I viaggi di Giorgia: molti, e sempre per non colpire i padroni del vapore
Quindici/A Hermes Storie di geopolitica – Italia
Salvatore Sechi
Docente universitario di storia contemporanea
Dura requisitoria di Salvatore Sechi che denuncia l’inutilità de “I viaggi di Giorgia: molti, e sempre per non colpire i padroni del vapore” in un editoriale “L’Italia a bocca asciutta”. “La terza potenza economica continentale, la seconda potenza manifatturiera dell’Europa, ha assistito inebetita alla soccombenza sia dell’opposizione di sinistra (grazie all’incontenibile incompetenza di Elly Schlein) sia, e direi soprattutto, di un governo di centro-destra vittorioso alle elezioni europee e a quelle amministrative nostrane. Unitissima nell’autodafé della propaganda (ma divisissimo fino alla rissa pressoché quotidiana scatenata da uno sfasciacarrozze come il ducetto leghista Matteo Salvini).
Alla fine, per accreditare il salto in avanti nelle gerarchie europee e internazionali Meloni ha perso il commissario europeo all’Economia, e resta assai incerta la compensazione con quello all’Industria; l’abilissima Schlein è stata spossessata delle cariche più importanti che deteneva fin dalla precedente legislatura, cioè la presidenza della commissione Economia (appannaggio di Irene Tinagli), il Consiglio di vigilanza della Bce, il Single Resolution Board (SRB). A bocca asciutta per l’incarico di inviato per il Fronte Sud della Nato, per la guida della Bei, per la candidatura di Roma all’Expo, all’Amla (l’Autorità europea per la lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo).Dunque – aggiunge lo storico sardo – una débâcle e grandi schiaffoni, uno dopo l’altro, significano la condanna dell’Italia all’ininfluenza, ad un ruolo minoritario, da comparsa e non da protagonista. Di qui la domanda: invece di viaggiare tanto e purtroppo a vuoto, perché Giorgia Meloni non si sofferma a guardare ai drammi, alle sofferenze, alle ineguaglianze, alle perversioni che montano all’interno del paese? Orrori, devastazione, miseria, confusione e sopraffazione”.
30 luglio 2024
Giorgia Meloni è una premier tarantolata. Non sta mai ferma. Le piace un sacco viaggiare, vedere gente nuova e diversa. E soprattutto farsi vedere, un vezzo antico delle donne e dei politici di professione.
Per la frequenza con cui entra ed esce dagli aerei si può citare Antony Blinken. È il segretario di Stato di un paese come gli Stati Uniti, che deve mettere bocca sulla guerra in Ucraina, nel Medio Oriente infuocato o tra europei divisi.
Meloni rappresenta un paese del Mediterraneo, come la Francia e la Spagna, ma ha meno responsabilità e incombenze internazionali. Ciò malgrado, non tralascia occasione per essere presente, farsi fotografare, riempire telegiornali e rotocalchi.
Infilarsi nelle riunioni, disporre di un invito a cena, frequentare lo stesso club nautico di chi contava era uno degli sport in cui era specializzato il nostro corpo diplomatico. Sapendo di essere ininfluente e, per una ragione diversa dall’altra, messo alla gogna, non restava che giocare la carta di farsi notare, se non proprio l’illusione di fare colpo.
Giorgia Meloni visitando i Paesi di mezzo mondo ha visto aumentare l’autorevolezza o il peso del nostro paese? Non dico presso i Grandi della terra, ma almeno tra i nostri partner dell’Unione europea?
Diciamolo con amarezza perché il suo insuccesso è una sconfitta secca per il nostro Paese. Trattandosi di un premier donna il rammarico deve essere maggiore che se al timone di Palazzo Chigi ci fosse un maschio.
Ciò premesso, usiamo pure lo stile di un bar della Garbatella. La nostra Giorgia, al di là di qualche gentilezza di rito, non se la fila proprio nessuno.
Certo, cortesiucce e convenevoli d’avanspettacolo, mezza bocca schiusa al sorrisetto, qualche mellifluo inchino (alla donna più che all’Italia), il passo ceduto nelle sfilate.
Ma negli incontri che contano Francia e Germania non la degnano di un ammiccamento né di una spiegazione.
È il destino di chi è alla testa di nazione minore, di uno Stato inaffidabile, di un’organizzazione sociale e istituzionale sbrindellata o a pezzi, inefficente e permalosa.
Si tratti dell’accesso ai musei, ai taxi, agli aeroporti, o ai luoghi di balneazione, alla mancanza (epocale dopo l’epidemia del Covid) di assistenza sanitaria o dell’infinita bestialità disumana dominante nelle patrie galere (dove potersi lavare non è un dovere né un diritto, ma un micidiale privilegio).
Tutto sta in piedi per miracolo, a rischio continuo di fuoristrada o tracollo.
È un po’ (molto) come l’immagine della mia Sardegna. Una meta molto pompata e assai spolpata (non esistono servizi elementari, se hai un malore la regola è che ci resti secco).
