la dea discesa sulla terra
Maria Callas? O Maria Meneghini Callas? O Maria Kalogheropulos? Attorno a questi tre nomi si snoda l’esistenza di uno dei miti di questo nostro secolo, del soprano che ha costituito uno spartiacque nella vicenda delle interpretazioni operistiche, tanto da costringere a dire che la storia del melodramma si divide – come la storia degli uomini – in due momenti: avanti-Callas e dopo-Callas.
A quaranta anni dalla sua morte, la sua presenza nella memoria collettiva è più forte che mai. Il suo caso è stato così dibattuto e ha suscitato tali fanatismi che su di lei sono stati scritti oltre 70 volumi e migliaia di articoli in tutto il mondo, mentre decine di direttori d’orchestra si sono disputati l’onore di dirigerla, e altrettanti personaggi si attribuiscono il merito di averla aiutata o lanciata. Alcuni si sono detti certi di averle dato anche la felicità, ma chissà se è vero.
E’ invece sicuro che milioni di persone l’hanno davvero amata e ancora la venerano, acquistando i suoi dischi, raccogliendo con atteggiamento religioso gli oggetti che la riguardano e sperando che dagli archivi esca sempre qualche inedito sonoro.
Per molti altri, la Callas era invece una capricciosa e incostante diva alla ricerca di vendette, una Medea – lei, che sul volto aveva la memoria della tragedia greca – capace di divorare i figli pur di soddisfare le proprie ansie di affermazione. Oppure una donna superba, fredda e calcolatrice, pronta ad umiliare se stessa e gli altri pur di raggiungere le vette della celebrità.
Qual è la verità? E può esistere una sola verità? Quasi tutti i protagonisti della vicenda sono ormai scomparsi e ci restano poche testimonianze viventi, che pure abbiamo raccolto, dalle quali una cosa appare certa: la vita di Maria è stata un continuo turbine di eventi, una battaglia condotta giorno dopo giorno contro molti, se non tutti, all’insegna di quel principio messo in musica da Verdi che dice «Sempre libera degg’io» e del quale sulla scena era anche superba interprete.
Se la cantante ha fatto la felicità di tanti, e non solo melomani assetati di romanze e virtuosismi belcantistici, la donna, al contrario, ha ricevuto in cambio dolori e umiliazioni e ha dovuto continuamente combattere per difendere il proprio diritto all’arte e alla vita. Ecco, è proprio il diritto alla vita che ha dovuto difendere sino dalla sua nascita, in una terra allora ben lontana da quella dove era stata concepita. E la nostra storia. la sua storia, comincia proprio là, in un villaggio del Peloponneso, dove non è un luogo comune dire che il tempo si è fermato.
Il nome del villaggio è Meligalà, il cui nome significa «latte e miele», ma non è facile arrivarci. Bisogna lasciare la strada che da Atene porta a Kalamata e con un po’ di fortuna, eccoci nella piazzetta principale, con una chiesa (ortodossa, naturalmente) munita di squillante carillon campanario. Alla sua destra, una costruzione ad angolo, dove si apriva, nel 1917, la farmacia del dottor Giorgio Kalogheropulos, il quale dopo la laurea ad Atene e le nozze con Evanghelìa Dimitriadis, compagna di studi e figlia di militari, si trasferisce nella vicina Neocori, frazione di Meligalà.
Per i Kalogheropulos, la vita promette di essere dolce, in una piccola casa stretta nel verde. In quello stesso anno vi nasce Jakinti, che verrà chiamata Jacky. Poi arriva un maschietto, Vasily: ma una epidemia di tifo, tre anni dopo, lo strappa brutalmente alla vita e ai genitori. E’ un tragico segno del destino, che rafforza in Giorgio, ma forse soprattutto in Evanghelìa, il desiderio di lasciare quel misero paese, e con esso la Grecia e andarsene, emigrare. Lo strazio si aggiunge agli scarsi guadagni della farmacia, alla tumultuosa situazione politica del paese e spinge i due coniugi a partire per l’America e il sogno americano. Ma nel dolore si è fatta strada una nuova vita: Evanghelìa porta infatti con sé, in grembo, una creatura, concepita nella piccola casa di Meligalà, quasi a riempire il vuoto lasciato da Vasily.
