“Ludwig van Beethoven è un ragazzo di undici anni dal talento molto promettente. Suona il pianoforte con grande bravura e forza, legge molto bene a prima vista. Questo giovane genio meriterebbe un sussidio per permettergli di viaggiare” Dal Magazin der Musik, 2 marzo 1783.
La famiglia di Beethoven, di umili origini, era nella musica da almeno due generazioni. Il nonno di Ludwig si era trasferito a Bonn nel 1732, diventando Kapellmeister del principe elettore di Colonia. Suo figlio Johann, padre di Ludwig, era strumentista e tenore alla stessa corte. Uomo mediocre e brutale, alcolista inveterato, fu incapace di educare i suoi figli. Pare che spesso, completamente ubriaco, costringesse Ludwig ad alzarsi dal letto a tarda notte e a suonare il pianoforte o il violino per divertire i suoi amici.
Ci mise poco, Johann van Beethoven, a scoprire il dono musicale del figlio e a mettersi in moto per sfruttare le sue doti eccezionali allo scopo di ricavarne più talleri possibile; addirittura, dice qualcuno, cercando di farlo passare per più giovane di quello che era per venderlo meglio come bambino prodigio, alla maniera di Mozart.
Proprio pensando al piccolo Mozart, esibito dal padre in tutta Europa una quindicina di anni prima, Johann avviò Ludwig allo studio della musica già dal 1775 e tentò, poco più tardi, di presentarlo come virtuoso di pianoforte in un giro di concerti. L’iniziativa non funzionò, non perché il piccolo non fosse abbastanza bravo, ma probabilmente perché non aveva il carattere docile di Mozart.
Qualche anno dopo, la morte di sua madre e l’incapacità di quel vecchio ubriacone del padre di sostenere la famiglia spinsero Beethoven a assumersi la responsabilità del mantenimento dei due fratelli Kaspar e Nikolaus lavorando come violista nelle orchestre dei teatri.
“Caro Beethoven, Ella parte finalmente per Vienna per soddisfare un desiderio a lungo vagheggiato. Il genio di Mozart è ancora in lutto e piange la morte del suo pupillo. Presso il fecondissimo Haydn ha trovato rifugio, ma non occupazione e per mezzo suo desidererebbe incarnarsi di nuovo in qualcuno. Sia Lei a ricevere, in grazia di un lavoro ininterrotto, lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn.”
Così il conte Waldstein, suo protettore, presenta Beethoven a Haydn, il quale, impressionato dalle sue capacità, lo invita a proseguire gli studi con lui a Vienna.
Mentre il suo talento matura, Ludwig partecipa alle sfide pianistiche, apprezzate dalla buona società viennese, che lo consacrano il primo solista di Vienna. Virtuosi famosi come Clementi, Cramer, Hummel ne fanno le spese.
Insieme all’abilità di Beethoven cresce anche il suo spirito ribelle. In Slesia, al castello di un altro suo sostenitore, il principe Lichnowsky, Ludwig rifiuta di suonare per gli ufficiali delle truppe di occupazione di Napoleone. Il principe minaccia di farlo arrestare. Beethoven, dopo una violenta litigata lo pianta in asso, perdendone la protezione.
Ecco il biglietto, davvero audace per l’epoca, che fa recapitare al principe: “Principe, ciò che voi siete, lo siete grazie alla nascita. Ciò che io sono, lo sono grazie a me stesso. Principi ce ne sono e ce ne saranno ancora migliaia. Di Beethoven ce n’è uno solo.”
C’è un altro episodio, diventato il soggetto di un quadro famoso “L’incidente di Teplitz”, che si inserisce nella rotta di ribellione del nostro genio furioso. Nella cittadina termale di Teplitz, Beethoven passeggia insieme a Goethe. A un certo punto si imbattono nella famiglia imperiale d’Austria. Tutti, Goethe per primo, fanno ala, inchinandosi e togliendosi il cappello. Beethoven no. Lui prosegue la sua passeggiata come se niente fosse.
L’opinione di Goethe: “Non avevo mai incontrato un artista così fortemente concentrato, così energico, così interiore. Il suo ingegno mi ha stupefatto; ma egli è purtroppo una personalità del tutto sfrenata, che, se non ha certamente torto nel trovare detestabile il mondo, non si rende certo più gradevole a sé e agli altri.” Insomma, un genio, ma anche un vero rompiscatole.
La sordità: cominciata con i primi sintomi nel 1796; è totale nel 1820. Una labirintite cronica? Una otospongiosi? Non lo si è mai saputo. Chiuso e isolato per non rivelare in pubblico il suo dramma, si fa una pessima reputazione di misantropo ostile al mondo; nello stesso tempo vive circondato da una corte di allievi, ammiratori e parassiti che lo adulano, spesso irritandolo e con i quali comunica attraverso i famosi quaderni di conversazione (in gran parte distrutti senza spiegazione dal suo esecutore testamentario Felix Schindler).
Beethoven non si è mai sposato, ma molte sono le proposte che ha nel tempo lanciato in giro. Puntando sempre troppo in alto rispetto al suo livello sociale ed economico: contesse, baronesse, altoborghesi, figlie di consiglieri, scrittrici o cantanti di successo. C’è chi sospetta che queste dichiarazioni fossero solo di facciata per fingere, da parte di quel ruvido orso che era, l‘adesione a una serie di convenzioni sociali che non gli interessavano.
Sul piano familiare l’evento determinante della sua vita fu la morte del fratello Kaspar. Ludwig aveva promesso di seguire l’istruzione di suo figlio Karl e dovette affrontare una serie di processi contro la vedova di Kaspar per ottenerne la tutela. Malgrado le sue migliori intenzioni, questo nipote diventerà il problema più assillante della sua vita, tanto è vero che dopo un tentativo di suicidio del nipote stesso, rinunciò alla sua tutela e lo fece arruolare in un reggimento di fanteria comandato da un amico.
Verso la fine del 1826, durante un tragitto su una carrozza scoperta, sotto la pioggia, si prese una bella polmonite, che lo mise a letto e dopo qualche mese lo uccise, non prima che avesse lasciato suo erede universale il famigerato nipote Karl.
Al suo funerale c’era una folla di ventimila persone.
Il teschio di Beethoven fu acquistato dal medico austriaco Romeo Seligmann che ne ricavò un modello, che oggi è il vanto del Centro di Studi Beethoveniani in California.
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