, seppur con qualche anno di differenza, fu l’argentino Rafael Videla che prese il potere con un colpo di stato nel 1976.

Siamo negli anni della famigerata operazione “Condor” con la quale gli Stati Uniti per mezzo della CIA avviarono una massiccia operazione di sostegno e finanziamento a tutte quelle formazioni politiche anticomuniste e quindi antisovietiche, che riuscirono a prendere il potere a suon di colpi di stato e repressione nei confronti di tutte quelle formazioni democratiche e socialiste.

L’operazione si poteva sintetizzare con la formulazione “nessun sovietico nel nostro giardino” distorcendo seppur di poco la sostanza della dottrina Monroe risalente al 1823.

Nei casi particolari di Videla e Pinochet potremmo dire che contribuirono nemmeno troppo indirettamente alla creazione di una nuova branca del capitalismo, questa volta intesa come capitalismo autoritario, e che quindi a differenza del Nazismo e del fascismo (che pur in misura minore possedevano delle caratteristiche di capitalismo corporativo), non mirava a creare una terza via tra i due sistemi allora egemoni, cioè, socialismo e capitalismo stesso, ma a rafforzare quest’ultimo al fine di consolidare il proprio potere.

Chiaro è che bisogna cogliere le sfumature di grigio, in entrambe le esperienze di queste tirannie ci furono anche dei non trascurabili interventi statali nell’economia, ma sempre mirati a raggiungere gli scopi del Washington Consensus (all’epoca ancora non formalizzato del tutto), cioè il pareggio di bilancio, rigore fiscale, liberalizzazione dell’economia e conseguente privatizzazione.

Per capire nel dettaglio cosa furono questi due regimi (trascurando per adesso anche gli altri paesi presi di mira dall’operazione Condor, tra cui Brasile, Uruguay, Paraguay ecc). Si consideri che durante la dittatura di Videla ci fu una decisa repressione nei confronti dei socialisti, dei radicali e dei democratici, si stima che sotto il suo regime ci furono tra i 30 mila e i 40 mila desaparecidos, persone probabilmente uccise dal regime e mai più ritrovate.

In economia, come l’omologo cileno applicò politiche di deregolamentazione, privatizzazione e di controllo dell’inflazione, all’epoca come oggi molto alta.

Ma alla fine non gli andò benissimo, le disuguaglianze aumentarono vertiginosamente, l’inflazione calò di poco e in generale la situazione economica non migliorò di molto, anzi, il debito estero aumentò di addirittura quattro volte rispetto all’inizio del suo governo, producendo una delle peggiori crisi finanziarie della storia dell’Argentina. quindi no, decisamente non migliorò per usare un eufemismo.

La causa del fallimento delle politiche economiche neoliberali di Videla, si può spiegare in parte con una minore erogazione di fondi da parte degli Stati Uniti (solo 50 milioni di dollari), che terminarono completamente quando Kissinger dovette abbandonare il ruolo di segretario di stato per via dell’elezione di Carter che tolse qualsiasi sostegno economico al regime, che collassò poco dopo.

le idee di Videla erano chiaramente antimarxiste e antiperoniste, in più era spiccatamente antisemita considerando tre illustri giganti come Einstein, Sigmund Freud e Marx come la motivazione della decadenza dell’umanità.

Milei non è certo antisemita,

e lo dimostra il fatto che dalla riaccensione del conflitto israelo-palestinese si sia prontamente schierato con Israele (anche se a giudicare da come stanno andando le cose non sia una scelta poi così azzeccata), ma se appunto, non possiamo definirlo antisemita, possiamo certamente dire che sia un campione di xenofobia e islamofobia, è rinomata la sua vicinanza con movimenti neofascisti quali lo spagnolo Vox, il cui leader Abascal era peraltro al giorno dell’inaugurazione del mandato presidenziale.

Per quanto riguarda il Cile invece, quando la dittatura di Pinochet terminò nel 1990, una fetta che andava dal 40-45% dei cileni viveva sotto la soglia di povertà, con un 10% di popolazione proprietaria che invece godeva di ottimi profitti ed entrate economiche. Il Cile di Pinochet era quindi, si cresciuto economicamente, ma non per tutti e con risultati piuttosto deludenti, e l’eredità di questa gestione neoliberale dell’economia la si può osservare ancora oggi guardando una cartina di Santiago del Cile, una città spaccata in due, tra una vasta periferia di sottoproletari da un lato e quartieri di ville mega galattiche dall’altro, nei quartieri di Los Condes e lo Curro.