Al pari di centinaia di migliaia di europei, i coniugi Kalogheropulos approdano a Ellis Island, ai piedi della statua della libertà, dove gli immigrati vengono accolti, nutriti, visitati, curati, e poi selezionati. Quasi nessuno di loro va ad abitare a Manhattan, all’ombra dei grattacieli, bensì nei quartieri poveri, popolati dai rispettivi connazionali, come l’Astoria, nel Queens, dove tutto, ancora oggi, conserva i colori e i sapori della Grecia, e dove il nome Kalogheropulos viene abbreviato in “Callas”.
Evanghelìa è convinta che il nascituro sarà un maschio, destinato nel suo cuore a sostituire Vasily. E invece, al Flower Hospital di Manhattan, il 2 gennaio del 1923, nasce quella che verrà chiamata Anna Maria Sophia Cecilia. Si racconta che quando le dicono che si tratta di una femmina, per quattro giorni la madre si rifiuta di vederla. E’ una reazione comprensibile, alla luce del dramma vissuto a Meligalà. Ma è un dramma anche per la piccola Anna Maria. Solo più avanti la donna ne accetta l’esistenza.
Col passare degli anni, la situazione finanziaria dei Kalogheropulos migliora e nella nuova casa di Amsterdam Avenue, Maria abbandona i giocattoli di bambina e scopre segretamente la musica destinata alla sorella, che la madre pensa votata a una carriera di artista. La canzone che affascina la piccola Maria è La paloma, la quale, davanti alla radio, in estasi per le voci che escono da quel misterioso mobile, si nutre degli show dei comici del momento. Il più amato è Jack Benny, e dai suoi ospiti impara nuove canzoni e le canta con grande musicalità.
La madre pensa però che sia Jakinti ad avere tutti i numeri per diventare una artista e le fa impartire lezioni di musica e canto. Le due sorelle crescono in una sorta di rivalità: Jakinti riceve lezioni di piano e Anna Maria, poco distante, segue e immagazzina tutto, impara nonostante nessuno le insegni e sente crescere dentro di sé, prepotente, la voglia di cantare e di farsi sentire, di esibirsi. Il dissidio sembra comporsi, quando anche Maria riceve lezioni di canto e pianoforte. Si racconta che i visitatori, amici o parenti dei genitori, preferiscano ascoltare lei, ma per senso di ospitalità facciano buon viso anche quando si esibisce Jakinti.
Tutto sembra dunque andare a gonfie vele per i Kalogheropulos. Papà Giorgio lavora in un drug-store, reparto medicinali, e pensa a mettere su una farmacia propria.
Ma il sogno americano si infrange di colpo: nel 1929 la borsa crolla, esplode una terribile crisi economica e gli Stati Uniti assistono allo spettacolo di milioni di disoccupati, di poveri, di affamati, che affollano lo strade alla ricerca di un lavoro o di un piatto di minestra.
Anche la famiglia Kalogheropulos, in quello scenario di estrema difficoltà per tutti, deve tirare la cinghia: i guadagni del signor Gheorghiu sono modesti e consentono appena di sbarcare il lunario. Ma sua moglie Evanghelìa – la quale, come dirà Maria, «ha sempre deciso tutto in famiglia» – continua a far impartire alle figlie lezioni di pianoforte che egli ritiene costose e inutili. Pian piano, il rapporto matrimoniale si incrina, i dissapori aumentano: dov’è la terra promessa?, sembra chiedere Evanghelìa. E ci sarà mai un futuro per Jakinti? Nel 1937 avviene la separazione. Evanghelìa decide di tornare in Grecia. La sua scelta è probabilmente legata anche alle vicende politiche del paese: dopo il colpo di stato del generale Condylis, re Giorgio è rientrato ad Atene, ha sciolto le camere e sospeso la Costituzione. Evanghelìa, non dimentichiamolo, è figlia di militari e deve aver pensato che la vita, nel paese natale ora in mano all’esercito, possa consentirle più facilmente di far studiare Jacky, la figlia maggiore, e avviarla al successo. E parte.
