Da più di trent’anni studio il caso De Mauro: ho letto tutto (o quasi) quello che è stato scritto in proposito e non sono riuscito a giungere ad una conclusione certa e documentabile. Mia opinione in proposito, tutta (o in parte) da dimostrare è che l’uccisione del giornalista fu dovuta al timore che, per fare uno scoop giornalistico che lo avrebbe lanciato alla grande nel mondo dell’informazione, potesse rivelare ciò che sapeva a proposito del “golpe” Borghese e degli accordi presi in proposito con la mafia.
Legare quell’omicidio alla fine di Enrico Mattei fu un capolavoro di esperti in simili faccende per la tutela di interessi nazionali o forse internazionali. Certo è che fu un castello di abili menzogne, qualunque ne sia stata la ragione. (Mario Pacelli)
La vicenda di Mauro De Mauro, il giornalista misteriosamente scomparso a Palermo più di mezzo secolo fa (1970) costituisce ancora oggi uno squarcio in un mondo solo parzialmente esplorato, quale è quello dei rapporti tra mafia, politica, grande industria, con annesse vicende di corruzione, complicità inconfessabile, depistaggi, trame oscure di potere, tanti diavoli compressi in una bottiglia nella speranza che un buon tappo ne garantisse l’eterna scomparsa dalla circolazione. Non è accaduto: inchieste giudiziarie, documenti desecretati, rivelazioni (anche se non sempre interamente credibili) di mafiosi pentiti hanno fatto saltare quel tappo ed i diavoli sono (almeno in parte) riapparsi. La scomparsa di Mauro De Mauro è uno di quei diavoli.
Il giornalista scompare la sera del 16 settembre 1970. Lavora presso il giornale “L’Ora” d“i alermo e sta tornando a casa, al n. 58 di Viale delle Magnolie, alla periferia della città. Sono le nove e mezza di sera, sul portone ci sono alcune persone tra cui la figlia di De Mauro, Franca, con il suo fidanzato.
Il giornalista parcheggia la sua Bmw 1600 blu notte e scende con in mano i pacchetti con il caffè, le sigarette ed una bottiglia di vino francese che ha comprato poco prima al bar Nobel di Via Pirandello, dove fa sosta di solito per l’aperitivo prima di tornare a casa.
La figlia si avvia con il fidanzato verso l’ascensore, ma il padre non si vede: torna indietro, sul portone, e lo vede con due o tre persone. Parlano, uno dice “ammuninne”, “andiamo” in stretto dialetto siciliano. De Mauro torna alla sua auto e si mette al volante. Anche gli sconosciuti salgono sulla Bmw che parte un po’ bruscamente e si allontana.
Da quel momento di Mauro De Mauro si perde ogni traccia. La Bmw viene trovata il giorno dopo in Via Pietro D’Asaro, in pieno centro della citt à: sui sedili ci sono i pacchetti intatti, il vetro di un finestrino è abbassato, manca la chiave di avviamento e sul cruscotto la polizia scientifica trova una mezza impronta digitale: il suo esame non darà risultati. La fiancata dell’autovettura ha tracce di polvere rossiccia che qualcuno pensa proveniente da strade di campagna che l’auto potrebbe avere percorse: si scopre però subito che si tratta di sabbia del deserto portata dal vento e che anche le auto parcheggiate vicino ne presentano tracce.
Presto la notizia della scomparsa del giornalista si diffonde in tutta la città: la polizia indaga, indagano i carabinieri, ma ci si avvede subito che non sarà facile chiarire il mistero della scomparsa di un uomo che era egli stesso, per alcuni versi, un mistero.
La sua storia era iniziata molti anni prima, quando la sua famiglia da Foggia, dove era nato il 6 settembre 1921 – padre chimico-farmacista, madre casalinga – si era trasferita a Napoli, dove Mauro aveva conseguito la licenza liceale ed aveva iniziato a scrivere sui fogli della federazione del fascio cittadino.
Successivamente – sembra nel 1943 ma la data non è sicura – la famiglia si trasferisce a Roma in una casa nelle vicinanze di Piazza Bologna. De Mauro va ad abitare da solo: sembra che i suoi proventi provenissero dal commercio al minuto. Certo è che nel 1943 il giovane, che ha fatto il servizio di leva come ufficiale carrista, è di nuovo inserito nell’ambiente militare: la espressione è necessariamente vaga in quanto non è certo (stante l’impossibilità di accedere al suo foglio matricolare conservato presso il Ministero della Difesa) né se sia stato richiamato in servizio né se si sia presentato volontariamente ad un centro reclutamento.
Certo è invece che dopo l’otto settembre 1943 è tra coloro che collaborano ufficialmente con le S.S. tedesche comandate dal maggiore Herbert kappler: la collaborazione può essere spiegata con una designazione a quell’incarico da parte della Decima Mas di Junio Valerio Borghese, in stretto rapporto con i nazisti, o con l’arruolamento di De Mauro nella Legione S.S. italiana, che diverrà poi, quando le S.S. saranno trasformate da organi di polizia politica in truppe combattenti, la 29ste Waffen Granadier Brigate der S.S..
