Poche cose hanno il potere di esprimere e rappresentare il cambiamento profondo che la specie umana sta vivendo come la questione del rapporto con il tempo, inteso ovviamente in senso puramente meteorologico.
Siamo diventati, in pochissimo anni e senza opporre alcuna resistenza, una società iper –documentale.
Siamo passati, come è stato ben scritto, da un mondo caratterizzato da messaggi di pochi rivolti verso molti ad un mondo strapieno di messaggi da molti verso molti.
Non soltanto viviamo immersi in un continuum di comunicazioni che ci arrivano in tempo reale da migliaia di parti, tanto da farci sentire immediatamente isolati appena essi cessano.
(Tipico, ormai, il gesto di chi quando non riceve messaggi da qualche minuto si affretta a controllare il cellulare temendo che si sia scaricato o che in quel luogo non vi sia connessione).
Soprattutto però ci siamo abituati a considerare come prova della nostra stessa esistenza in vita il fatto di emetterne anche noi in continuazione.
Inoltre, la sequenza di messaggi costantemente emessa viene vissuta dal singolo emittente come vera e propria manifestazione della sua identità.
Essere “visti” equivale in questa particolare dinamica allo stesso esistere.
Chi non riceve messaggi è un isolato, escluso dalla società.
Ma chi non ne emette è semplicemente un morto e come tale egli si considera e sente.
Tutto vero, purtroppo. Ma il clima, che c’entra?
Per millenni, molti millenni, l’andamento climatico è stato considerato (insieme ai terremoti) come una materia completamente estranea ed autonoma rispetto alla presenza umana nel mondo.
Esso stava in una dimensione che non si può chiamare metafisica soltanto per la evidente ricaduta materiale che inequivocabilmente lo caratterizza.
Poteva essere vissuto come dipendente dalla volontà e dalle decisioni degli Dei, che potevano usarlo come strumento di dialogo e di indirizzo rivolto verso la specie umana.
Una siccità devastante poteva essere vissuta come una punizione per comportamenti irrispettosi o inadeguati.
Persino nel superamento del politeismo noi, i figli di Abramo, abbiamo continuato a trascinare una parte di questa convinzione in molte preghiere e in molti atti rituali.
Società straordinariamente sviluppate, che hanno costruito espressioni filosofiche magnificamente complesse, hanno continuato a praticare momenti di carattere collettivo il cui senso era sempre convincere l’Entità Superiore a evitare la devastante grandinata o la distruttiva assenza di acqua.
Ci confortava, diciamolo, l’immaginario ricordo del Tirannosaurus Rex, magnifico dominatore del mondo e trasformato in estinto dietro chissà quale catastrofe naturale.
Se è potuto succedere a lui, perché non potrebbe capitare anche a noi? Meglio cercare di proteggersi.
Anche quando non si valutavano cause superiori il tempo meteorologico era sempre ben lontano dalle azioni e dalle possibilità dell’uomo.
Rispondeva a leggi che si potevano anche rilevare ma che non presentavano alcuno spazio per le riflessioni umane.
Noi sapevamo, perché lo sapevamo!, che quando entra il Maestrale durerà o per tre o per sei giorni e di conseguenza ci regolavamo, ma oltre questo ben poco potevamo fare.
Ci alzavamo la mattina e come prima cosa ci chiedevamo “che vento c’è oggi”.
Se per caso era un giorno di Levante, magari portavamo con noi un leggero impermeabile.
Ovviamente, chi sapeva meglio leggere e capire queste cose era trattato con ammirazione e rispetto.
Con l’avvento del Meteo Televisivo tutto ha iniziato a cambiare.
Il Meteo è diventato oggetto di comunicazione e, di conseguenza, i metereologi sono diventati popolari ed importanti.
Ha perso quella superiore sacralità che lo ha accompagnato per millenni, contribuendo a creare anche piccole scuole di pensiero.
Chi è il più bravo a interpretarlo e spiegarlo?
Ma siamo rimasti comunque nella sfera della comunicazione da pochi verso molti, anzi (alla luce dell’importanza) moltissimi.
Con l’ingresso nel mondo che chiamo “del continuum documentale” anche il Meteo è diventato bruscamente materia di espressione individuale per una infinità di persone.
Ciò è tanto più potuto avvenire per effetto della suggestione (la cui fondatezza non sono in grado di valutare) della crisi climatica come frutto della azione dell’uomo.
Un nuovo versante di identità e di esistenza si è improvvisamente aperto per lo schierarsi di migliaia di persone totalmente ignoranti rispetto a una materia certamente di grande complessità.
L’ orizzonte è cambiato. Non più terreno di inutili convenevoli tra anziani signori annoiati ad inizio conversazione o conoscenza.
Il Meteo, ora equiparato al destino dell’Umanità, è diventato lo spazio su cui esprimere individuali convinzioni, ricavate generalmente da qualche veloce click sul computer, quando va bene, o sul cellulare, più spesso e normalmente.
In questo processo di appropriazione collettiva di un terreno immenso e lontanissimo, ciascuno pensa di poter dire e fare il suo: esprimersi, insomma, controllare ed eventualmente correggere gli altri.
Dal mistico e bellissimo “Sega la Vecchia!” che nei borghi toscani salutava la fine dell’anno per auspicarne uno migliore impegnandosi tutti a correggere gli errori fatti, siamo passati al tizio che ti spiega come occorra, e subito, chiudere l’ILVA di Taranto e poi tutto migliorerà.
Chissà se è un passo in avanti.
L’unico vantaggio certo è però che non sentiremo più risuonare “Piove, governo ladro!”.
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