Maria resta a New York, con il padre. Si trova bene con lui. Ma ancora una volta si sente invece rifiutata e respinta da quella madre la quale – dirà – le ha tolto gli anni più belli, impedendole di essere «spensierata e sciocchina come tutte le ragazze della mia età». Ma le difficoltà sono reali. Che futuro potrò avere anch’io, qui a New York?, si chiede. E anche lei, dopo qualche mese, a bordo della nave italiana Saturnia, raggiunge la mitica terra delle proprie origini.
Da New York, Maria porta in Grecia un diploma scolastico, un paio di occhiali da vista e, si dice, un disco di cartone, che porta il nome di Nina Foresti: la leggenda vuole che sia quello che le hanno dato al Jack Benny Show, dove, all’età di 13 anni, avrebbe vinto un premio cantando Un bel dì vedremo da Madama Butterfly. Ma è sua la voce che vi è incisa? Uno dei più noti studiosi della Callas stamperà quella voce su un disco e dirà che sì, la voce è quella di Maria, la quale, però, ormai diva, smentirà recisamente. E perché poi avrebbe dovuto usare il nome di Nina Foresti? Piccoli misteri di una biografia che di misteri ne ha molti.
Ora, ad Atene, con la madre e la sorella, Maria va ad abitare in via Patissiòn al 61. Tutto il palazzo ascolta la sua voce diffondersi ad ogni ora del giorno. Perché ormai ha deciso: diventerà una cantante lirica.
La madre vorrebbe farne una nuova Shirley Temple, la bambina prodigio che furoreggia sugli schermi di tutto il mondo ma intanto, anche grazie alle pressioni di alcuni parenti, è d’accordo di farla studiare al conservatorio con il soprano italiano Maria Trivella. E’ dunque in Grecia, che Maria Kalogeropulos inizia la propria carriera, come ci ha testimoniato il dottor Polivius Marchand, un medico di origine tedesca, naturalizzato greco, che ha studiato a lungo la voce e la carriera della Callas.
«La Callas, come cantante, non è nata in Italia», dice il dottor Marchand. «Artisticamente, è nata qui, in Grecia. E’ qui che ha studiato per otto anni, facendo i primi approcci con il palcoscenico cantando in concerti e anche in opere importanti e facendo un apprendistato serio. E ci mostra una serie di locandine del Parnàssus di Atene, in un circolo di benemeriti della musica, dove già nel 1938, a 14 anni, Maria fa la sua prima esperienza in pubblico con altre allieve, accompagnate da Maria Trivella.
Il nome con il quale Maria si presenta è Marianna Kalogheropulos e per lei il programma prevede alcune difficili arie, come L’aria di Agathe dal Freyschutz di Weber e il duo della Tosca. C’è ancora tanto da studiare, naturalmente e quelli sono infatti anni di studio intenso; di canto, pianoforte e lingue. E’ anche il tempo delle prime amicizie in terra greca, quando sembra che tutto volga al meglio, anche nei rapporti con la madre e la sorella. Le foto ci mostrano una Callas ben pasciuta, in costume da bagno, assieme a ragazze e ragazzi.
Il debutto vero e proprio avviene anni dopo, in una edizione dilettantesca della Cavalleria Rusticana. Poi passa a studiare con un’altra maestra, Elvira De Hidalgo, la grande soprano, superba interprete del Barbiere di Siviglia, che ha trionfato al Metropolitan e che si è fermata ad Atene: adesso i venti di guerra la obbligano a restare in Grecia. Da lei Maria può imparare tutto, perché Elvira non è stata solo la titolare di una voce splendida, ma anche una grande presenza scenica. Conosce l’ambiente della lirica e tutti i trucchi del mestiere. E intanto arriva anche la sospirata iscrizione al Conservatorio.