A far optare per la prima soluzione c’è un documento {Griner, La “banda Koch”, pag. 150) : si tratta della testimonianza resa da Pietro Koch durante l’interrogatorio che segue nel 1945 alla sua cattura. Afferma Koch, a proposito dell’eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma, dove, dopo l’attentato di Via Rasella, furono fucilate dai tedeschi di Kappler 335 persone, di aver saputo dell’eccidio “Da un certo ten. Mauro De Mauro, già della Regia Marina e allora in servizio presso le S.S. tedesche, conosciuto nell’anticamera di Caruso {il questore di Roma del tempo, n.d.a.) … essendo stato lui presente al fatto e quindi testimone oculare”.
Perché De Mauro fu testimone dell’eccidio, anche se non vi partecipò direttamente? La risposta è forse nella collaborazione menzionata da Koch con le S.S. e nel rapporto di De Mauro con il questore Caruso: con ogni probabilità lo stesso De Mauro era stato incaricato di tenere i rapporti con le S.S.. Secondo un rapporto del S.I.S., i servizi segreti inglesi, De Mauro era in rapporto a Roma con Kappler e Priebke, entrambi ufficiali delle S.S., oltre che con la squadra di polizia politica di Koch, colpevole di ogni tipo di efferatezze (F. Viviano, Mauro de Mauro, pag. 31).
E’ certo che in quei mesi De Mauro era conosciuto a Roma come “tenente Roberto Marini” e come tale frequentava Via Tasso, sede delle S.S. di Ka ppler. Radio Anzio nel 1944 parla di lui come di una belva umana da sopprimere senza pietà (“li Borghese”, 1970).
Esistono però testimonianze dei suoi interventi a favore di numerose persone accusate {non a torto) di attività antinazista: la relativa documentazione è conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze, Corte d’Assise di Fir enze, _fasc. 12, 1954, tra le carte relative al processo Martellozzi provenienti dalla Corte d’Assise di Roma.
Collabora anche con l’ufficio stampa della “Decima”, che tra l’altro pubblica un giornale (“La cambusa”, divenuto poi “L’orizzonte”) e viaggia per tutta l’Italia settentrionale inviando le sue corrispondenze al giornale dalle varie località del Nord Italia visitate.
A Novara incontra la sua futura moglie, Elda Barbieri, una appartenente al Servizio ausiliario femminile della Guardia nazionale repubblicana, che aveva inglobato la M.V.S.N., l’esercito e i carabinieri.
De Mauro è in quel momento piuttosto malconcio: ha un ginocchio fracassato e contusioni al viso: parlerà sempre di un incidente accaduto di notte alla guida di un piccolo camion {l’urto contro un albero caduto su una strada) ma secondo un bollettino dell’A.G.I. del 1961 si sarebbe trattato di un pestaggio da parte dei partigiani che l’avrebbero lasciato in cattive condizioni, forse convinti che fosse morto: sta di fatto che restò claudicante e con un viso segnato profondamente.
Secondo lo stesso bollettino a Novara De Mauro fu prima “Commissario straordinario aggiunto” e poi “direttore di sezione” della federazione fascista repubblicana. E’ certa la sua partecipazione, ancora una volta quale osservatore, ai rastrellamenti di partigiani ed a interrogatori di quelli catturati {Griner, pag. 54-
55) così come esistono prove del suo successivo trasferimento a Milano e di suoi contatti in quel periodo con la prefettura di Milano. Probabilmente dopo l”‘incidente” le sue condizioni fisiche lo costrinsero ad accettare una occupazione presso l’Ufficio Stampa e propaganda della Repubblica di Salò {Viviano, op. loc. cit.).
Dopo il 25 aprile 1945 De Mauro scompare dalla circolazione e nulla si conosce a proposito delle circostanze in cui viene catturato (o si consegna spontaneamente) agli americani che lo rinchiudono nel campo di concentramento di Coltano, presso Pisa, dal quale presto evade.
Quando {28 agosto 1945) viene richiesto dal Ministero di Grazia e Giustizia all’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo di intervenire presso le autorità alleate per la consegna del fascista De Mauro, questi è già scomparso da Coltano.
Una testimonianza della moglie parla di un soggiorno a Napoli, dove i due si sposano e nasce la prima figlia, Junia Valeria: il motivo del nome è facilmente intuibile. A Napoli De Mauro, forse utilizzando vecchie conoscenze, inizia la collaborazione a “Il Mattino”, giornale di tendenze filoanarchiche di proprietà di Achille Lauro.
Il giornale va male (nel 1949 diverrà di proprietà del Banco di Napoli), i soldi sonO pochi, il lavoro è precario, De Mauro stenta a guadagnare il necessario per vivere, finché nel 1948 non si trasferisce con tutta la famiglia a Palermo.
