La pecora nera della Francia?
Un tempo ritenuta sporca e pericolosa, priva della grandeur parigina, priva del glamour di Cannes e Nizza, pecora nera del sud della Francia, ha acquisito sicurezza del proprio contesto culturale e delle sue potenzialità turistiche da quando, nel 2013, è stata nominata Capitale Europea della Cultura ed è stata investita da una ventata di ristrutturazioni e innovazioni.
Molti anni prima che ciò avvenisse, Jean-Claude Izzo ci aveva raccontato una Marsiglia dura, spietata, ma ci aveva anche descritto la sua aria, i suoi profumi, i sapori, la luce e, soprattutto, la sua gente solidale. Una Marsiglia come può raccontarla solo chi la conosce e la ama profondamente.
Dopo aver letto la sua “Trilogia marsigliese”, con protagonista Fabio Montale, uno dei personaggi memorabili della letteratura contemporanea, con Marsiglia si era entrati in un rapporto problematico, a tratti magnetico, a tratti respingente. Sicuramente appassionante. Era urgente vederla e viverla.
Marsiglia dal greco Massalia, poi trasformato in Massilia dai romani e, ancora, nel corso dei secoli in Marsiglia, ha una lunga storia etimologica. Tra le ipotesi Plutarco ne intravede l’etimologia in Mass-Alieus accostando poi Alieus ad “aliseo” risulterebbe “casa dei venti”.
In effetti il Maestrale (Mistral) è una costante della città perché spira mediamente 110 giorni all’ anno. Spesso si tratta di vento forte poiché dal nord correnti di aria fredda si spostano verso sud incanalandosi lungo la Valle del Rodano, che rappresenta l’unico valico tra il Massiccio Centrale Francese e le Alpi occidentali. Per l’effetto dell’incanalamento il soffio si rinforza ed esce lungo l’area della foce del Rodano, dove, non di rado, oltrepassa i 120-130 km/h, attraversando le città di Orage e Marsiglia. Grazie al vento i colori di Marsiglia sono incredibilmente nitidi e luminosi e risaltano su uno sfondo blu zaffiro del cielo che ricorda certi cieli delle tele di Van Gogh che dipingeva a poca distanza da qui.
Qui, adagiata al centro di un vasto anfiteatro naturale di colline del sud della Provenza di cui è la capitale, Marsiglia profuma di cielo e soprattutto profuma di mare. Non solo perché è il porto più grande del Mediterraneo. Non solo per essere stata fondata da marinai greci nel 600 aC diventando così la città più antica della Francia, ma anche perché ha sempre conosciuto vere e proprie ondate migratorie che provenivano dal mare e che l’hanno portata ad essere oggi la seconda città della Francia con oltre un milione di abitanti.
Una esuberante città portuale multietnica fatta di greci, armeni, vietnamiti, senegalesi, algerini, marocchini, italiani, spagnoli, comoriani. Con i suoi 250.000 musulmani e i loro 63 luoghi di culto, è la città più maghrebina d’Europa, la più africana di Francia.
Il cuore di Marsiglia è l’animato “Vieux Port”.
Da sempre centro storico, culturale, economico della città, il Porto vecchio è oggi affollato di yacht e imbarcazioni da diporto poiché, dalla metà dell’800, vista l’espansione della Francia in Algeria, le attività marittime vere e proprie sono state trasferite nel ben più vasto “Gran porto marittimo di Marsiglia” che oggi garantisce il lavoro a 45mila persone ed è il più grande del mediterraneo, finanziariamente autonomo. Il “Vieux port” rimane, però, il cuore e l’anima della città e attorno ad esso sono nate le nuove infrastrutture in cui si svolgono le attività che tengono viva la cultura e la tradizione della città. Si tratta di un porto collocato dentro un golfo stretto e lungo che si estende verso l’entroterra ed è fiancheggiato da due meravigliosi lungomare, il Quai du Port a nord e il Quai de la Rive Neuve a sud, agli estremi dei quali si trovano i bastioni di Saint-Jean e Saint Nicolas.
Tutta la ristrutturazione dell’area del porto vecchio è stata concepita dall’ architetto britannico Lord Norman Foster, compreso l’allargamento pedonale del Quai de la fraternité, in testa al porto, dove vi ha fatto installare una grande piattaforma, sorretta da sottili pilastri, sotto la quale una lastra di acciaio inossidabile riflette tutto ciò che si trova o passa sotto di essa. Si tratta di un punto che, soprattutto al tramonto quando tutto diventa rosso, fa gioire i fotografi e diventare roventi le fotocamere. Spesso suonatori singoli o in gruppo provenienti dalle più svariate parti del mondo, allietano la zona e ogni giorno vi si tiene un piccolo mercato del pesce dove tutt’oggi è possibile acquistare pesce fresco.
