L’INTESTINO ED IL CERVELLO: SI POSSONO MODULARE LE EMOZIONI?

Cosimo Prantera.
Primario Emerito di Gastroenterologia Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini Roma

Animalculi, così vennero chiamati i batteri osservati per la prima volta da un naturalista fiammingo dal nome incerto e per noi impronunciabile: Antoni van Leeuwenhoek.

I primi batteri erano quelli presenti nel cavo orale. Batteri che oggi fanno parte del microbioma, un’infinitesima parte delle oltre 40.000 specie batteriche che albergano nel nostro apparato digerente.
Son definiti batteri commensali, perché vivono pacificamente nel nostro apparato digestivo, svolgono numerose ed, in parte, ben note funzioni, utili all’organismo umano.
Sintesi di vitamine, digestione e maturazione del sistema immunitario fanno parte di queste funzioni. Lo squilibrio di questa flora, definito disbiosi, è causa probabile di molte moderne malattie come la Malattia di Crohn, la colite ulcerosa, ed altre malattie infiammatorie croniche immuno-mediate.

Una importante disbiosi può essere causata dall’uso di antibiotici a largo spettro, specie se impiegati prolungatamente: è la diarrea causata dal Clostridium difficile. Il Clostridium difficile, un batterio che vive in assenza di aria (anaerobio è il termine), può causare un’infezione intestinale talora molto grave. L’aumento delle spedalizzazioni e l’indiscriminato uso di antibiotici sono alla base di questo emergente problema sanitario.
E’ apparentemente contraddittorio che per trattare un’ infezione causata da antibiotici si debbano usare altri antibiotici. Ma così è. Purtroppo specie mutate di Clostridium, che mostrano resistenza ai tre maggiori antibiotici ritenuti più efficaci nel trattare l’infezione, cominciano ad essere frequenti.

Per ovviare a questo problema, un tentativo, biologicamente plausibile, è stato quello di introdurre batteri “buoni” dall’esterno attraverso i probiotici. I probiotici erano stati introdotti come terapia nel 1907 quando Metchnikoff per primo suggerì che il “Bacillus bulgaricus”, il primo tra i probiotici, fosse utile per combattere diverse malattie. L’assunzione di probiotici avrebbe quindi dovuto aumentare, secondo alcuni investigatori, il contenuto intestinale di batteri benefici contrastando la replicazione del Clostridium.
Ma il risultato di questa strategia sembrerebbe efficace nel prevenire l’infezione e non nel trattarla. Inoltre, in generale, l’evidenza scientifica della efficacia dei probiotici in questa ed in altre patologie rimane dubbia, come nel 2012 ha ribadito la “European Food Safety Authority”.

I modesti risultati dei probiotici come terapia dell’infezione da Clostridium possono essere spiegati dal relativo ridotto numero di batteri presenti nelle loro preparazioni commerciali in rapporto alla numerosita’ ed alla diversita’ della flora batterica intestinale composta da miriadi di batteri appartenenti ad oltre 40.000 specie diverse. L’ipotesi di riportare la flora batterica ad uno stato di commensalità per combattere l’infezione da Clostridium, rimane comunque valida. Come ottenere un alto contenuto batterico benefico per contrastare i microbi patogeni ed, in genere, per correggere la disbiosi?
Una soluzione sembra essere il trapianto di feci provenienti da un individuo sano. Già in passato l’introduzione di feci nell’intestino dell’animale malato aveva avuto un certo successo nei ruminanti.