«Maria vi ha studiato con grande profitto», conferma Marchand, «ha fatto molti concerti poi è passata all’Opera di Atene. Il suo primo ruolo è stato quello di Beatrice nel Boccaccio di Suppé. Poi è stata Tosca e successivamente ha interpretato ruoli di protagonista nel Tiefland e nel Fidelio di Beethoven.»
Ma se Maria è fuggita dalla depressione americana, ora, in Grecia, deve affrontare altre sciagure che cospirano per spezzare la sua ascesa. Sono gli anni terribili della seconda guerra mondiale e della dura occupazione fascista e nazista: la volontà popolare è schiacciata, le condizioni di vita diventano paurose per tutti, davanti a Maria c’è di nuovo fame e disperazione.
Si dice che Evanghelìa spinga le figlie a frequentare le truppe d’occupazione pur di rimediare qualcosa da mangiare. Voci maligne dicono che “frequentare” non rende appieno l’idea. Ma la vita va in qualche modo avanti, e anche quella musicale. E finalmente Maria viene chiamata alle sue prime interpretazioni, in pieno regime d’occupazione. E’ proprio il comando tedesco a volere la messa in scena del Fidelio di Beethoven. Un’opera tedesca, di un autore che possiamo usare a nostro vanto, pensano i comandanti nazisti.
Alla liberazione, il governo americano intima a Maria di rientrare negli Stati Uniti, altrimenti perderà la cittadinanza americana. Forse è un bene, ma le sembra che tutto sia finito un’altra volta, che il fantasma del rifiuto sia penetrato in casa dalla porta principale.
La Callas, accompagnata alla banchina dalla sola De Hidalgo, la sua maestra, sale nuovamente a bordo di una nave, la Stockolm, e attraversa un’altra volta l’Atlantico, lasciando in Grecia il nome Kalogheropulos. A New York, di nuovo Callas, la accoglie il padre. I primi passi nel mondo dell’opera si dimostrano impossibili. Il sovrintendente del Metropolitan, il tempio della lirica, le offre un cachet miserabile e un ruolo inadatto e la Callas gli risponde che un giorno saranno loro a cercarla A San Francisco le consigliano di farsi prima un nome in Italia. A Chicago il tentativo di mettere in scena la Turandot a fianco di Nicola Rossi Lemeni da parte dell’impresario Eddy Bacarozzi fallisce per motivi finanziari. Ogni porta sembra chiudersi spietatamente. Eppure, la collaborazione con quell’impresario dal nome così sgradevole, apre a Maria una inaspettata possibilità.
Maria studia canto con Louise Caselotti, una pianista, figlia di emigrati friulani, che aveva esordito come bambina prodigio, poi era passata al canto, come contralto, e al cinema. E poi all’insegnamento.
La Caselotti aveva sposato l’impresario Edoardo Bacarozzi, anch’egli di origine italiana, anch’egli in America e naturalmente con il nome che diventa Eddy. Una foto ce lo mostra somigliante ai divi hollywoodiani degli anni Trenta e Quaranta, e non ci sono dubbi che si tratti di un bell’uomo, capace di far innamorare un giovane soprano. Ma nel mondo della lirica, nel quale Eddy cercava di affermarsi come impresario, la bellezza non conta. Ci vuol altro.
Ma nel destino di Maria c’è l’Italia e l’Arena di Verona e La Gioconda.
La sera della prima, gran pienone e molte lodi. Il successo non è clamoroso ma qualcosa, per Maria, comincia finalmente a funzionare. Funziona anche l’amicizia che è nata con quel signore piuttosto anziano che risponde al nome di Giovan Battista Meneghini, di 28 anni più anziano di lei. E’ un danaroso industriale che frequenta l’ambiente della lirica, che aspira al ruolo di Pigmalione, e che gestisce con i fratelli una fiorente industria di mattoni.