Perché proprio a Palermo? C’è solo il desiderio di mettere la maggiore distanza possibile tra lui e l’Italia del Nord, dove molti lo conoscono ed hanno un ricordo non proprio benevolo di lui, o c’è qualche altra più concreta ragione, come il fatto che nell’isola hanno trovato rifugio molti ex appartenenti alla X Mas, come provano anche alcuni documenti americani (N. Tranfaglia, Come nasce la Repubblica, pag. 424 in nota)? E’ questo un fatto molto importante in quanto spiega non solo il trasferimento di De Mauro a Palermo, ma anche i suoi contatti in quella città con alcuni neofascisti e la visita nella città siciliana di Valerio Borghese, alla vigilia del suo tentativo di “colpo di Stato” di cui si dirà nelle pagine seguenti.
Sul piano giudiziario la sua vicenda si è rapidamente conclusa: accusato di collaborazionismo e di partecipazione all’eccidio delle Fosse Ardeatine, per avere denunciato ai nazisti un oste romano che fu tra le vittime di quell’eccidio, è assolto dalla Corte d’Assise di Bologna per insufficienza di prove.
Il 6 agosto 1948 viene revocato il mandato di cattura nei suoi confronti. In appello viene assolto per non aver commesso il fatto: il passato sembra ormai definitivamente sepolto.
Nel 1949 De Mauro ottiene una collaborazione a “Il Mattino di Sicilia”, di tendenza liberale e nel 1950 una collaborazione esterna alla neonata Agenzia Giornalistica Italia (“A.G.1.”).
Dietro l’A.G.I., che poi diverrà di proprietà dell’E.N.I., c’è in quel momento l’E.R.P. (Economie Cooperation Agency) che gestisce gli aiuti del Piano Marshall. Degno di nota è che molti altri ex fascisti (tra cui il tristemente famoso “boia di Albenga” Luciano Luberti) trovano in quel periodo in occupazioni occasionali presso strutture in qualche modo legate all’ E.R.P. la possibilità di sopravvivere (v. G. Simone, “Il boia di Albenga”) e che, secondo Edgardo Sogno (v. Testimonianza di un anticomunista), proprio con i fondi E. R.P. furono finanziate le prime organizzazioni occulte anticomuniste in Italia.
La questione non avrebbe alcuna rilevanza ai fini della ricostruzione della attività di De Mauro prima della sua scomparsa se non ci fosse il fatto che, secondo un rapporto del SISMI (Griner, pag. 170), il giornalista collaborava sotto falso nome al settimanale “ABC”, collegato a “Nuovo mondo d’oggi” di Mino Pecorelli, in stretto rapporto con i servizi segreti italiani, sempre in funzione anticomunista.
De Mauro era anche lui per qualche verso legato ai servizi, sull’onda dell’attività di “intelligence” che molto probabilmente aveva svolto dal 1943 al 1945? Poter rispondere alla domanda sarebbe molto importante per chiarire, in senso positivo o negativo, alcuni dubbi a proposito delle vicende successive alla sua scomparsa.
Nel 1951, sempre alla ricerca di collaborazioni giornalistiche che gli consentano un reddito più elevato, De Mauro, attraverso Gaetano Verzotto, uomo chiave della D.C. siciliana del tempo, ottiene dall’Assessorato regionale al turismo e allo sport un contratto per la redazione di un opuscolo turistico su Agrigento: la cosa in sé non avrebbe grande importanza se non segnasse l’inizio di un rapporto con la D.C. e specie di quella parte dì essa che tende ad un rimescolamento delle carte del potere in Sicilia.
Nel 1958 Presidente della Regione diviene Placido Milazzo con i voti determinanti sia dì comunisti e socialisti che di monarchici e mìssini. De Mauro attraverso Ludovico Corrao, che di Milazzo è fra i principali sostenitori, viene assunto come redattore dalla rivista ufficiale della Presidenza della Regione “Documenti di vita siciliana”, ma soprattutto (sembra per l’intervento dì un notabile democristiano di grande peso, Franco Restivo, che sarà poi Ministro dell’Interno) diviene redattore de “L’Ora”, un giornale di Palermo fondato da Ignazio Florio nel 1900 e schierato su posizioni filocomuniste.
Secondo alcuni {“Il borghese”, 4 ottobre 1970) non sarebbe stata la garanzia data da Restìvo della nuova fede democratica di De Mauro a determinare la sua assunzione a “L’Ora”, ma il fatto che il giornalista era il tramite di cospicui finanziamenti di Milazzo al P.C.I. attraverso la rivista regionale nella cui redazione De Mauro era stato assunto: non esiste però nessuna prova in proposito, né alcun riscontro oggettivo, così come non esiste alcun riscontro a quanto dichiarato anni dopo (“La Stampa”, 30 luglio 1996) da una ex spia dell’Unione Sovietica, Leonid Kolosov, secondo il quale De Mauro era il contatto con il Kgb, il servizio segreto russo, e la mafia siciliana.