Si chiama il mercato della Criée perché qui i prezzi del pesce venivano gridati nel corso di aste al rialzo rese ancora più vivaci dalle frequenti zuffe tra gli acquirenti. Tra i tanti pesci che si possono trovare, quello più famoso è sicuramente la sardina per via di una storia popolare nella quale si racconta che una volta le sardine, anzi una enorme sardina, abbia bloccato il “Vieux Port”. In realtà una nave, chiamata Sartine in onore di Monsieur de Sartine, ministro della marina durante il regno di Luigi XVI, all’imboccatura del porto, si incagliò e sprofondò causando, per un certo tempo, l’impossibilità alle altre navi di entrare o uscire. La notizia creò grande scompiglio e, passando di bocca in bocca, la nave Sartine diventò sardine.
Oggi è un modo di dire scherzoso per significare qualcosa che non può essere vero e le sardine, diventate uno dei simboli della città, sono vendute nei negozi e nelle bancarelle del Porto fatte di stoffa, di terracotta, di metallo e altro. Oltre alle sardine nei negozietti dei lungomari non mancano mai i saponi. Il sapone di Marsiglia, che tutti conosciamo, deriva dall’ antico sapone di Aleppo che arrivò in Europa al seguito delle crociate. Dopo secoli di produzione artigianale, alla fine del ‘500 nacque la prima fabbrica di sapone marsigliese.
Purtroppo nell’ ultimo ventennio il sapone naturale è stato soppiantato dai detersivi di sintesi e i saponifici marsigliesi sono stati, quasi tutti, costretti a chiudere. Continuano, invece, l’attività le ditte che producono il Pastis il liquore nato a Marsiglia intorno ai primi decenni del ‘900 per ovviare al divieto di produzione di assenzio. La restrizione era stata dettata per cercare di arrestare l’alcolismo dilagante, e la produzione di bevande alcoliche fu limitata a prodotti dal tasso alcolico molto contenuto. Il primo a realizzare il Pastis fu Paul Ricard che, nel 1932, presentò questa bevanda a base di anice, liquirizia ed erbe provenzali a bassa gradazione alcolica. Il Pastisoggi è una bevanda iconica del sud della Francia e, lungo le strade di Marsiglia, è offerta ovunque.
Dal “Vieux Port” parte la principale strada che attraversa il centro storico di Marsiglia per oltre un chilometro: la Canebière, inaugurata a metà del ‘600 durante l’ingrandimento della città voluto dal re Luigi XIV. Il suo nome deriva dalla parola provenzale “canebe”, canapa, in quanto collegava il porto con i campi di canapa, coltivata alla periferia della città, e utilizzata per la produzione di tessuti e corde. Fu in questa strada che il 9 ottobre 1934 furono assassinati Alessandro I di Iugoslavia in visita ufficiale in Francia e il ministro degli esteri francese, per mano di un nazionalista macedone. Fu il primo omicidio filmato della storia. A guardia dell’ingresso al Vieux Port, sorge la pittoresca isola-fortezza di Chateau d’If, che fu costruita a metà del ‘500 dal Re Francesco I e resa immortale dal romanzo di Alexandre Dumas “Il conte di Montecristo” perché vi furono incarcerati Edmond Dantes e l’ abate Faria. Più tardi servì come prigione di stato e vi furono incarcerati molti prigionieri politici, tra cui l’eroe rivoluzionario Mirabeau. Oggi è un museo dedicato alle civiltà europee del mediterraneo.
Sempre al Mediterraneo è dedicato il Musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditerranée (MuCEM), situato al termine del lungomare nord e simbolo per eccellenza della Marsiglia contemporanea. Sede del museo è un ardito edificio contemporaneo progettato da Rudy Ricciotti, un architetto di origine algerina formatosi a Marsiglia. Un vertiginoso ponte pedonale lo collega al duecentesco Fort Saint-Jean fatto costruire da Luigi XIV e, dal quale si ha una vista emozionante della città, del porto e del mare. Di fianco al MuCEM c’è un altro ardito edificio: la “Ville Mediterranee”; a forma di L rovesciata e con il piano lungo che si affaccia su una vasca d’acqua nella quale si riflette, gioia di tutti fotografi. Progettata dall’architetto Stefano Boeri nel 2013, ospita una galleria con un pavimento di vetro in cui si tengono esposizioni multimediali su vari aspetti del Mediterraneo, legati all’acqua, alla storia, all’ambiente.