Le nozze avvengono nel 1949, nella piccola cappella della Chiesa dei filippini, di sera, senza invitati. Perché lei è di religione greco-ortodossa, lui cattolico e le autorità ecclesiastiche chiudono un occhio, purché la cerimonia si svolga alla chetichella, rapidamente, senza occhi indiscreti e senza benedizione, come attesta il registro dei matrimoni, dal quale risulta che lei firmò Kallas con la “K”.
Un marito, una bella casa a Verona, un buon successo all’Arena. Finalmente Maria può fermare questa sua vita che l’ha vista sempre in movimento, fino da quando è stata concepita. Finalmente nessuno la rifiuta. Finalmente qualcosa sembra volgersi a suo vantaggio. E’ richiesta in quasi tutti i teatri italiani anche se la Scala, la massima aspirazione di ogni cantante, resta un miraggio. Molti critici esaltano la capacità di Maria Meneghini Callas, come ormai si fa chiamare, di muoversi con disinvoltura in repertori diversi, di passare con facilità da Wagner a Puccini o a Verdi, di alternare, nella voce, i toni drammatici a quelli brillanti, di agilità, come si dice. Ma la Scala resta a lungo un sogno per la Callas. Alla Scala regna Renata Tebaldi, e lo scettro è suo. L’arrivo della Callas scatenerebbe una rivoluzione.
Però Maria non ha fretta. Riflettendo su quegli eventi, dirà: «Sarà che sono greca e per questo sono fatalista. Ma sentivo che il momento sarebbe arrivato quando il destino avesse voluto e intanto mi preparavo, in modo da essere pronta…»
E le porte della Scala si aprono nel 1951 con I vespri siciliani di Verdi:il 7 dicembre, con l’intervento del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, nasce l’era della Divina. Nasce anche una serie di spettacoli che resteranno memorabili. Tra questi c’è la famosa Traviata diretta da Luchino Visconti, il quale ha visto in lei l’artista ideale.
Dalla Scala la Callas passa a conquistare il mondo, sempre in viaggio, sempre sulle prime pagine, sempre circondata dalla ressa dei fotografi e dei giornalisti. Conquista anche il Metropolitan, e la sua profezia di quand’era a New York senza un dollaro in tasca si avvera. Sulla sua strada c’è solo Renata Tebaldi, con la quale nasce una leggendaria rivalità, anche se la Tebaldi, detta «voce d’angelo», affermerà che «non c’era una vera rivalità. Fu una invenzione dei giornali e alla fine credo che abbia giovato a tutte e due.»
Ma alla Scala i sostenitori della Tebaldi sono ben convinti della supremazia del loro idolo e non perdonano, arrivando in teatro ben carichi di ortaggi. Ricorda Visconti: «Accadde una sera che le venissero lanciati tanti fiori. A me sembravano un po’ pesanti. Saranno di plastica, pensai. E invece erano ravanelli. C’erano tanti di quegli ortaggi che si sarebbe potuto fare un minestrone alla milanese. Io gridai ai tecnici del teatro: levateli di scena! Ma Maria, che era miope ma aveva un orecchio… l’orecchio di Dioniso, ne raccolse alcuni, li odorò e poi fece un bell’inchino di ringraziamento. Ci fu un applauso fragoroso!»
La Tebaldi non rappresenta davvero un ostacolo. Perché Maria ormai ce l’ha fatta, Maria è diventata una stella internazionale, richiesta a furor di popolo: i più grandi teatri del mondo se la contendono a suon di milioni, che sono miliardi, per l’epoca. Lei non rinuncia a niente, vola da un capo all’altro del mondo impegnandosi in opere diverse e faticose. Il suo impresario, cioè suo marito, Giovan Battista Meneghini, alza continuamente il prezzo, provocando spesso scontri e discussioni con i principali sovrintendenti e impresari, i quali però sono costretti a cedere. Maria fa notizia. Maria è divenuta «la divina» che fa i capricci, ma che tutti vogliono vedere e ascoltare e che viene contesa anche dagli ambienti della mondanità internazionale. Non è solo una grande cantante, è anche una donna colta e preparata, che parla inglese, greco, francese, italiano e ha aggiunto al proprio arco le frecce di una esotica bellezza e di una raffinata eleganza.