A “L’Ora”, qualunque siano state le ragioni della sua assunzione, De Mauro sì fece apprezzare per le sue inchieste sulla criminalità organizzata, facilitate anche dalle molte conoscenze che ha in città: la sua ultima inchiesta, riguardante il narcotraffico, traduce in termini accessibili al grande pubblico un rapporto del servizio informativo (cioè, nuovamente, da un servizio segreto) della Guardia di Finanza di cui nessuno era a conoscenza.
L’ultimo articolo a sua firma venne pubblicato su “L’Ora” 1’8 luglio 1970, due mesi prima della sua scomparsa: ricordava 1’8 luglio di dieci anni prima, quando a Palermo erano scoppiati violenti tumulti contro il Governo Tambroni, durante i quali avevano perso la vita quattro persone: De Mauro parlò a proposito di quel Governo, appoggiato dal M.S.I., di “tendenze involutive”: significava che negli ultimi 25 anni aveva cambiato radicalmente opinioni politiche? E’ possibile, anche se non può escludersi che l’orientamento filocomunista del giornale costituisse una strada quasi obbligata per lui.
Nella Palermo dell’inizio degli anni ’60 la mafia è una realtà quasi palpabile: i legami tra l’organizzazione criminale e la politica, specie con gli uomini dei partiti al governo, erano molto stretti, eredità degli anni del separatismo siciliano che avevano visto i grandi latifondisti avvalersi anche della collaborazione mafiosa per difendere i loro privilegi e sconfiggere i movimenti dei contadini che chiedevano terra da coltivare. I primi tentativi di industrializzazione vennero dall’industria di Stato e soprattutto dall’E.N.I., presieduta da Enrico Mattei, modificarono solo in parte gli equilibri dì potere esistenti che travalicavano nel concreto le divisioni politiche, come dimostrò l’esperienza, alla fine degli anni ‘SO, dei due governi regionali presieduti da Silvio Milazzo con l’appoggio di tutti i partiti presentì nell’isola, dì sinistra, di centro o dì destra che fossero, in nome della valorizzazione economica e dello sviluppo dell’isola.
E’ probabile che De Mauro, che certamente non era un ingenuo, si rendesse conto esattamente della complessità della situazione: non rinnegò il suo passato politico, conservò gli antichi legami di amicizia, ma al tempo stesso non disdegnò di stringere legami con esponenti democristiani, lui che pure lavorava in un giornale nettamente filocomunista. Al tempo stesso comprese che non poteva scrivere articoli di cronaca senza occuparsi della mafia, l’altra faccia della società siciliana, e della sua attività, forse fidando troppo nelle sue capacità di avvertire e tenere lontano il pericolo.
In questo quadro vanno visti i suoi rapporti con il democristiano Graziano Verzotto, segretario politico della D.C. in Sicilia dal 1962 al 1966 e dirigente dell’E.N.I.
Nel 1967 Verzotto fu nominato presidente dell’Ente Minerario sici lia no. Era ritenuto amico di importanti capimafia: nel 1960 fu testimone di nozze di Giuseppe Di Cristina, membro della “Commissione regionale di Cosa nostra” ed appartenente ad una famiglia di lunga militanza mafiosa.
Verzotto convinse De Mauro a sostenere il progetto della realizzazione da parte dell’Ente di un metanodotto Algeri-Sicilia, ciò che il giornalista fece nei suoi articoli: ebbe come retribuzione l’incarico per una ricerca sugli effetti della industrializzazione nella zona di Termini lmerese, dove si stava realizzando uno stabilimento della FIAT. Il giornalista non poteva ovviamente sapere che la realizzazione di quel metanodotto coinvolgeva grandissimi interessi: essa avrebbe infatti significato la cessazione del trasporto del gas con navi appartenenti ad una società in cui si affermava essere interessato (ma senza fornire alcuna prova) Eugenio Cefis, vice presidente dell’E.N.I. che per questo motivo sarebbe stato tenacemente avverso alla realizzazione dell’opera.
E’ più probabile che l’opposizione di Cefis nascesse dalla volontà dell’E.N.I. di mantenere l’esclusività nella importazione del metano mentre Verzotto rappresentava coloro che vedevano nel nuovo metanodotto una nuova fonte di potere e di denaro.
Malgrado gli indubb.i successi professionali e la fedeltà alla linea politica del giornale, la vita di De Mauro a “L’Ora” non era facile: pochi mesi prima della scomparsa venne trasferito dalla cronaca alla pagina sportiva, oltre che incaricato di seguire la redazione che il giornale stava impiantando a Messina.