Poco più in alto rispetto al gruppo dei nuovi edifici si sviluppa il quartiere popolare del Panier, il più antico della città.
Marsiglia rappresenta un caso atipico nel panorama urbano europeo contemporaneo: una città con un centro storico popolare, vivo e caleidoscopico dove ancora prospera il commercio di prossimità e l’identità dei quartieri che la compongono si basa sulla diversità delle popolazioni che li abitano. L’origine del nome Panier si perde nei secoli, un detto popolare lo fa derivare dal nome di un locale – Le Logis du Panier – la cui proprietaria esigeva il pagamento delle sue prestazioni facendo mettere ai clienti i soldi in un cestino che poi sollevava con una corda fino al primo piano.
Originariamente era il quartiere dei pescatori, con le casette lunghe e strette, le stradine che a malapena fanno filtrare la luce. Poi arrivarono le ondate di migranti: i Corsi, gli Armeni, gli Italiani, i Maghrebini.
E’ molto bello e poetico perdersi nel Panier salendo e scendendo per le stradine, le gradinate, le piazzette con qualche albero che a tratti la fanno assomigliare ai paesini della Provenza e anche a quelli della costa ligure e dei quartieri spagnoli di Napoli.
I vasi di fiori e di erbe aromatiche alle finestre, balconi e porte decorate coi colori del sud, bucati stesi in strada, bambini che giocano a palla e urlano. Una aggressiva street art grida le sue ragioni dai muri del quartiere e ci ricorda che siamo in un posto di vita vera e dura, con i suoi controsensi e la sua “mixité”.
Nei pressi della piazza de 13 Cantons abitava Jean Claude Izzo, che probabilmente ha scritto parte dei suoi racconti seduto ad uno dei tavolini del bar des 13 Coins.
Ecco come Izzo descrive il quartiere in cui anche lui viveva:
“Vivere al Panier, era una vergogna. Fin dal secolo scorso. Il quartiere dei marinai e delle puttane. Il cancro della città. Il grande lunapark. E, per i nazisti, che avevano sognato di distruggerlo, la culla d’imbastardimento per il mondo occidentale. Suo padre e sua madre ne avevano conosciuto l’umiliazione. L’ordine di espulsione in piena notte. Il 24 gennaio 1943. Ventimila persone. Una carriola trovata velocemente per caricarci su qualcosa. I gendarmi francesi violenti, i soldati tedeschi beffardi”
Izzo si riferisce al fatto che i nazisti odiavano il Panier perché troppo meticcio, troppo entropico. Himmler decise di smantellarlo e la mattina del 24 gennaio del 1943 oltre 20 mila persone ricevettero l’ordine di espulsione. Nel giro di pochi giorni la dinamite fece saltare in aria un migliaio di casette. Non finì qui. Prima di essere liberata, nell’estate del ’44, due poderosi bombardamenti continuarono l’operazione di distruzione del centro della città, uno da parte degli americani prima di entrare con le forze di terra e l’ultimo da parte dei tedeschi prima di lasciare la città. In quei giorni durante un volo di ricognizione fu abbattuto, da un caccia tedesco, e precipitò in mare nel porto di Marsiglia Antoine de Saint-Exupéry esperto aviatore e, da poco, capitano dell’aviazione francese. Il Piccolo Principe era stato pubblicato un anno prima da una casa editrice di New York.
Nel cuore del Panier, si viene sorpresi da un grandioso e splendido edificio dentro cui regna la pace e la tranquillità così in contrasto con il resto del quartiere e della città. Si tratta di un ospizio per i poveri voluto dal Comune di Marsiglia e progettato da Pierre Puget, architetto e scultore del ‘600, nato a due isolati di distanza e diventato architetto di corte di Luigi XIV. Dopo secoli di abbandono dell’edificio, LeCorbusier negli anni ’40 ne fece comprendere il grande valore. Adesso è un Centro Culturale che ospita il Centro Internazionale della Poesia, il Museo di Archeologia Mediterranea, il Museo delle Arti Africane, Oceaniche e Amerinde.