A dire queste cose può essere chi ha la perversione dell’anti-italiano. Ossia: non ha la malattia cenciosa dei sovranisti, si bea di essere un cittadino del mondo, cioè più felice che scoprirsi un concittadino dello sfascia-carrozze elettorale Matteo Salvini, un venditore di fumi imprenditoriali come Adolfo Urso, un neghittoso e poco gaudente rimuginatore delle sagre dell’inobliabile famiglia degli Agnelli e degli ardimentosi disegni dei fratelli Berlusconi, eccetera.
Sì, certo, ecco la fauna e la flora (poco importa se fascista o antifascista) di una premiership che se la suona e se la canta.
Ne scortano l’immagine popolaresca nei toni e nei gesti, quei cantori di regime che sono le penne mozze di un giornalismo derelitto, piagnucoloso, claudicante. Con eretta e prorompente libidine, a voce strozzata, solo per un refolo in Tv e radio, o nei giornalini di vecchi e nuovi paperoni.
Viaggi lunghi e brevi, sinuosa corte a Ursula von de Leyen, ai segretari dei partiti europei, gli insistiti, ora altezzosi, ora anche puntuti, richiami, orgogliosi e patetici, ai successi di Fratelli d’Italia nelle elezioni europee e in quelle amministrative nostrane, hanno sortito misere bagatelle e schiaffi in faccia da far risorgere lo stesso Unto del Signore.
Ecco la grande lista nera di una débâcle in grande spolvero. Quegli amici indocili e sibillini de Il Foglio, qualche giorno fa, curando un bilancio degli equilibri europei, l’hanno chiamata l’Italia da Zeru Tituli.
È l’arguta e insolente cattiveria di un ex premier come Matteo Renzi e del vice-direttore de Il Foglio Salvatore Merlo, i rimorsi tenaci della ciliegina rossa pendula di Claudio Cerasa o la fotografia insopportabile di quel che si cerca di non far vedere?
La terza potenza economica continentale, la seconda potenza manifatturiera dell’Europa, ha assistito inebetita alla soccombenza sia dell’opposizione di sinistra (grazie all’incontenibile incompetenza di Elly Schlein) sia, e direi soprattutto, di un governo di centro-destra vittorioso alle elezioni europee e a quelle amministrative nostrane. Unitissima nell’autodafé della propaganda (ma divisissimo fino alla rissa pressoché quotidiana scatenata da uno sfascia-carrozze come il ducetto leghista Matteo Salvini).
Alla fine, per accreditare il salto in avanti nelle gerarchie europee e internazionali Meloni ha perso il commissario europeo all’Economia, e resta assai incerta la compensazione con quello all’Industria; l’abilissima Schlein è stata spossessata delle cariche più importanti che deteneva fin dalla precedente legislatura, cioè la presidenza della commissione Economia (appannaggio di Irene Tinagli), il Consiglio di vigilanza della Bce, il Single Resolution Board (SRB).
A bocca asciutta per l’incarico di inviato per il Fronte Sud della Nato, per la guida della Bei, per la candidatura di Roma all’Expo, all’Amla (l’Autorità europea per la lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo).
Dunque una débâcle e grandi schiaffoni, uno dopo l’altro, significano la condanna dell’Italia all’ininfluenza, ad un ruolo minoritario, da comparsa e non da protagonista.
Di qui la domanda: invece di viaggiare tanto e purtroppo a vuoto, perché Giorgia Meloni non si sofferma a guardare ai drammi, alle sofferenze, alle ineguaglianze, alle perversioni che montano all’interno del paese? Orrori, devastazione, miseria, confusione e sopraffazione.
Anche qui l’elenco è molto facile da stilare.
Non c’entra poco e niente avere avuto natali fascisti. Nell’accusa di questo passato indecente ama trastullarsi una che ha sfilato nelle sommosse del 1968 in Svizzera e non ha appreso la grandezza morale di saper indicare una risposta concreta ad un problema concreto.
C’entra con la capacità di sapersi levare al di sopra di questa lamentazione storica di una disfatta collettiva, di volare alto, cioè di essere classe dirigente.
Qualcosa di diverso di un’occupante di legislatura, cioè di un potere temporaneo, a termine. Come l’agendina di una donna di servizio.
È insopportabile, da prima repubblica, il controcanto per cui suicidi e sovraffollamento delle carceri sono un residuo annoso trasmesso da amministrazioni precedenti, anche di sinistra.
A indignare è questo vizio nazionale dello scarica-barile, la litania miserevole dell’io non c’entro.
Le analisi e gli esiti del benemerito gruppo di Antigone e di un parlamentare impeccabile come Roberto Giacchetti ci hanno consegnato i seguenti dati: suicidi attesi 84, sovrappopolazione carceraria del 130-190 per cento ammassata in spazi che sono 14 mila in meno del necessario. Le condizioni animalesche di vita, con la mancanza di acqua, aria, pulizie, refrigerio, eccetera, denunciate in una lettera a Mattarella sono un omaggio tributato alle galere ungheresi di Orban.