La metamorfosi è avvenuta quasi di colpo. Nessuno sa come. Sui metodi con i quali la Callas è arrivata a perdere trenta chili circolano tante e discordanti voci. Ma il brutto anatroccolo si è trasformato in un cigno. Vedendo Audrey Hepburn in Vacanze romane, Maria ha detto a Meneghini: «Voglio diventare come lei». E in qualche modo, come attestano le foto che la ritraggono con un caschetto di capelli corti, ci è riuscita. Ora ha proprio tutto: fascino, ricchezza, una villa a Milano e una a Sirmione del Garda, dove si ritira nei momenti di riposo o per studiare altre opere. Sirmione è il suo rifugio, il simbolo della sua affermazione. Ma quando ne esce, spesso arrivano i guai. Come a Chicago, durante le rappresentazioni di Madama Butterfly, quando gli ufficiali giudiziari le consegnano sul palcoscenico una busta con la citazione dell’impresario Bacarozzi che sostiene di avere un contratto con lei e di non essere mai stato pagato. Negli Stati Uniti, perché la citazione sia valida, gli ufficiali giudiziari debbono materialmente toccare l’interessata. E’ ciò che avviene a Chicago. Maria reagisce, urla, chiede aiuto. Una scena madre. «Ma certo», spiega Maria, «si sono presentati otto deputati dello sceriffo, non so… ero lì da tre settimane… se volevano qualcosa…». «Ma lei ha reagito», incalza un giornalista. «Certamente! Volevano malmenarmi!».
Meneghini, per evitare lo scandalo, tacita Bacarozzi. E anche la fama della Callas è salva!
E’ in questo clima che si presenta a Roma, al Teatro dell’Opera, per le recite di Norma, uno dei suoi cavalli di battaglia. Per la prima rappresentazione l’attesa è grande: è prevista anche la presenza del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e i biglietti, salatissimi, sono esauriti da mesi. Tutto fa prevedere un grande evento.
La Callas arriva a Roma tranquilla e sorridente. Ma col passare dei giorni cresce in lei l’inquietudine. Avverte un clima ostile, forse perché rappresenta il vanto della lirica milanese. Prima di entrare in scena dice a un collega: «Vado nell’arena». All’Opera, quella sera, c’è tutta l’Italia che conta. Le cineprese inquadrano il Presidente Gronchi, il senatore Pella, l’onorevole Andreotti, Gina Lollobrigida e consorte, il pittore De Chirico. Arriva anche Elsa Maxwell, la temutissima giornalista americana, detta «la pettegola», amica del soprano. Inizia la rappresentazione e il primo tempo fila via liscio: la Callas ha cantato Casta diva, poi c’è l’intervallo con il cambio di scena.
L’attesa si fa lunga. La Callas lamenta una fastidiosa afonia e ritiene di non poter proseguire.
La direzione del teatro preferisce leggere il comunicato che parla di “ragioni di forza maggiore” e che scatena un putiferio. Gronchi, furente, abbandona la sala. Il pubblico urla, fischia, grida «ci sei costata un milione!». Scoppia lo scandalo. Persino il governo è chiamato a occuparsene. Il giorno dopo i medici visitano la Callas in albergo e le riscontrano una infiammazione alla gola. «Canterò appena guarita», promette. Ma il teatro rifiuta.
Alla fine Maria torna a Milano accolta da una folla di ammiratori che la risarciscono con il calore della loro presenza. Ma anche il rapporto con la Scala si affievolisce e si parla di un intervento del Quirinale in tal senso.
I giudici, a distanza di molti anni, daranno ragione a Maria Callas: il teatro doveva avere una sostituta. Ma per più di un critico, e anche per più di un ammiratore, l’episodio di Roma dimostra che l’epoca d’oro del soprano è ormai passata, che la sua voce comincia a incrinarsi, non è più quella di una volta.