Da qualunque punto del Panier e del Vieux Port si alzino gli occhi al cielo non si può non notare la sontuosa basilica ottocentesca di Notre-Dame de la Gardeche sorge sulla collina più alta della città, La Garde (154 m), è il luogo simbolo di Marsiglia. E’molto particolare questa basilica perché è tutta decorata con affreschi raffiguranti navi che entrano in porto sotto la protezione della Bonne Mère. Ovunque colpiscono l’occhio e il pensiero i tanti ex voto di carattere marinaresco.
Quadri, fotografie, pezzi di barca, remi spezzati, sono attaccati alle colonne e alle pareti delle navate. Piccole navi pendono dal soffitto sopra le teste dei fedeli, navi da pesca, da guerra, da diporto, grandi, piccole, vecchie, nuove. In questa basilica si respira il mare con le sue ansie e le sue difficoltà, con i suoi sogni, le sue speranze e le sue visioni. Sulla sommità della basilica, risplende una vergine dorata alta ben 10 metri, che attira fin dal mare lo sguardo dei naviganti. All’esterno, un faro dedicato ai marinai e ai migranti morti in mare.
Sotto la basilica si estende la plage des Catalans la spiaggia più popolare di Marsiglia che si raggiunge anche a piedi dal lungomare sud. La spiaggia con fine sabbia dorata è oggi un punto molto vivace di incontro dei marsigliesi. Il nome deriva da un evento drammatico della storia di Marsiglia. La peste del 1720. Il Grand-Saint-Antoine, una nave proveniente dall’ Asia, che attraccò a Marsiglia nel maggio del 1720, fu all’origine dell’epidemia. Il suo carico, costituito da tessuti e batuffoli di cotone, ospitava anche ratti con pulci infettate da Yersinia pestis. Il capitano della nave non fece osservare le misure di quarantena che la Francia aveva imposto, la peste si diffuse in tutta la città e causò 40.000 vittime su 90.000 abitanti. Fu allora che fu concesso il diritto di pescare nelle acque marsigliesi ai pescatori della Catalogna i quali si stabilirono definitivamente con le rispettive famiglie nei fabbricati che erano serviti da lazzaretto vicino alla spiaggia. Si tratta di un episodio storico di grande importanza, ancora molto presente nella memoria collettiva di Marsiglia.
Al grande amore verso il mare e verso il sud del mediterraneo si contrappone, nei marsigliesi, una certa chiusura verso il nord e soprattutto verso Parigi. L’odio secolare tra marsigliesi e parigini è lo stereotipo più noto di tutta la Francia. Oggetto di barzellette, caricature, sketch.
L’incontro tra chi adora Parigi e chi invece è innamorato di Marsiglia è sempre problematico e si manifesta in modo pittoresco e, a volte, violento, nel calcio. Il calcio a Marsiglia è considerato un vero e proprio fenomeno sociale e L’Olympique Marsiglia è una passione. Ovviamente uno dei giorni più attesi è quello dell’incontro con il Paris Saint Germain (PSG) contro il quale spesso l’Olympique ha la peggio. Il quattro a zero che l’ Olympique si è presa nel 2023 è in spasmodica attesa di rivincita a fine marzo.
A Marsiglia ci si mescola con tutti, ma non con i parigini!
Se nel calcio il PSG vince su Marsiglia, i parigini devono alzarsi in piedi quando si canta il loro inno nazionale: la Marsigliese. L’ inno si chiama così perché a cantarla per primi, durante i giorni convulsi della Rivoluzione francese, furono i fédéré arrivati a Parigi, da Marsiglia. L’ inno, che era arrivato a Marsiglia poco tempo prima e lo aveva intonato per la prima volta un giacobino di Montpellier, si diffuse in fretta a Parigi e diventò l’inno della Rivoluzione. Fu l’Italiano Giovan Battista Viotti, musicista di corte a Parigi, a scrivere lo spartito della musica che, però, gli fu rubato e il poeta Rouget de Lisle scrisse il testo, ma lo fece per una battaglia contro gli Austriaci. Un inno, quindi a cui parteciparono in tanti. Anche questo un esempio di“mixité”.
“La mixité” tipica di Marsiglia e di pochi altri grandi città europee, si afferma nel mantenimento delle differenze e nella reciproca accettazione a differenza di quel ‘communautarisme’ che tende a imporre regole comuni per superare le differenze.
Quale sarà la metodica vincente, in un panorama mondiale che sta velocemente cambiando, è difficile da ipotizzare e interessante da seguire.
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