Contemporaneamente – ed è un elemento questo che si rivelerà molto importante – stava seguendo i primi passi nel giornalismo di Massimo Balletti: glielo aveva chiesto il suocero, Antonino Buttafuoco, un commercialista di Palermo di cui De Mauro era amico da molti anni.
Secondo alcuni il trasferimento a Messina fu una sorta di punizione per essersi schierato contro quella parte della D.C. che contrastava Verzotto, per la questione del metanodotto.
Nel 1970 De Mauro rientrò a Palermo, assegnato non più alla cronaca ma alla redazione sportiva del suo giornale.
Sempre alla ricerca di collaborazioni redditizie – De Mauro era un uomo a cui piaceva spendere – accettò volentieri l’incarico del regista Francesco Rosi, che si accingeva a dirigere un film sulla morte di Enrico Mattei, di predisporgli una relazione in proposito . Forse ad indicare il suo nome a Rosi fu Verzotto, che finanziava anche una agenzia di stampa {“Milano informazioni”) con la quale De Mauro aveva un rapporto retributivo.
La predisposizione, tanto in seguito enfatizzata, di un rapporto sulla morte di Mattei non era quindi altro che uno dei tanti incarichi svolti da De Mauro avvalendosi della sua professionalità e delle molte fonti informative di cui disponeva.
Particolare interessante è che secondo la sentenza della Corte d’Appello di Palermo del 10 giugno 2001, Verzotto riteneva che il film su Mattei avrebbe dovuto contribuire ad alimentare la campagna di stampa contro Cefis, che continuava ad opporsi alla realizzazione del metanodotto.
E’ difficile credere che nel raccogliere il materiale necessario per assolvere l’incarico affidatogli da Rosi De Mauro fosse venuto a conoscenza di particolari sconosciuti sulla morte di Mattei, avvenuta il 27 ottobre 1962 a Bescapè, poco distante dall’aeroporto milanese di Linate, a causa di un incidente aereo che secondo il magistrato Vincenzo Calia, nel procedimento svoltosi presso il Tribunale di Pavia, relativo all’incidente stesso, sarebbe stato dovuto ad una carica esplosiva collocata nel dispositivo di atterraggio dell’aereo, deflagrata quando era iniziata la manovra di atterraggio. Il giudice istruttore ritenne però che mancava “una prova sufficiente del fatto delittuoso” (17 marzo 2004). Stando alle risultanze giudiziarie, la morte di Mattei fu dovuta ad un incidente: ricollegare la scomparsa di De Mauro alla fine di Mattei non sembra dunque possibile.
Un elementare buon senso porta a ritenere che, se effettivamente De Mauro fosse entrato in possesso di elementi decisivi a favore del sabotaggio dell’aereo, si sarebbe affrettato a comunicarlo a Rosi o ai suoi collaboratori preannunciando la sensazionale novità che gli avrebbe consentito, fra l’altro, di richiedere un maggiore compenso. De Mauro invece, secondo una versione dei fatti, non consegnò il lavoro nei termini stabiliti: un collaboratore di Rosi, Pietro Notarianni, lo cercò più volte ma non lo trovò.
In realtà sembra che De Mauro il lavoro per Rosi non lo avesse portato a termine: dopo la sua scomparsa in un cassetto della sua scrivania in ufficio la polizia trovò ventisette cartelle, alcune ancora manoscritte, sugli ultimi due giorni di Mattei in Sicilia che non contenevano alcun elemento degno di particolare attenzione (la fotocopia di alcune pagine degli appunti è pubblicata da R. De Simone, Delitti di Stato).
Non manca però chi sostiene che De Mauro avesse concluso il suo lavoro e l’avesse consegnato alla Vides, la casa di produzione del film di Rosi: a favore di questa tesi sta la scena conclusiva del film (nessuno accetta di salire con Mattei sull’aereo che dovrà portarlo da Catania a Milano e che non arriverà mai a destinazione) che chiude con gli appunti ritrovati di De Mauro.
Anche ad ammettere che De Mauro avesse concluso e consegnato il suo lavoro, non si fa nessun passo in avanti: ciò non prova infatti che fosse entrato in possesso di elementi tali da indurre qualcuno a toglierlo dalla circolazione per impedirgli di rivelare le notizie in suo possesso e soprattutto di farne oggetto di un articolo su “L’Ora “.
E’ vero che nell’ultimo periodo della sua vita De Mauro era solito vantarsi con gli amici e in famiglia (ed in ciò le testimonianze sono concordi) di essere entrato in possesso di notizie che gli avrebbero consentito un sensazionale “colpo” giornalistico, ma nulla prova che si trattasse di notizie relative alla morte di Mattei.
Una testimonianza in questo senso della figlia Junia (Griner, pag. 99) non sembra molto probante, considerando anche alcune discrepanze tra almeno due diverse versioni della testimonianza stessa.
