MILANO: GRATTACIELI SOTTO INCHIESTA E LE RESPONSABILITA’ DEGLI ARCHITETTI

EMILIO BATTISTI

Mario Sironi, L’architetto” 1922

Finalità della lettera è di impedire che la sanatoria proposta dal decreto “Salva-casa” per gli interventi realizzati a Milano in base a una normativa ritenuta dalla magistratura illegale, possa compromettere la legislazione urbanistica vigente e consenta, in futuro, di derogare alle “leggi fondamentali, chiare e semplici, da rispettare per garantire i diritti di tutti i cittadini.”

Tutto ciò è perfettamente condivisibile ma c’è un passaggio della lettera che, per quanto l’abbia sottoscritta, non mi sento di condividere, là dove si raccomanda alla magistratura di non andare oltre il “comprensibile obiettivo” di tutelare “gli incolpevoli acquirenti degli immobili… senza alcuna sanatoria per operatori, professionisti, funzionari e dirigenti che avessero violato le leggi vigenti le cui eventuali responsabilità vanno lasciate all’accertamento della magistratura”. Oltre che inopportuna nei confronti dell’autonomia della magistratura e rispetto alle finalità della lettera, la raccomandazione risulta superficiale facendo di ogni erba un fascio, non distinguendo tra le responsabilità dei soggetti citati che, a prescindere da ciò che potrà decidere la magistratura, già si presentano in tutta evidenza, molto differenti.

Sulla questione della responsabilità dei professionisti, mi sono già espresso in varie occasioni perché, come architetto attivo, non posso evitare di immedesimarmi con i colleghi che hanno progettato alcuni degli interventi. Innanzitutto, sulla questione dei tanto criticati “grattacieli”. L’edificio a torre è un tema architettonico al quale ogni architetto guarda con interesse e in molte città rappresenta una presenza emblematica di forte valore simbolico.

Hugh Ferriss, evoluzione di un edificio urbano, 1922

La maggior parte di noi andando in visita a New York resta affascinato dall’affastellamento dei grattacieli di Manhattan e la prima reazione non è certo quella di una critica serrata all’incombente città immaginata da Hugh Ferriss.

Io stesso, pur in assenza di incarichi professionali, mi sono cimentato con il tema dei grattacieli progettando alcuni edifici a torre anche a Milano, rappresentati nella foto. Il primo, a sinistra, è una imponente torre per la nuova sede della Regione al quartiere Isola, affacciata su quello che è poi diventato il Parco Biblioteca degli Alberi, con un ampio varco alla base per collegarlo con Piazza Carbonari lungo l’asta verde di viale Restelli.

Il secondo, a destra, è un progetto di ricerca svolto in ambito universitario che avrebbero dovuto ospitare servizi pubblici comunali nell’area all’incrocio tra le vie Melchiorre Gioia e Pirelli. Un progetto complesso che prevede anche una piazza coperta direttamente collegata con la fermata MM Gioia

Emilio Battisti, due grattacieli per Milano al quartiere Isola

Non mi ritengo meno responsabile dei colleghi che hanno realizzato analoghi interventi solo per il fatto di non aver avuto l’opportunità di costruire i grattacieli che ho progettato. Se qualche committente mi avesse proposto di realizzarli, non avrei di certo rifiutato l’incarico per non essere annoverato tra gli autori dei “grattacieli selvaggi” dai quali Milano dovrebbe essere salvata.

Lo scorso anno, ho organizzato un incontro intitolato Milano è una città di grattacieli? per porre provocatoriamente la questione ad alcuni progettisti e studiosi dell’architettura. Dalla discussione è emerso che la vocazione milanese per i grattacieli si è manifestata fin dagli anni ’50 del secolo scorso con la realizzazione di due opere universalmente riconosciute come capolavori: il Grattacielo Pirelli e la Torre Velasca. Da allora molti altri se ne sono aggiunti e lo scenario ha subito una mutazione all’interno della quale torna difficile fare distinzioni ma anche valutare se, a prescindere dai facili entusiasmi, la nuova skyline esprime un paesaggio di qualità. Comunque, nel bene e nel male, Milano è ormai una città di grattacieli e non ha senso non prenderne atto anche se questa constatazione non può essere presa a pretesto per realizzare edifici a torre all’interno dei cortili o in altri luoghi del tutto inadatti.

Inserto del libro Milano Verticale, Fondazione OAMi, 2021. Disegno di Studio Folder (Marco Ferrari, Elisa Pasqual, Letizia Bernardelli, Giulia Brembilla). Courtesy Studio Folder.

I grattacieli di Milano

L’edificio a torre non va comunque mitizzato perché presenta aspetti problematici. E’ innanzitutto insicuro in quanto la sua altezza rappresenta un ostacolo all’abbandono da parte degli abitanti in casi d’incendio e il livello del rischio è definito proprio il base all’altezza. Si sostiene che costruendo in altezza si risparmia suolo ma spesso si realizza proprio dove lo spazio a disposizione già scarseggia. Inoltre, dato che ospita molti abitanti e attività genera un levato carico urbanistico al quale bisogna far fronte.

Altra questione e quella del rispetto delle regole ma, in questa specifica situazione, la responsabilità dell’architetto va riferita a un quadro sovraordinato creato da amministratori e funzionari che hanno contribuito a rendere le norme urbanistiche confuse e contraddittorie. Non sono un giurista ma ritengo che la sovrapposizione di competenze di Stato, Regione e Comune abbia ostacolato la coerente formulazione e univoca interpretazione delle norme urbanistiche.

