REDAZIONE
QUALI NATURA E LIMITI ALL’EFFERATEZZA DI ATTI UMANI DI “MASCHI IN FRANTUMI” CONTRO LE DONNE ?
Leggendo della cronaca tragica di due estremi non sequenziali ma connessi raggiunti dall’efferatezza umana maschile contro le donne come nei casi (tra i troppi e ripetuti e che non calano) del terribile omicidio di Giulia Cecchettin (ora concluso con la condanna all’ergastolo dell’omicida ma che non deve “rassicurarci”) e dello “stupro replicativo dell’assurdo” verso Gisele Pelicot che scuote la Francia (e tutti noi) mi chiedo quale la natura e se – da maschi – avremo limiti o se sapremo darceli, se sapremo cambiare. Perché tale efferatezza speculare che pur diversa per contesti ed esiti alla quale non avremmo mai voluto assistere, si connette in una radice comune: una concezione strumentale proprietaria, appropriativa-espropriativa della donna. Ma non della donna in quanto persona con i caratteri dell’umano del tutto soppressi (ossia con una identità, una storia, una luce del volto e dello spirito, un senso del gesto, un lume della voce) ma del suo corpo. Dal buio denso, fratturato e scomposto delle menti di Filippo Turetta (ex-fidanzato) e di Dominique Pelicot (ex-marito) emerge “ancora una volta (ennesima)“ la pretesa maschile di un controllo totale sul corpo delle donne (quasi un diritto?) pensando di avere anche quello della mente o dell’anima. Possibile solo pensando di vivere in un mito che già i greci e i classici ci avevano descritto con grande forza espressiva suggerendo gli antidoti (Elettra di Euripide) seppure sempre in un quadro marginale assegnato alle donne nella storia e cioè “fuori dai miti” alla ricerca di “matriarcati” narrati e mai consolidati. Il segno indelebile di tale efferato e ossessivo controllo è inferto con 71 coltellate (dopo 10 anni di frequentazione) su una giovane donna gentile e annientata nella “ferocia calma” del suo compagno di studi di fronte all’abbandono da una parte; dall’altra, con 72 abusi violenti (di uomini giovani e meno giovani compreso Dominique e da questo invitati al “banchetto sessuale” lungo una sadica procedura di dominio), ripetuti e ripresi meticolosamente con ragionieristica precisione e archiviati per lunghi 10 anni con sistematico uso di droghe e sedazione della povera Gisele. Una orrifica sceneggiatura di “maschi in frantumi” in una diabolica e necrofagica pratica tribale attorno ad un povero corpo sedato di una donna e senza tracce di alcuna pietas in un quadro di “normalità del male” direbbe Isabella Merzagora che si insinua torbida – spesso in silenzio – in quel “Il male radicale” tanto analizzato e descritto da Agnes Heller attorno al gorgo infernale dell’olocausto e del totalitarismo. Efferatezze speculari fatte emergere dai due processi e denunciati dalle due donne simbolo, Elena la sorella di Giulia e dalla stessa Gisele. Due donne coraggiose di due generazioni diverse che hanno voluto parlare e urlare il loro dolore in difesa di Giulia e delle sue sorelle la prima e in difesa di tutte le donne la seconda oltre i “vuoti della solitudine della vergogna” che respingono entrambe con sdegno facendo cambiare a questa il lato indicando nei maschi i soli che si devono vergognare. Donne che hanno avuto il coraggio di indicare le umiliazioni subite molto prima degli eventi terribili con Elena ricevendone le confessioni dalla amata sorella e avendola accompagnata al distacco ma essendo arrivata “tardi”. Per Gisele avendo intuito i problemi del marito ma anche in questo caso avendone “sottovalutato” le turbe comportamentali e le deviazioni, ma dovendo subire ancora nel processo al quale è arrivata miracolosamente viva. In entrambi i casi con maschi bianchi istruiti immersi nel buio di sentimenti occlusivi e “(tele)guidati” da un patriarcato oppressivo, ossessivo e compulsivo che ha armato loro le mani e le menti fino all’estremo spegnendone i neuroni, l’anima e il cuore. Compresi i 72 uomini del “recruitment forum” che hanno stuprato Gisele sedata e drogata in stato di pre-coma nel suo letto come hanno spiegato gli psichiatri al processo e tutti arrestati. Ma che uomini son mai questi che poi “tornavano al lavoro tranquilli” senza farsi troppe domande sul “sesso a insaputa di una donatrice incosciente“? Una realtà più terribile di qualsiasi film dell’orrore o del torpore emozionale(?). Non singoli casi da “psichiatrizzare e isolare” nella “singolarita’”, ma patologia culturale-comportamentale da vuoto affettivo-spirituale diffuso di un maschio che deve prendere coscienza del suo terribile stato da mente dominante-omicidaria e cambiare nonostante si possano considerare i diversi profili “umanizzanti” che i due processi hanno fatto emergere ma senza alcuna attenuante. I fatti ci dicono per l’ennesima volta dopo storie secolari di femminicidi che siamo di fronte ad una “dominazione maschile” che si scontra (e reagisce) con la storia e le battaglie per l’autonomia delle donne, con le conquiste del femminismo e la richiesta di libertà, indipendenza e uguaglianza, di parità. Quindi violenze con un’origine patriarcale non più “conservatrice” ma “reazionaria” di opposizione a quelle conquiste. Ecco perché è fondamentale allora la battaglia sul tasso di attività femminile, sul salario minimo, sul gender gap, sul merito (gender free) e sulla disponibilità accessibile di asili nido, come leve dell’indipendenza delle donne “oltre” la sottomissione e la diseguaglianza secolare nella coppia e nella famiglia, o anche nell’impresa. Chiarendo che le leggi pur utili non bastano se non accompagnate da educazione e formazione. Come leve per far ripartire anche il tasso di riproduzione che è interconnesso all’indipendenza delle donne e senza la quale non ci sarà nemmeno crescita, governando la “bomba demografica”. Sviluppando nella scuola primaria una educazione a sentimenti e alla sessualità come basi per apprendere il rispetto e avviare alla responsabilità soprattutto di maschi persi, confusi ed egolatrici nell’antropofagia del “dominio” che è lastricata di infelicità e dolore e che è il momento di superare “hic et nunc”, senza se e senza ma. Non tanto per un “maschio nuovo” ma responsabile e rispettoso che sappia riconoscere emozioni e sentimenti, distinguere l’amore dall’umore, la felicità dalle pulsioni per scegliere le sue potenzialità e possibilmente donarle come insegnava Luce Irigaray e che dopo di lei oggi ci insegnano le testimonianze di vita dal terribile dolore di Elena e Gisele che aprono anche ad una nuova luce di speranza. Sapranno i maschi cogliere “oltre l’oblio” il calore e il colore vivo di questo raggio di luce?
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