Tra le persone alle quali De Mauro preannunciò il suo ormai prossimo trionfo professionale c’era anche Giacomo Micalizio, amico del giornalista ma anche di Junio Valerio Borghese (Il Mondo, 29 aprile 1991). Con gli ex commilitoni della Decima De Mauro aveva continuato ad avere buoni rapporti.
A luglio il “principe nero” era a Palermo, forse per trattare l’appoggio della mafia (ne hanno parlato Tommaso Buscetta, Luciano Liggio e Antonino Calderone, tutti mafiosi che hanno scelto di collaborare con la giustizia) al “golpe” che si accingeva a tentare cinque mesi più tardi, la notte dell’8 dicembre 1970 e che fallirà per un contrordine dell’ultimo momento, impartito per ragioni ancora oggi misteriose (secondo alcuni si trattò di un contrordine arrivato all’ultimo minuto da parte di chi aveva a suo tempo avallato l’iniziativa).
La ragione della scomparsa del giornalista è dovuta a sue occasionali conoscenze a proposito del “golpe” o per altre ragioni? Antonio lngroia, magistrato presso la Procura di Palermo, in una intervista (Lucarelli, pag. 101) ha parlato di indagini e di “risultanze che porterebbero a possibili collegamenti tra la scomparsa di De Mauro e il “golpe” Borghese”, ma nulla di più. Il punto debole della ricostruzione è la assoluta mancanza di prove a proposito di notizie acquisite da De Mauro sul “golpe” Borghese.
E’ inoltre quanto meno problematico ritenere che avrebbe rivelato fatti che avrebbero portato per molti anni in prigione il suo antico ed idolatrato capo. Non è però da escludersi che la sua conoscenza del coinvolgimento della mafia nel “golpe” potesse essere ritenuta pericolosa dagli esponenti delle “famiglie” mafiose coinvolte: la sua eliminazione potrebbe essere ricondotta alla loro volontà di evitare che la notizia fosse divulgata, ciò che avrebbe quanto meno compromesso i loro rapporti con le forze politiche nell’isola e fuori di essa.
Altra ipotesi investigativa dopo la scomparsa del giornalista viene formulata dall’allora colonnello dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa: De Mauro sarebbe stato rapito e ucciso dalla mafia perché aveva scoperto qualcosa a proposito del traffico di stupefacenti gestito dalla nuova mafia contro la volontà di quella tradizionale, ma anche in questo caso senza alcuna prova concreta.
Alla moglie di De Mauro, che insisteva per la “pista Mattei”, Dalla Chiesa rivolse l’invito a non insistere “su questa tesi perché se così fosse si tratterebbe di un delitto di Stato e io contro lo Stato non vado” (la dichiarazione è della signora De Mauro alla Procura di Pavia che indagava sulla morte di Mattei e fu resa il 27 maggio 19 96).
L’unica certezza è stata per lungo tempo la scomparsa del giornalista e la inconcludenza delle indagini svolte in proposito. Mentre esse arrancavano faticosamente entrò in scena il Cav. Antonino Buttafuoco, l’amico di De Mauro, suocero di quel Balletti che il giornalista quando scompare stava avviando alla professione di giornalista.
Buttafuoco la sera stessa della scomparsa di De Mauro telefonò a casa sua per sapere se vi erano novità: resta un mistero come abbia appreso una notizia non ancora diffusa.
Quattro giorni dopo, su sua richiesta, si incontrò con la moglie di De Mauro, presente anche il fratello Tullio, e Bruno Contrada, a quel tempo dirigente della Squadra mobile della Questura di Palermo ed il capitano dei carabinieri Angelo Giuliano. Nell’occasione lasciò filtrare il dubbio che la scomparsa fosse da ricondursi alla morte di Mattei e rassicurò i familiari che con ogni probabilità lo scomparso sarebbe tornato presto a casa.
Sei giorni dopo a casa De Mauro arrivò un frammento di nastro magnetico: una voce artefatta e poco chiara sembrava dire che De Mauro era vivo e veniva interrogato. La sera stessa, con una telefonata alla famiglia, Buttafuoco mostrò di essere a conoscenza del nastro e del suo contenuto, notizia anche questa a conoscenza di pochissime persone.
Trascorsero tre giorni ed arrivò una nuova telefonata del commercialista palermitano: voleva sapere se era stata trovata la “lettera del barbiere”. Nessuno ne sapeva niente: venne poi alla luce che il giorno della scomparsa De Mauro era stato visto dai colleghi con una busta gialla messa in mezzo ad un giornale piegato e che prima di tornare a casa quella sera era passato dal barbiere. La busta in effetti era già stata oggetto delle ricerche della polizia che però non era giunta ad alcun risultato.
Buttafuoco si fece vivo nuovamente il 30 settembre chiedendo il nastro pervenuto alla famiglia, e quali fossero esattamente le domande rivolte alla moglie di De Mauro dalla Polizia. Elda De Mauro acconsentì e riferì tutto a Contrada ed a Giuliano.