Ma forse non è solo la voce a incrinarsi e subire una svolta. Anche la vita della Callas è prossima a cambiamenti di fondo: qualcosa, nel rapporto con Meneghini, non funziona davvero più, neppure sul piano dell’impresariato. I suoi atteggiamenti duramente manageriali, il suo disprezzo per i sovrintendenti, la sua continua corsa al rialzo dei compensi, hanno creato il vuoto attorno a lei. Per di più, sono passati quasi dieci anni da quel matrimonio e la differenza d’età comincia a farsi sentire, proprio nel momento in cui lei è ambita e desiderata dai protagonisti dei salotti, della società bene, dal jet-set, come si comincia a dire quando si parla del bel mondo internazionale. Lei è la protagonista, lui, che non capisce le lingue, e si addormenta a tavola, comincia a diventare ingombrante. Ma non è per calcolo che avviene la rottura: è per un incontro fatale, come quello tra il conte d’Almaviva e Rosina, del Figaro, o quello tra Violetta Valery e Alfredo Germont nella Traviata. E che, come quest’ultimo, avviene tra balli, party, levar di lieti calici su uno yacht che solca il Mar Egeo.
L’invito, nel luglio del ‘59, viene da Aristotele Onassis, armatore ed affarista greco, uno degli uomini più ricchi del mondo. Alla crociera, con la moglie Tina, partecipano Wiston Churchill e signora, Gianni Agnelli e signora, Maria Callas e Giambattista Meneghini. Al ritorno a terra, dopo notti insonni e movimentate, con Meneghini che si sveglia senza più la moglie nel letto, la decisione è presa: Maria lascia il marito per sposare Onassis, il quale a sua volta intende divorziare dalla moglie Tina. Che cosa spinge la Callas verso Onassis, uomo totalmente sordo alla musica ed estraneo al mondo dell’opera? Non certo l’età, che non è davvero giovanile. Il suo denaro? La sua posizione di uomo potente? Da figlia di un farmacista povero del Peloponneso, Maria diventerebbe espressione di un connubio che riunisce arte, denaro, fama e potere. Insomma, da Cenerentola a regina.
Ma poi, come nelle telenovelas più movimentate e crudeli, Onassis sposa Jacqueline Kennedy, vedova del presidente americano ucciso a Dallas. Maria, con apparente indifferenza, commenta glaciale: «Jacqueline ha fatto bene a dare un nonno ai propri figli…».
Anche se ostenta tranquillità e sicurezza, per Maria, tornata solo Callas senza più l’aggiunta del nome Meneghini, si tratta di un duro colpo. Per Onassis ha rotto il matrimonio, per Onassis si è comportata come una ragazzina innamorata, per Onassis si è inimicata tutti i suoi ammiratori che la accusano di essersi lasciata fuorviare, di aver trascurato la lirica ed essersi comportata come una diva del cinema. Ora, sola e delusa, si chiude nella sua nuova casa parigina di Avenue Mandel. Le notizie di suoi tentativi di suicidio vengono regolarmente pubblicate dalla stampa e puntualmente smentite dall’interessata. Ma appare evidente che la Callas non è più la Callas, che la sua carriera è definitivamente finita. Quanto è durata? Una decina d’anni, ad esser buoni, calcolano i critici. Molto, molto di più, affermano i devoti ammiratori. Ma adesso? Dove sta, cosa fa, cosa pensa e prepara, e come vive la «divina»?
Quando qualche volta appare sulla scena, le ovazioni, il calore del pubblico, gli applausi si rinnovano. Ma è al mito che si applaude, non alla sua voce. Maria lo sa bene e prova a cambiare strada. Nel 1971 tiene a New York un master-class, un corso di insegnamento per giovani cantanti, dal quale la strappa Giuseppe Di Stefano, per una serie di concerti. E’ una nuova avventura artistica o qualcosa di più?