Nell’uomo i risultati pubblicati erano stati sporadici ed ostacolati dalla ovvia difficoltà nel fare accettare questa procedura. Ma il problema dell’infezione da Clostridium difficile resistente agli antibiotici è diventata negli ultimi anni pressante e questo fatto ha permesso di superare ogni ostacolo. In che cosa consiste il trapianto fecale? Le feci, dopo una manipolazione in laboratorio, vengono introdotte attraverso un sondino naso-gastrico, per clistere o attraverso un endoscopio direttamente nel colon. Dopo la descrizione dei primi 4 casi trattati con successo da Eiseman nel 1958, numerosi altri pazienti sono stati sottoposti ad un trapianto di feci, fino ad oggi, in genere per via rettale. In buona parte dei pazienti il risultato è stato positivo. Non sono stati registrati effetti collaterali.
La pressione pubblica ad utilizzare il trapianto fecale come trattamento ha indotto la Federazione Americana del Farmaco (FDA) a modificare il suo primo giudizio restrittivo sul suo impiego.
La FDA aveva considerato la procedura alla stregua dei farmaci, da investigare e quindi da sottoporre ad autorizzazione governativa. Attualmente il trapianto del materiale fecale è approvato nelle forme di infezioni resistenti da Clostridium ma viene per ora escluso il suo impiego in altre patologie tranne che in studi controllati.

Ma quali sono gli effetti collaterali temuti? Ovviamente il donatore di materiale fecale, in genere un consanguineo od un convivente, deve essere sano. Per questo sono eseguiti su di esso alcuni esami che escludano la presenza di batteri patogeni o virus, come l’HIV, pericolosi per il ricevente. Tuttavia noi sappiamo assai poco dei batteri presenti nell’intestino umano e, quindi, non può essere accettata a priori l’innocuità del trapianto.
Solo quando la salute è messa gravemente a rischio dall’ infezione da Clostridium, il rapporto costo/beneficio si risolve a favore di una pratica con ipotetici ma non dimostrati rischi come il trapianto fecale.
Possiamo stare tranquilli? La medicina moderna sta operando bene?

Fino ad ora ci siamo occupati dell’intestino e dei vantaggi e svantaggi che il trapianto potrebbe causargli. Ma il resto dell’organismo umano? Ed in particolare il cervello? Da molti anni il cervello umano con le sue reazioni all’ambiente, sta dominando la scena in medicina. L’intestino irritabile, che per lo più racchiude una serie di sintomi, viene da molti considerato correlato a perturbazioni del sistema nervoso centrale come l’ansia, lo stress o la depressione. La medicina è l’unica scienza che non può esimersi dal dare sempre spiegazioni, fare diagnosi e prescrivere rimedi. Il supposto ruolo del sistema nervoso come causa di sintomi al momento non spiegabili colma le lacune di conoscenza sulla genesi di molte malattie.
A questo scopo è stata creata addirittura una disciplina, la psicosomatica. La psicosomatica risente dell’influenza del pensiero cartesiano di un corpo, la res extensa e di un pensiero la res cogitans. .

Ma la neurofisiologia moderna ha ormai accettato, con rare eccezioni, che tutto il nostro corpo e’ fatto di atomi e che tutto e’ spiegabile dalla fisica. Il concetto dell’asse cervello-intestino è stato quasi sempre visto come una via a senso unico. Tuttavia da anni sappiamo che la via può essere percorsa in senso inverso. Sappiamo che l’intestino ed il suo contenuto possono influenzare il cervello. Nel caso dell’encefalopatia porto-cavale nel paziente con cirrosi le tossine batteriche, ad esempio, possono indurre alterazioni cerebrali fino al coma. Fin qui, comunque, ci siamo limitati a descrivere i rapporti dell’intestino umano con situazioni decisamente patologiche, ma ultimamente l’influenza della flora intestinale sul cervello potrebbe esercitare un ruolo nella vita e nel comportamento di tutti i giorni.