Gli incontri tra la moglie di De Mauro e Buttafuoco, sempre per iniziativa del commercialista, proseguirono nei giorni successivi. Il 6 ottobre l’ultima richiesta: Elda De Mauro si doveva fare dare la lista di tutti i nomi sui quali la polizia stava indagando e consegnargliela: non avevano invece importanza i nomi degli indagati dai carabinieri.
Il 7 ottobre avvenne l’ultimo incontro: Buttafuoco ricevé dalla moglie di De Mauro false informazioni concordate dalla signora con la polizia messa al corrente di tutto ma il suo interlocutore sembrò aver perso ogni entusiasmo. Il 19 ottobre Buttafuoco venne arrestato. Interrogato, si dichiarò vittima di un malinteso: voleva solo essere d’aiuto nella ricerca dell’amico scomparso, anche se appariva evidente il suo sforzo di essere al corrente dello svolgimento delle indagini forse per assolvere ad un compito affidatogli. 115 gennaio 1971 Buttafuoco venne scarcerato per mancanza di prove di reato a suo carico ed uscì definitivamente di scena.
Nelle indagini non emerse alcun fatto nuovo se non fosse per un articolo che apparve su una nuova rivista, “Le ore della settimana”, il 9 ottobre 1970 e nella quale sembra emergere che Buttafuoco avesse una qualche influenza (Griner, op. cit., pag. 146). Secondo l’articolo, firmato con uno pseudonimo, la stessa mano aveva ucciso Mattei, Renzo Rocca (un ex ufficiale del S.I.F.A.R., trovato morto a Roma nel suo ufficio nel 1968 e ufficialmente suicida) e Mauro De Mauro.
L’articolo riproduceva con alcune variazioni quanto già pubblicato nel 1968 da “Nuovo mondo d’oggi”, a quel tempo di proprietà di Mino Pecorelli. Alcuni lessero nell’articolo pubblicato su “Le ore” un messaggio: se non si bloccavano le indagini sulla scomparsa di De Mauro, sarebbero stati pubblicati articoli sulla morte di Rocca e Mattei. Chi poteva avere interesse a bloccare le indagini? Una testimonianza di Ugo Salto, il magistrato che a quel tempo coordinava l’inchiesta (v. Arcuri, Colpo di coda, pag. 66) sembra fornire una risposta al quesito. Racconta dunque Salto che a partire dai primi giorni di novembre 1970, tutti, polizia e carabinieri , sembrarono disinteressarsi delle indagini.
Successivamente il commissario Giuliano gli spiegò che c’era stata una riunione tra i vertici dei servizi segreti ed i responsabili della polizia giudiziaria di Palermo, in un nightclub in località Cardillo, presente anche il nuovo capo del S.I.F.A.R., il generale Vito Miceli: l’ordine di Miceli era stato quello di “annacquare” le indagini, come infatti avvenne.
Secondo la sentenza della terza sezione della Corte d’Assise di Palermo del 10 giugno 2011 Ferdinando Li Donni, questore di Palermo, su pressioni ricevute dai vertici della Polizia di Stato, di uomini politici e dei servizi segreti impose, a partire dal novembre 1970 un rallentamento delle indagini.
Perché fu impartito quell’ordine? C’era effettivamente il timore che sarebbe emerso, sia pure incidentalmente, qualche particolare a proposito del “golpe” Borghese, per il quale poi lo stesso Miceli sarà processato ed assolto? Si trattò di una misura precauzionale per non portare alla luce fatti, come i complessi legami tra servizi segreti ed alcune riviste alle quali, sotto falso nome, De Mauro aveva collaborato in passato?
Occorreva bloccare le indagini sui lontani ed ormai quasi dimenticati trascorsi fascisti ed anticomunisti di De Mauro, forse in collegamento con strutture e metodi di cui nulla doveva continuarsi a sapere? De Mauro era effettivamente legato al Kgb e i servizi segreti italiani non volevano far emergere la loro disattenzione in proposito?
O forse, ammesso che il legame esistesse e ne fossero al corrente, utilizzavano a loro volta De Mauro e la sua (forse) antica dimestichezza con l’attività di “intelligence”?
Non esistono elementi che inducano a ritenere valida questa o quella tesi, così come sono solo congetture quelle relative ad un qualche coinvolgimento nella vicenda dell’ avv. Vito Guarrasi, molto noto e potente in Sicilia. La relazione su Guarrasi, predisposta dall’ufficio politico della questura di Palermo, che avrebbe contenuto quanto scoperto dalla polizia a proposito della parte da lui avuta nella vicenda De Mauro, sarebbe scomparsa {Griner, pag. 158), così come sarebbero scomparsi numerosi altri documenti.