Se, a fronte di una norma nazionale come quella del citato decreto 1444/68, interviene una legge regionale, che consente di derogare ai limiti di densità edilizia, di altezza e distanza fra i fabbricati e agli standard degli spazi pubblici o riservati ad attività collettive, al verde pubblico o ai parcheggi…”, io, progettista, come dovrei comportarmi? Può essere che la logica intrinseca al mio progetto comporti di assolvere a tali requisiti, come a me è spesso capitato nei progetti di scala urbana, ma non mi riterrei certo obbligato alla loro stretta osservanza. Anche tenendo conto che, come ad esempio l’eccedenza di parcheggi imposta dalla norma, può essere negativa per l’ambiente e la città.

Analogamente, se alcuni funzionari comunali pubblicano un’ordinanza che esime dalla redazione del piano particolareggiato anche per gli edifici di altezza superiore ai 25 metri qualora l’intervento avvenga in ambito urbano consolidato, perché il titolare dell’intervento dovrebbe farsene carico?

Inoltre, considerando che la normativa regionale che consente di derogare risale a vent’anni fa, com’è che nessuno, neppure tra i firmatari di questa lettera, me compreso e a maggior ragione lo Stato, non ne ha contestato i contenuti controversi prima dell’intervento della magistratura? Ma, anche successivamente, autorevoli esponenti della cultura urbanistica si sono espressi negando l’illegittimità del controverso quadro normativo, per quanto carichi di improprie responsabilità il progettista che, per poter esercitare la professione, si ritrova a dover svolgere atti di competenza dell’amministrazione in assenza di appropriate prerogative.

Una situazione che mi sembra abbia qualche analogia riguarda il fatto che uso spesso la bicicletta per spostarmi in città e nelle strade a senso unico delle zone a traffico limitato sono autorizzato ha percorrerle contromano in deroga al Codice della strada. Anche in questo caso si verifica una sovrapposizione di competenze perché è lo Stato che autorizza ma è il Comune che decide quali strade i ciclisti possono percorrere contromano ed affigge la relativa segnaletica. Con il mio comportamento non rappresento forse un ostacolo, oltretutto in movimento, che procura ritardo, difficoltà e rischio agli altri che procedono nel senso prescritto? Dovrei quindi rinunciare all’opportunità di ridurre il tragitto ed evitare di percorrere strade fortemente trafficate a causa della contraddittorietà dei riferimenti normativi? O per evitare di essere considerato colpevole nell’eventualità di un’incidente che mi coinvolga?

Ma c’è un’altra ragione che dovrebbe indurre a non criminalizzare i professionisti ed è, che così facendo li si pone come complici a fianco e a disposizione di quegli amministratori e funzionari che sono, a mio parere, i veri responsabili della situazione di caos urbanistico.

Sono certo che questa mia posizione sarà criticata da molti che non sono architetti, così come ho ricevuto rimostranze da alcuni colleghi per aver sottoscritto la lettera. Non sono le critiche che mi impressionano ma l’ostracismo e le inimicizie che si manifestano a seguito della libera espressione delle proprie idee, impedendo un confronto pubblico e trasparente.

Per concludere dichiaro che se mi trovassi tra i colleghi ora sottoposti a giudizio, accusato di essere colpevole e complice di chi ha creato questa situazione, non esiterei a dichiararmi parte lesa e agirei per essere scagionato con una sentenza, piuttosto che restare segnato da una irrisolta presunzione di colpevolezza a seguito di una tardiva probabile prescrizione. Mi impegnerei per ottenere che la magistratura mi giudichi e credo che, come professionista, avrei l’opportunità di essere scagionato rispetto agli altri soggetti coinvolti nel procedimento giudiziario.

Ben altre sono le responsabilità che devo essere disposto ad ammettere riconoscendo che riguardano inevitabilmente una componente negativa derivante dal danno ambientale intrinseco a qualunque intervento architettonico, sia esso di demolizione, sostituzione, rigenerazione o nuova costruzione.

Emilio Battisti, Studio planivolumetrico, Nodo Bovisa stazione FNM, Milano

Il progettista architetto è colui che dà forma all’idea iniziale del progetto che comprende la definizione degli aspetti architettonici ed estetici quale suo compito esclusivo contraddistinto dalla totale discrezionalità tutelata dalla legge del diritto d’autore. Seleziona inoltre materiali e colori, individua le tecnologie da utilizzare che hanno rilevanza sul risultato estetico. Il progettista ha anche la responsabilità di garantire che il progetto sia conforme al Regolamento edilizio e rispetti i vincoli urbanistici a livello comunale. Ma il progetto di ogni intervento edilizio, una volta elaborato dall’architetto viene realizzato da altri: il proprietario che se lo intesta, il promotore immobiliare che lo finanzia, il Comune che attraverso la Commissione del Paesaggio lo approva e con i propri funzionari sovrintende alla procedura e all’iter autorizzativo, il costruttore che con proprie attrezzature, e personale realizza concretamente le opere affidate al direttore dei lavori nel rispetto del progetto architettonico, il collaudatore che certifica la fine lavori e la correttezza dell’intervento rispetto al progetto e la concessione dell’abitabilità che attesta la conformità alle normative vigenti in termini di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico. Sempre che non debba esprimere il suo parere anche la Soprintendenza ed essere sottoposto a VIA (valutazione di Impatto ambientale) il cui ambito di applicazione può essere di competenza statale o regionale.

L’architetto è quindi l’unico soggetto che ha la capacità di immaginare l’architettura pur essendo defilato rispetto alla gestione dell’iter attuativo e alla realizzazione dell’intervento. Ma, nello svolgimento del proprio compito, per quanto esclusivo, non può sottrarsi ai condizionamenti del contesto, a meno di rinunciare ad essere architetto.


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