«La incontrai a New York e la prima cosa che mi disse fu “ogni giorno che passa, un giorno di meno”», ricorda il grande tenore. «Non aveva più motivazioni, non si aspettava più nulla. Io la contagiai con la mia carica di simpatia e visse qualche altro giorno lieto. Tutto qui: le volevo bene, lei mi voleva bene, ci volevamo bene. Niente altro. Stavamo bene insieme.»
E insieme affrontano a Torino la regia dei Vespri siciliani, opera cara a Maria, protagonista una giovane Raina Kabaivanska.
Il risultato è un naufragio, almeno a sentire i critici.
Ma l’evento più significativo di quegli anni è senza dubbio il suo debutto cinematografico, sotto la direzione di Pier Paolo Pasolini. Il film è Medea, lo stesso personaggio portato tante volte sulle scene dell’opera. Pasolini sceglie la Callas per il suo volto greco, drammatico, carico di mito e di mitologia. Lei accetta, per tentare un’esperienza nuova. Con Pasolini il rapporto è intenso: lui le fa conoscere la madre, la introduce nell’ambiente intellettuale, cercando di smussare la sua personalità piccolo-borghese… E’ insieme padre, maestro, amante. Lei forse se ne innamora. Con Medea, con il personaggio che forse più di tutti l’ha caratterizzata sul palcoscenico, si chiude la grande stagione artistica di Maria Callas. Si chiude in sordina, perché il film ha sì attratto il pubblico dei suoi ammiratori ma poi non ha convinto né loro né i critici cinematografici ed è quell’evento che i produttori e lo stesso Pasolini si aspettavano.
Ora Maria si chiude sempre più nella sua solitudine, vale a dire nella casa parigina dove però qualcuno giura di aver visto di tanto in tanto insinuarsi un’ombra furtiva, quella di Aristotele Onassis. In realtà vive separata dal mondo, con i suoi fedeli cagnolini, i suoi fedeli camerieri e una nuova, fedele amica. Si è dunque infranto il sogno di quella bambina che cantava La paloma e ascoltava le riviste della radio americana, sognando di avere una infanzia come tutte le sue coetanee “spensierate e sciocchine”? Adesso è una donna che ha superato i cinquant’anni, umiliata nei suoi sentimenti, senza uomini accanto. Si saprà che quella di non avere avuto figli non è stata una scelta, ma sui motivi di questa impossibilità nulla è stato detto di chiaro. Un rifiuto inconscio, dovuto a quello stesso rifiuto subito da neonata, che la portava a sua volta a rifiutare di essere madre? Sola, dunque. E come una dea ferita, ritirata nel suo Olimpo, in attesa di diventare Mito. Ma il Mito ha bisogno di qualcosa di più per continuare a vivere ed essere tramandato: ha bisogno della tragedia e del mistero che ad essa s’accompagna.
Il 16 settembre 1977, il mondo è colto di sorpresa dalla notizia della morte di Maria Callas. A nessuno degli amici è permesso di entrare nella sua casa di Parigi e vederla. Com’è morta? Disgrazia? Uso eccessivo di farmaci? Suicidio? Quest’ultima è tra le tesi più accreditate, anche per via di un biglietto sul quale la cantante aveva scritto i versi del suicidio della Gioconda, l’opera del suo esordio italiano. Per i suoi ammiratori, per chi si è commosso o esaltato alla sua voce, al suo volto antico, al suo gesto moderno, per coloro che la salutano nel corso delle esequie, celebrate col rito greco-ortodosso, la storia di Maria Callas, il più grande soprano del secolo, finisce quel giorno. Non per Giovan Battista Meneghini che corre a Parigi, forte di un testamento scritto dalla moglie nel ‘54, che lo rende erede universale. Alla sua morte, Meneghini lascerà tutto alla governante Emma Brutti, la quale dovrà dividere l’ingente eredità con Jakinti, sorella di Maria, che ad Atene si fa vedere per strada con le borsette e le scarpe lasciate da Maria.
Qualche mese più tardi, le ceneri di Maria Callas vengono sparse nel mar Egeo, in quel mare che, ancor prima di mettere piede su questo mondo, aveva, senza saperlo, attraversato.
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