Alla fine, il regime cileno fu deposto grazie a un referendum popolare organizzato nel 1987, l’obbiettivo iniziale era in linea con la costituzione dell’80 di rinnovare per altri otto anni il mandato di Pinochet, ma a causa della pressione internazionale e di proteste interne, vennero di nuovo legalizzati i partiti di opposizione, che si unirono nella “coalizione per il NO” tra cui figuravano: La Democrazia Cristiana, il partito Socialista, il partito Radicale e il Partito Ecologista. Alla fine, il No vinse con il 56% dei consensi e il Cile tornò ad essere un paese democratico. Chiaramente semplificando molto, il periodo di transizione non fu semplice e ci furono ancora molte tensioni nella società cilena, ma la fase buia era diciamo così finita.

Ci sarebbe infine un altro personaggio che potremmo assimilare culturalmente al neo presidente, e cioè Carlos Menem, a cui Milei si ispira in modo abbastanza esplicito, non sono mancati infatti dei richiami a lui duranti la campagna elettorale.

L’ideologia di Menem fu poi rinominata come “peronismo federale”, una forma di Peronismo “centrista” particolarmente liberale in ambito economico e in opposizione con l’attuale Kirchnerismo ovvero l’ala di sinistra del peronismo.

Menem come Videla sostenne il Washington Consensus e varò diversi piani di liberalizzazione dell’economia e di riduzione dell’inflazione, problema eterno del paese, che avevano costretto il predecessore Raul Alfonsìn alle dimissioni anticipate.

A differenza dei suoi predecessori però il piano di liberalizzazione di Menem riuscì abbastanza bene, l’inflazione diminuì ad una cifra, il libero scambio aumentò e il pil crebbe del 10,5% annuo. I problemi arrivarono più tardi quando il ministro dell’economia Domingo Cavallo, privatizzando il servizio postale nazionale creò un’ondata di disoccupazione, che superò il 10%. Le proteste aumentarono, Cavallo si dimise, ma le politiche di austerità rimasero, il prezzo dei carburanti aumentò e l’imposta sul valore aggiunto (Iva) salì addirittura del 21%. L’economia del paese fu poi vittima di due crisi finanziarie estere, quella messicana della tequila del 94, che causo deficit e recessione. E quella russa del 98, che procurò degli effetti negativi duraturi che portarono ad una depressione dell’economia argentina.

Il mandato di Menem finì travolto dalle polemiche su uno scandalo legato al commercio illegale di armi, che lo vide nel 2001 condannato alla reclusione. Oltre a questo, fu indagato e condannato per estorsione, corruzione e appropriazione indebita di fondi pubblici.

La moderna idea di Milei di “dollarizzare” l’economia Argentina trova le radici proprio nel “piano di convertibilità” di Menem, che mirava a legare il peso argentino al dollaro nel tentativo (poi riuscito) di ridurre l’iperinflazione. Ma corsi e ricorsi storici, vuoi una sorta di legge di natura dell’economia capitalista, gli effetti collaterali del piano di convertibilità, in parte citati, furono devastanti: “Nonostante questi risultati impressionanti (di controllo dell’inflazione e crescita del PIL), gli effetti collaterali sulle questioni sociali includono un aumento della disoccupazione, una distribuzione ineguale del reddito e una diminuzione dei salari .

La disoccupazione è aumentata dal 6,1% nel 1991 al 15% nel 2000 poiché il tasso di cambio fisso ha aumentato la concorrenza sui prezzi esteri e ha costretto le aziende locali a investire in tecnologie più avanzate che richiedevano meno manodopera e maggiore produttività (anche se questo non è necessariamente un male, a patto che si crei un welfare per sostenere chi è disoccupato, cosa che Menem evidentemente non fece).

La disuguaglianza di reddito aumentò: il 20% più povero della popolazione ha ridotto la propria quota di reddito nazionale dal 4,6% nel 1991 al 4,1% nel 2000, mentre il 20% più ricco della popolazione ha aumentato la propria quota dal 50,4% al 51,4%”.

Venendo a noi, negli ultimi giorni in occasione del Forum dell’economia di Davos, Milei ha rispolverato un vecchio complotto neoconservatore, inneggiando ad un “pericolo socialismo” che minaccia l’occidente.

Insomma, dal mondo Iperuranico direi che è tutto.

ndt.: IL VIDEO DI DAVOS CON IL DISCORSO DI MILEI


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