Due articoli pubblicati negli ultimi anni hanno aperto scenari sorprendenti. Il primo viene dalla Mc Master University in Canada. L’esperimento è semplice ma straordinario. Il trapianto di materiale fecale da un topino adulto ad un topino allevato in ambiente senza batteri (germ-free) altera la chimica cerebrale ed il comportamento del topino ricevente. Questo studio si collega ai risultati di un precedente studio giapponese. Nel 2004 alcuni investigatori giapponesi avevano elegantemente dimostrato che la risposta allo stress del topo “germ free” era esagerata.
Questi topini, vissuti in un ambiente senza batteri, perdevano la normale cautela della specie e mostravano una maggiore esposizione al rischio. La colonizzazione successiva con batteri commensali riportava il loro comportamento nei limiti normali della specie.
Le conclusioni dello studio erano evidenti. Il contenuto intestinale poteva nel topo influenzare il suo comportamento ed il suo rapporto con l’ambiente circostante e, quindi, interferire con i meccanismi cerebrali deputati ai sistemi di difesa. D’altra parte era già noto che il topo, infettato dal toxoplasma gondii, perde la sua naturale paura dei gatti e, sfortunatamente, si sente attratto dall’odore della loro urina divenendone facile preda.

Per il Toxoplasma questo comportamento del topo diventa il meccanismo darwiniano della sua sopravvivenza. Ovviamente per il topo no! Sempre nel topo un importante ulteriore esperimento ha successivamente dimostrato che i tratti ansiosi dell’animale precocemente allontanato dalla madre potevano essere alleviati dall’uso di batteri probiotici.
E nell’uomo? Le differenze tra la fisiologia del topo e dell’uomo sono certamente enormi. Ed enorme è ovviamente anche la differenza genetica. E negli umani stessi vi è una notevole diversità genetica che non esiste nei modelli animali.
Cioè, anche se un esperimento nei vari modelli di topo è riproducibile, non possiamo traslarne i risultati all’uomo ed in particolare all’intera specie umana. Il secondo sorprendente studio è stato pubblicato nel 2013 su Gastroenterology, la rivista della Società Americana di Gastroenterologia. Un gruppo di ricercatori del “Centro di Neurobiologia dello stress” all’UCLA ha riportato i dati di un trial controllato, randomizzato nel quale donne sane dal punto di vista fisico e mentale sono state esaminate con la Risonanza Magnetica funzionale del cervello dopo assunzione per 4 settimane di un latte fermentato con probiotici.

Rispetto al gruppo di controllo, composto da donne che assumevano un latte non fermentato, il gruppo che assumeva probiotici aveva una ridotta risposta emozionale allo stress. In conclusione lo studio, finanziato dalla Danone, suggerirebbe che dall’intestino e, specificatamente, dalla sua flora possano partire segnali che siano in grado di influire sull’umore e sulla risposta allo stress. Con l’ovvia commerciale deduzione che lo yoghurt migliora l’umore!

Il trapianto fecale, un super yoghurt, potrebbe quindi travalicare il semplice obiettivo di correggere la disbiosi, entrando nel campo della neurofisiologia con possibili prospettive da valutare comunque con cautela. Si deve nutrire sempre un saggio scetticismo per tutti gli studi che ottengono risultati che dimostrano vera un’ipotesi precedentemente formulata. Chi lavora nel campo scientifico ha sempre bisogno di sani risultati negativi. Anche se assai spesso gli studi con risultati negativi sono assai ardui da pubblicare.

Tuttavia, che si possa in futuro modulare l’umore e la risposta allo stress ed intervenire in malattie complesse del sistema nervoso centrale attraverso la modificazione della flora intestinale, rimane un’ affascinante ipotesi da continuare ad investigare.

BIBLIOGRAFIA

J. S. Bakken et Al: Treating Clostridium difficile Infection With Fecal Microbiota Transplantation Clinical Gastroenterology and Hepathology: 2011;9:1044–1049

S M Collins et Al: The adoptive transfer of behavioral phenotype via the intestinal microbiota: experimental evidence and clinical implications

Current Opinion in Microbiology 2013 (in Press) C Prantera : Probiotics for Crohn’s disease: what have we learned? Gut. 2006 Jun;55(6):757-9.

K Tillisch et Al: Consumption of Fermented Milk Product With Probiotic Modulates Brain Activity Gastroenterology 2013;144:1394–1401


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