Il 2023 pare salutarci con l’ennesima polemica social e con una campagna elettorale permanente che proprio in questi giorni di festività si sta consumando in parlamento sul Mes.
Da ormai troppi anni si assiste ad un progressivo “gossipamento” della scena politica, la trasformazione dei leader in influencer tiktoker non fa altro che contribuire ad una costante perdita di credibilità nei confronti degli elettori che seguendo ormai una tendenza in ascesa da almeno una trentina d’anni, si dimostrano di conseguenza sempre più disinteressati e distaccati dalla vita pubblica.
A riempire il vuoto di questa mancanza di credibilità e disinteresse, si presentano puntualmente degli elementi di distrazione di massa oltre che una schiera di già noti demagoghi pronti a peggiorare la situazione. È il caso del pandoro Ferragni. Quella che doveva essere una normale campagna pubblicitaria nei confronti della Balocco, si è trasformata a causa di qualche soffiata, in una ventata di shitstorm e prese di distanze, che ha poi portato ad una toppa peggio del buco quando l’influencer in questione ha chiesto scusa in un video, si suppone copiato da un’altra collega.
Di altri episodi simili l’anno appena trascorso ne è pieno, ricordo un caso simile, che coinvolse un’altra content creator, una certa “prof del corsivo”. Una ragazza di Napoli che in meno di un anno è riuscita a scalare le vette delle celebrità digitali inventandosi un modo nemmeno troppo originale di parlare, a suo dire imitando la parlantina chicchettosa e altolocata dei Milanesi (un po’ la classica imitazione del radical chic con la R moscia), fino a qualche tempo fa si chiamava milanese imbruttito, ma le mode cambiano in fretta, ormai alla velocità di un click.
Ebbene nella polemica che la riguardava, vi era un’accusa nemmeno troppo velata nei confronti di chi a suo dire l’accusava di svolgere un lavoro poco utile nei confronti della società, di essere dei poveri rosiconi arrabbiati con il mondo per via della loro scarsa capacità nel costruirsi una carriera prospera. Insomma, detta semplicemente, l’eterno ritorno del: “se sei povero è colpa tua”
Per non parlare del caso della mitica pesca dell’Esselunga, a momenti più importante di quel vergognoso blocco all’accordo europeo sul patto di asilo per i migranti voluto dal governo italiano. Ultimo ma non meno divertente il vicepresidente della Camera Rampelli, che accusa il comune di Roma di aver messo delle stelle rosse come puntale sugli alberi di natale, forse nella sua mente rievocavano qualche spettro sovietico.
Insomma, tra il trash e il rivoltante, queste sono solo alcune delle polemiche più quotate quest’anno. Come dicevo una “gossipamento” del dibattito pubblico che entra anche in parlamento. Anche se in un questo caso sarebbe più appropriato parlare di una campagna elettorale permanente, è il caso della ratifica delle nuove regole del Mes, che oltre al prestito in caso di crisi finanziaria del debito sovrano, include anche la garanzia di salvataggio nei confronti di quelle banche considerate sistemiche o “to big to fail”. Ci ricordiamo tutti infatti il caso della Credit Suisse, che quest’estate a seguito dei fallimenti statunitensi della Silvergate e della Signature Bank, aveva registrato un rischio significativo di fallimento, presto ristabilito grazie a dei prestiti concessi dal governo Svizzero.
Un Mes come garanzia per il settore bancario è uno strumento tutt’altro che inutile, che in momenti di vera crisi, eviterebbe effetti nefasti nei confronti di tutti quei piccoli e medi investitori e depositanti che si ritroverebbero con il conto svuotato.
L’Italia come ben noto è l’unico paese dell’unione a non aver ancora approvato le nuove regole, un atteggiamento che ci rende sempre più isolati all’interno dell’Eurozona. Quello che il governo e parte dell’opposizione si rifiutano forse di comprendere, è che la ratifica non significa usufruire immediatamente dei fondi che l’istituzione Mes mette a disposizione, bensì far capire ai paesi membri che le attuali regole sono in conformità con lo strumento finanziario e le norme europee che lo regolano.
È senz’altro vero che gli alti tassi di interesse che il Mes richiede indietro lo rendono uno strumento al limite dell’accettabilità, in questo senso l’utilizzo del Recovery Plan al post del Mes sanitario durante la pandemia ne certificano un parziale fallimento, ma di nuovo, la sua ratifica non significa per forza un utilizzo, che rimane facoltà del governo.
Il No al Mes, come tanti altri no del passato, sono degli atteggiamenti elettorali “di bandiera” che non sono affatto motivati nel merito, e di questo ne è prova il fatto che nessun politico contrario è saputo andare aldilà del semplice “eh questi vogliono salvare le banche” “ma che siamo matti”, secondo un sondaggio di Demopolis del 2019 ripreso dal Sole 24 ore, risultava che il 66% degli italiani non sapesse neppure cosa fosse il Mes e a cosa servisse.
L’elettorato italiano complice di una rabbia accecante e di un disgusto verso tutto ciò che è istituzionale, ha deciso di arrendersi, di smettere di interessarsi e di voltare le spalle al futuro del paese. La strada per riavvicinarli è lunga e tortuosa e dagli esiti incerti, ma come diceva qualche anno fa Mario Draghi invitato a tenere una Lectio Magistralis all’università del Sacro Cuore: “la razionalità alla fine, riesce ad avere la meglio sulle pulsioni di pancia”. Ed è proprio con la razionalità e la conoscenza, conclude Draghi, che si riescono a costruire le policy più durevoli ed efficaci che possono contribuire in modo significativo al benessere collettivo.
Allo stesso modo, confidiamo che la nascita di un progetto riformatore e orizzontale possa contribuire a riavvicinare tutti coloro che hanno perso una spinta propulsiva al bene comune.
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