Certo è che Guarrasi, uomo dalle mille vite (era presente a Cassibile quando nel 1943 fu firmato l’armistizio che pose fine per l’Italia alla Il guerra mondiale), massone, amico personale dell’allora direttore de “L’Unità”, Emanuele Macaluso, di Eugenio Cefis, di Silvio Milazzo e di tanti altri esponenti noti e meno noti dell’economia e della politica, non poteva non seguire con particolare attenzione la scomparsa di un giornalista de “L’Ora”, il quotidiano di cui era stato tra gli amministratori.
Perché Guarrasi?
Perché Buttafuoco avrebbe telefonato, subito dopo la scomparsa del giornalista, proprio a Guarrasi che si trovava a Parigi?
Secondo la polizia Buttafuoco era “l’ultimo anello di una catena che faceva capo a Fanfani ed alla sua corrente”.
Verzotto, nella deposizione resa a Pavia il 4 settembre 1998 nell’inchiesta sulla morte di Mattei dichiarò di avere depistato le indagini su (preteso) suggerimento dell’Arma dei Carabinieri, affermando che De Mauro era stato ucciso perché si era interessato ad un traffico di droga ad opera della mafia.
In realtà, a più di trent’anni di distanza da quando De Mauro è scomparso l’unica cosa che appare certa è la sua morte, probabilmente ad opera della mafia, forse di sua iniziativa, forse per incarico di altri.
Gaspare Mutolo, un mafioso pentito, affermò che De Mauro era stato ucciso dalla mafia per quanto aveva scritto a proposito della organizzazi one. Tommaso Buscetta sostenne invece di aver sentito dire dal mafioso Stefano Bontate che il giornalista era stato ucciso per quanto sapeva sul caso Mattei e sul coinvolgimento della mafia nel complotto contro il Presidente dell’E.N.I. Un altro pentito, Gaetano Grado affermò invece che l’uccisione da parte della mafia era dovuta alle troppe domande che faceva su di essa.
Ad avviso del pentito Rosario Spatola De Mauro aveva tentato di ricattare la mafia minacciando di svelare i suoi legami con il caso Mattei, segnando così la sua so rte. Francesco Di Carlo, altro pentito, ha affermato invece che il giornalista fu ucciso per quanto a sua conoscenza sul tentativo di “golpe”. I giudici di Palermo, nella loro sentenza del 2011, non hanno escluso che De Mauro abbia tentato un ricatto per una denuncia a sfondo politico.
Unica certezza: alla fine tutti colpevoli e nessun colpevole della scomparsa del giornalista.
Con sentenza 11 gennaio 1983, fu dichiarato il non luogo a procedere contro Buttafuoco. Una terza inchiesta giudiziaria, aperta nel 2001 a Palermo in seguito a quanto emerso nell’indagine svoltasi a Pavia sulle connessioni tra il sequestro di De Mauro e la morte di Mattei, si concluse nel 2015 con l’assoluzione di Totò Riina dall’accusa di avere ordinato l’uccisione di De Mauro. Verzotto, malgrado quanto emerso a suo carico, non fu incriminato in quanto deceduto il 12 giugno 2010.
Mauro de Mauro è morto certamente per morte violenta: nessun colpevole probabilmente perché i colpevoli erano troppo numerosi …
Le recenti indagini della Commissione Parlamentare Antimafia sui rapporti tra forze eversive neofasciste e criminalità organizzata in Calabria e Sicilia, la accertata presenza in quelle zone di esponenti di quelle forze, come Stefano Delle Chiaie, rendono sempre più credibile la connessione tra la eliminazione di De Mauro ed il “golpe Borghese”.
E’ andato invece progressivamente perdendo quota il collegamento del fatto con la vicenda di Enrico Mattei, quasi certamente vittima di un attentato realizzato da persone con adeguata capacità tecnica ed organizzativa: si pensi solo alla difficoltà di collocare, come sempre, il dispositivo esplosivo nel carrello dell’aereo in modo che esplodesse non quando il carrello stesso veniva chiuso dopo il decollo ma solo quando veniva riaperto di nuovo prima dell’atterraggio.
Per simili azioni non è sufficiente una manovalanza generica come quella che può offrire una organizzazione criminale, per potente che sia: occorrono specialisti probabilmente con una preparazione militare, con piani precisi attentamente elaborati ed eseguiti.
Si è fatto riferimento, da parte di chi condivide questa ricostruzione dei fatti, ad emissari delle (allora) grandi compagnie petrolifere internazionali, ma non sembra da escludere un interesse dell’O.A.S., l’organizzazione paramilitare che operava in Algeria per sedare la rivolta contro il colonialismo francese ampiamente sostenuta da Mattei con l’invio di armi ai ribelli in vista di futuri benefici petroliferi.
Se andò veramente così, è chiaro che il depistaggio delle indagini sulla scomparsa di De Mauro avevano una matrice di politica internazionale: la mafia “braccio armato” dei “padroni del petrolio” era una plausibile copertura della verità. Non sta resistendo al tempo e va man mano sgretolandosi: è il destino di tutti i (finti) castelli di sabbia.
Bibliografia
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