Ebbene nella selva di capi e capetti, burocrati e politicanti dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia e della presidenza del Consiglio, nessuno si muove. Nessuno ha il minimo interesse umano e l’autorità per disporre interventi minimi come docce, bagni, dare aria e fare le pulizie delle celle.
Un Paese così non va privato di commissioni e incarichi, a Bruxelles. Va piuttosto bandito solennemente per la sua prassi ripetuta, cioè annosa dell’inciviltà. È il sentimento che alimenta l’odio contro le istituzioni e la vocazione a distruggerle.
Analogamente gli italiani e i turisti vegetano e più spesso muoiono negli ospedali rigonfi di ammalati, privi di medici e infermieri.
La questione sanitaria in un Paese in cui prevalgono i vecchi e sono investiti dalla malasanità gli esponenti di ogni generazione, è ormai una questione nazionale primaria.
Il governo pensa di cavarsela creando liste di priorità nel pronto soccorso senza disporre un finanziamento straordinario che riformi l’intero settore dell’assistenza.
Ormai è nelle mani di società private, anche straniere, al pari delle aziende che producono beni e mezzi farmaceutici. E il tempo di lavoro dei medici, anche negli ospedali, è dedicato in minima misura al servizio pubblico.
Non ci sono risorse, soldi per fronteggiare queste situazioni?
Cara Giorgia, scorri sulle pagine de Il Sole-24 Ore i bilanci dell’Eni e delle banche pubbliche e private. Ma quando mai governi fascisti o di centro-destra (e anche di centro-sinistra) hanno osato levare le armi del prelievo fiscale, anche straordinario, contro qu elli che Ernesto Rossi chi amava i Padroni del vapore?
Dunque per stare lontani dalla devastazione di un Paese boccheggiante, è bene, anzi meglio, viaggiare, viaggiare molto, privilegiare un’inutilità e una mancanza di influenza che, anche a Palazzo Chigi, ti prende alla gola.
SEGNALIAMO
-
Ucraina e Medio Oriente tra attacchi efferati e spiragli di tregua
Giampiero Gramaglia Giornalista,co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e a Bruxelles Proseguono le…
-
Carbone, petrolio e gas: il genio della lampada industriale
Inverno 2024-2025, per le risorse energetiche l’Europa naviga a vista Cecilia Clementel-Jones Medico psichiatrico e…
-
L’elogio del tradimento. È quanto resta all’intellettuale dopo la marcia trionfale del XIX° secolo, l’apocalisse del XX e il silenzio di oggi?
Il saggio di David Bidussa sul “ceto dei colti”, per Feltrinelli Salvatore Sechi Docente universitario…
-
Quanto è difficile capire l’Italia
Cosa emerge dal 58° Rapporto del Censis sulla situazione sociale del paese Guido Barlozzetti…
-
Il risveglio dell’Europa
Una replica agli editoriali di Salvatore Sechi e Bruno Somalvico usciti nel fascicolo 12 di…
-
Sulla caduta di Assad Trump è il più cauto di tutti (e, stavolta, forse fa bene lui)
I riflessi ucraini della fine del regime in Siria Giampiero Gramaglia Giornalista,co-fondatore di Democrazia futura,…
-
L’autonomia della Rai nella guerra ibrida della comunicazione
In un contesto di militarizzazione dei media e di privatizzazione delle istituzioni Michele Mezza Docente…
-
Istituzioni al lavoro con bussola a destra
L’Unione europea si sgretola Giampiero Gramaglia Giornalista,co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e…
-
Progressismo versus ebraismo?
La nuova grande pietra di inciampo della sinistra Massimo De Angelis Scrittore e giornalista, si…
-
L’accelerazione impressa dalla vittoria di Trump alle dinamiche belliche e diplomatiche
Giampiero Gramaglia Giornalista,co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e a Bruxelles Giampiero Gramaglia in…
-
Nebbia fitta a Bruxelles
Una possibile crisi si aggiunge alle complesse procedure per la formazione della Commissione Pier Virgilio…
-
Partenza in salita per la seconda Commissione europea von der Leyen
28 novembre 2024 Il 27 novembre 2024 il Parlamento europeo ha dato il via libero…
-
Franco Mauro Franchi, il mio Maestro
È venuto a mancare il 19 novembre 2024 a Castiglioncello (Livorno) all’età di 73 anni,…
-
Stanco o non serve più?
Sulla Fondazione Gramsci e l’intellettuale secondo David Bidussa Salvatore Sechi Docente universitario di storia contemporanea…
-
Il ribaltone dell’Umbria, di Guido Barlozzetti
Guido Barlozzetti Conduttore televisivo, critico cinematografico, esperto dei media e scrittore Guido Barlozzetti commenta il…